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Ecco come si viveva nell’antica Ercolano

di Luigi Mascheroni - 18/07/2008

In occasione dell’inaugurazione del Museo archeologico virtuale di Ercolano, Luigi Mascheroni guida il lettore all’interno dell’esposizione dove è stata ricostruita la vita quotidiana della città romana prima che l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. la distruggesse.
Grazie alla tecnologia virtuale il visitatore può sentire i discorsi della vita politica ed economica tenuti nel foro, annusare gli olii essenziali usati alle terme, vedere le strade affollate di venditori oppure gli affreschi di una villa patrizia. Secondo uno dei massimi esperti di cultura digitale, Derrick de Kerckhove, il Mav rappresenta il migliore esempio a livello mondiale di ricostruzione archeologica attraverso tecnologie virtuali, sia per la qualità tecnica che per la precisione storico-artistica.


Ma che senso ha - era la domanda che ci ronzava in testa mentre atterravamo a Capodichino - costruire un museo virtuale dell’antica Ercolano all’interno di una palazzina a cinquanta metri dall’ingresso degli scavi? Perché un visitatore dovrebbe preferire, o anche solo aggiungere, la finzione computerizzata alla realtà storica? La risposta è arrivata un minuto dopo che siamo entrati al Mav, il Museo archeologico virtuale inaugurato questa settimana ad Ercolano. Lungo un percorso di circa un’ora, chiusi dentro un’anomala dimensione spazio-temporale [...], il «turista-viaggiatore» esplora non solo ciò che rimane della città sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., ma soprattutto ciò che era prima del cataclisma, ossia come vivevano gli antichi abitanti: sente le voci del Foro, orecchia i pettegolezzi delle matrone lungo il decumano massimo, dialoga con i filosofi della scuola epicurea nel giardino della villa dei Papiri, annusa i profumi degli unguenti e degli olii usati nelle terme pubbliche, scruta, dalle gradinate del teatro cittadino, il mare in burrasca che si frange sugli scogli. E assiste, giunto all’ultimo stadio del percorso, all’esplosione vulcanica che duemila anni fa con la sua letale «nube ardente» pietrificò nel mito la città fondata da Ercole. Uscendo dalla palazzina del Museo archeologico si capisce la contraddizione di questo Sud maledettamente benedetto: stradine unte, chiassose e sconnesse in ritardo di decenni rispetto al progresso «civile» sulle quali si affacciano eccellenze assolute. Come il Mav di Ercolano: ideato e progettato da Gaetano Capasso e dalla società di produzione di realtà virtuali Capware, con i suoi 1.500 metri quadrati di superficie e 73 installazioni multimediali, costato 10 milioni di euro e tre anni di lavoro, che si avvale di uno dei software più sofisticati al mondo, costituisce uno dei «parchi archeologici» all’avanguardia in Europa. Il sociologo belga-canadese Derrick de Kerckhove, uno dei massimi esperti mondiali di cultura digitale, sostiene che «nessuna, fra le migliori ricostruzioni archeologiche realizzate fino a oggi, ha ricevuto un’attenzione tecnologica e artistica più profonda di questa».
Il visitatore che si aggira tra gli scavi reali, accecato dalla luce abbagliante del sole e rinfrescato dalla brezza del golfo, è investito dalla forza monumentale del «ciò che rimane» delle antiche case, i templi, gli affreschi, i mosaici, i giardini. Ed è qualcosa di impagabile e unico rispetto a qualsiasi altra traccia dell’antichità visibile nel nostro Paese, e non solo. Il visitatore che si aggira per la città virtuale, nel buio dei corridoi e i muri d’acqua nebulizzata, è investito dall’energia multimediale del «come erano» gli interni delle ville, i colori degli edifici, i volti degli abitanti, gli odori del mercato. [...] Eccoli i tesori della nuova Ercolano: sollecitazioni tattili (con la mano si può «muovere» l’acqua di una vasca o ricostruire un mosaico), visive (da una parete «infranta» un fascio di luce svela l’interno di una villa patrizia) e uditive (la «soundgallery», il percorso attraverso una strada affollata di donne e venditori al mercato), effetti speciali (la spettacolare eruzione) e ologrammi (la ricostruzione in 3D di uno scrigno di gioielli tra i quali una collana con 43 amuleti per vincere i diversi tipi di malocchio), scanner e immagini computerizzate (la «caverna», una stanza luminosa sulle cui pareti scorrono le visioni di Pompei, Stabia, Ercolano) e tecnologie all’avanguardia (il badge individuale che segnala la «personalità» del visitatore e organizza il suo percorso culturale in base a età, titolo di studio e nazionalità: le spiegazioni cambiano di volta in volta lingua, dall’inglese al giapponese, e - ad esempio - le immagini erotiche della galleria dei lupanari spariscono se si avvicina un minorenne... ). E tutto questo, per magia tecnologica e forza dell’ingegno, a 50 metri dagli scavi reali [...].