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La fine della quarta età

di Eugenio O. - 18/07/2008

 

Se l'uomo moderno fino a ieri aveva concepito ed esaltato come una evoluzione il senso della storia a lui nota, la verità conosciuta dall'uomo tradizionale è stata l'opposto. In tutte le antiche testimonianze dell'umanità tradizionale si può sempre ritrovare, nell'una o nell'altra forma, l'idea di un regresso, di una caduta: da stati superiori originari gli esseri sarebbero scesi in stati sempre più condizionati dall'elemento umano, mortale e contingente.

[La dottrina delle quattro età di Julius Evola]

 

 

Dobbiamo seriamente chiedere a noi stessi, quando ci guardiamo intorno e vediamo un mondo dominato dall’incuria, quando scorgiamo i segni visibili e più spesso invisibili del degrado, quando non comprendiamo il senso né dei modelli che questa realtà ci impone, né della nostra stessa vita, se la terza età del capitalismo, iniziata con le super produzioni di massa e in cui, nostro malgrado, siamo costretti a vivere, non corrisponda veramente alla quarta età di Esiodo – come ammoniva un grande filosofo italiano del novecento, rimpiangendo le certezze e le speranze generate dal mito dell’età dell’oro – e se il trionfo della materia sulla Metafisica, così evidente nelle nostre città, nello stile di un grottesco presente e nel nostro vissuto quotidiano, fin nei più intimi pensieri, è niente altro che l’approdo finale della storia dell’umanità.

L’età del ferro, nella fase terminale in cui stiamo vivendo, è dominata dall’immaterialità della finanza che sovrasta ogni altra dimensione, dagl’ingannevoli sogni e dai mondi virtuali generati dal silicio, da inesauribili guerre e disordini in cui l’antico impianto di regole è ormai saltato, dalla tecnica che ha sostituito filosofia e conoscenza, da risibili verità rivelate che dissimulano altrettante menzogne e da un potere obliquo e predatore – generato anch’esso dal degrado umano e suo più insidioso prodotto – che pianifica il nostro futuro su strade lastricate d’inutile sofferenza, di indifferenza reciproca, di cieca avidità e il cui unico scopo è quello di impossessarsi del monopolio del sapere, delle risorse del mondo, per giungere infine al pieno controllo dell’esistente.

Come un gigantesco parassita enfiato dal nulla del denaro, guidato soltanto da una fame inestinguibile, questo potere figlio della crematistica e di abilità che i Greci disprezzarono, non potrà che ridurre in uno stato di irrimediabile schiavitù o di vera esclusione l’umanità obnubilata, la renderà prigioniera di incubi artificiali e di controlli remoti, l’assoggetterà a dei che non si mostrano, confinandola in un inferno senza scampo, ai margini delle grandi città globali.

Quello che per i nostri lontani antecessori costituirebbe un oltremondo impossibile da concepire e privo di senso, una sorta di ipersfera collocata in un’altra dimensione che soltanto freddi algoritmi possono delineare, per noi sta diventando la triste quotidianità.

Se l’uomo antico ha potuto, però, cogliere, in qualche frammentaria visione, l’ignota sostanza del mondo futuro, noi già non riusciamo, con gl’occhi del presente, con uno sguardo prigioniero della modernità – e ancor di più quelli che dopo di noi verranno – a penetrare il mondo della Tradizione e a comprendere la nostra storia più remota, la stessa origine del nostro “essere”.

La costrizione e i condizionamenti ci impongono di adeguarci ad un'assurda velocità, in una corsa priva di senso, che travolge la nostra stessa possibilità, in quanto specie, di avere un futuro.   

Persino l’America WASP – la terra dell’inizio della fine, figlia della spossatezza di un'Europa in balia delle proprie divisioni e dei rancori intestini – che pretese di replicare, in nuove e discutibili forme, il prestigio e il potere dell’Impero Romano, messo da parte il folle sogno neocon lungo quanto un secolo, sarà schiacciata in questa corsa senza meta né direzione.

Moneta e dimensione finanziaria, energia e cibo, sono diventati niente altro che aspetti di uno stesso disegno perverso, oltre che nuove armi di un conflitto che nulla ha di simbolico e trascendente, strumenti nelle mani di chi vorrebbe modellare la realtà a immagine e somiglianza di un basso inferno, dal quale l’uomo non potrà mai più uscire, smemorandosi di sé, e in cui i venti della storia non potranno più soffiare.

Il demiùrgo che non ha volto, portatore e agente patologico di una sovversione che è l’effetto primo del processo di dissoluzione delle società umane in atto, all’inizio del terzo millennio ha accelerato la corsa verso la realizzazione, completa e definitiva, di un allucinante “villaggio globale”.

Uomini-merce, unidimensionali, sfuggenti o ultimi uomini, uomo pauper o a taglia unica, destinati a produrre-consumare- produrre o ad essere esclusi, sono già nati e nasceranno, per una vita priva di scopo e ad esclusivo beneficio dei pochi, temibili feudatari della mondializzazione – il cui vero potere non sta e non sarà nella terra, nella concretezza del marmo o del ferro, ma nell’etere, negli impulsi elettronici – per morire nel più triste anonimato e più che da uomini, da individui che soltanto la statistica ricorda, quantificandoli un’ultima volta.

Una bava di lumaca sull’erba lascerà più tracce di ciascuno di loro.

Perdita d’identità, distruzione alle fondamenta della famiglia e delle comunità, incuranza del senso del proprio destino, microchip impiantati per il controllo, nuove e più efficienti forme di condizionamento, razionamenti imposti dal mercato, dalle ragioni del profitto e dal progressivo esaurimento delle materie prime, indebolimento dell’essere vivente per riduzione della biodiversità, lavoro come unico orizzonte e necessità impellente o esclusione senza scampo caratterizzeranno una nuova forma d’alienazione, ben al di là di quella hegeliana, sospesa fra spirito e natura, oltre la materialità idealistica di Marx e ben oltre il controverso Rousseau.

Quando la modernità giungerà a compimento e mercato, efficienza, produttività saranno dogmi dell’unica, incontrastata religione neoliberista, atea e blasfema più del comunismo novecentesco che l’ha preceduta, anche il processo di trasformazione antropologica – che trasfigurerà l’essere umano, rendendolo altro da sé e molto meno di ciò che fu nei secoli passati – rischierà di essere irrimediabilmente completo.