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Carboni, camicia rossa d’Australia

di Gian Antonio Stella - 18/07/2008

 
Alla luce della biografia dedicata a Raffaello Carboni, garibaldino d’Australia, scritta dal giornalista Desmond O’Grady, Gian Antonio Stella delinea l’affascinante e irrequieta figura della camicia rossa Raffaello Carboni, marchigiano nato nel 1817 e morto a Roma nel 1875.
Stella mette in risalto le mille metamorfosi di Carboni: da studente di musica a insegnante di italiano, ma soprattutto la sua passione politica che lo vide garibaldino durante la spedizione dei Mille e irredentista nella Roma del tardo XIX secolo. Nell’articolo si racconta, in particolare, della rivolta dei cercatori d’oro di Ballarat, in Australia, scoppiata nel 1854 contro il governo inglese per motivi di tasse e sfociata nella rivendicazione di una identità australiana e di una “dichiarazione d’indipendenza”. Carboni non solo prese parte alla rivolta, ma per celebrarla scrisse anche un romanzo:
The Eureka Stockade.

«Attraverso mondi di fango, doppi oceani d’acqua e triplici tormenti delle nostre vecchie ossa, azzanniamo accanitamente le viscere ribelli di Mammona sottoterra, a una profondità di 42 metri in una Buca d’Oro di più di 45 chili! Abbiamo avuto il fegato di lottare faccia a faccia con il vecchio Belzebù sul suo terreno. “Ben fatto o mia covata, ruggì Satana dalla lunga coda, sei un leone di vecchio stampo, come il gallo su un mucchio di sterco”».
Scriveva così, Raffaello Carboni. Con uno stile più infiammato del suo barbone rosso fuoco, più disordinato dei suoi capelli arruffatissimi, più caotico della sua vita. Vita presa d’assalto facendo lo studente di musica nelle natie Marche, il sacrestano, il bancario e il cospiratore irredentista a Roma, l’insegnante di italiano in Germania, l’interprete in Inghilterra, il cercatore d’oro in Australia, il giramondo a Calcutta, il pellegrino in Terrasanta, il garibaldino nel Regno delle Due Sicilie appena strappato ai Borboni, il funzionario sabaudo a Torino...
In un sonetto, che quasi certamente aveva scritto lui stesso dopo una serata a casa del futuro primo ministro Benedetto Cairoli ma firmato «Gli amici di Carboni, con stupefatta ammirazione», si descriveva come «esperto di viaggi, armi e lingue / inventore della stanza garibaldina / rigeneratore del dramma italiano». E diceva che lo veneravano l’Italia e il Gange e Albione e l’Etna e il Vesuvio e che la sua fama riecheggiava da Calcutta a Melbourne.
[...] Eppure, quest’uomo strampalato nato a Urbino nel 1817 e morto solo e amareggiato a Roma nel 1875, fu davvero un personaggio straordinario. Lo dimostra l’affascinante biografia Raffaello Carboni, garibaldino d’Australia [...], scritta da Desmond O’Grady, australiano romanizzato, vaticanista del “Sydney Morning Herald” e del “The Age of Melbourne” nonché collaboratore del “New York Times”, del “Washington Post”, del “Daily Telegraph”. [...] Accesissimo irredentista, convinto che gli austriaci fossero «cento volte più barbari dei mussulmani», protagonista della Repubblica Romana del 1849 con un ruolo secondario ma sufficiente a costringerlo a chiedere asilo ad Hannover e poi a Londra, poliglotta in grado di parlare in modo fluente (a quei tempi) inglese, francese, tedesco, spagnolo, Raffaello Carboni certo si illudeva raccontando a se stesso di essere un grande scrittore. Ma almeno un libro, The Eureka Stockade, cioè «La barricata di Eureka», è finito davvero dritto dritto dentro la storia.
Incensato da “The Age” come un romanzo «vigoroso e vivace» dallo stile «originale, pittoresco ed esuberante » e dall’“Argus” come «un’opera di genio» destinata a occupare «un posto eminente nella storia della letteratura australiana», The Eureka Stockade è la cronaca di una rivolta. Quella che nel 1854 oppose i minatori di Ballarat (Eureka è lì vicino) ai soldati della regina Vittoria. Una rivolta nata per protestare contro la tassa di 30 scellini imposta a quanti per un mese volevano scavare nel fango (30 scellini fissi: anche se non trovavi niente), ma via via diventata un’altra cosa. Al grido di «Libertà! Libertà!», si affacciarono lì, infatti, le prime rivendicazioni d’identità australiana al punto che uno dei lavoratori, Albert Blak, arrivò a leggere una «dichiarazione d’indipendenza». Appoggiata da Raffaello con entusiasmo contro «un governo di tipo austriaco sotto bandiera britannica». Eppure lì ad Eureka, un posto battezzato con quel grido greco d’esultanza («ho trovato!»), il focosissimo Carboni era finito per una scelta di rottura proprio con la politica che gli aveva dato tanti grattacapi. Voleva solo diventare ricco. Come migliaia di inglesi raggiunti dalla notizia che vicino a Melbourne era stato trovato un luogo dove «le pepite abbondano come le nocciole in un torrone».
Un impazzimento, scrive O’Grady: «Impiegati, commessi, artigiani, cartisti frustrati acquistavano picconi e vanghe e imploravano gli agenti marittimi per ottenere un passaggio, un qualsiasi passaggio, su una nave diretta in Australia ». La Baia di Hobson, davanti a Melbourne, era piena di navi abbandonate «poiché gli uomini degli equipaggi, pagati due sterline al mese se ne erano andati a cercare l’oro». E «quando il prezioso metallo, caricato su tre grossi carri ciascuno tirato da sei cavalli, era arrivato per la prima volta al Tesoro in William Street, tutti gli impiegati dell’ufficio perizie avevano abbandonato il posto di lavoro alla volta dei giacimenti auriferi». Oro! Oro! Oro! Anche Raffaello lo trovò, nel fango, il suo pezzo di oro giallo. Non quanto sperava, forse. Ma lo trovò. [...]

Desmond O’Grady, Raffaello Carboni, garibaldino d’Australia, Istituto Poligrafico dello Stato 2008.