Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Lo stato imprenditore per Alberto Beneduce

Lo stato imprenditore per Alberto Beneduce

di Sergio Romano - 21/07/2008

Per tornare sulle personalità che girarono intorno a Mussolini, o più in generale dentro al fascismo, senza esserne risucchiate, vorrei ricordare Alberto Beneduce, che ebbe le lodi del futuro Duce (dalle colonne del Popolo d'Italia), per aver sostenuto l'avvicinamento dei socialisti-riformatori alle posizioni di don Sturzo; comunque, dopo la marcia su Roma, non si presentò più alla vita politica attiva e cercò di far emergere la verità sul delitto Matteotti. Resta comunque la sua collaborazione con il Pnf, i dubbi dei gerarchi, per la fiducia concessa da Mussolini, soprattutto per trattare attività finanziarie. Mentre le scrivo non ne sono sicuro, ma credo che fosse il suocero di Cuccia. Vorrei conoscere la sua opinione su questa personalità.


Martino Salomoni

Caro Salomoni,
Sì, Beneduce fu suocero di Enrico Cuccia. Quanto alle sue idee politiche, non è necessario leggere i suoi scritti o consultare dizionari biografici. Basta ricordare che la futura moglie del fondatore di Mediobanca fu chiamata, alla nascita, Idea Socialista. Ed è molto probabile che Beneduce, nonostante la sua lunga collaborazione con il fascismo e i suoi personali rapporti con Mussolini, non abbia mai rinunciato alle idee socialdemocratiche degli anni in cui fu impegnato nella vita politica nazionale.
Nacque a Caserta nel 1877, studiò matematica a Napoli (dove conobbe Francesco Saverio Nitti), divenne libero docente in statistica e demografia, ebbe una cattedra a Genova nel 1910. Avrebbe fatto forse una carriera accademica, se Nitti, allora ministro dell'Agricoltura e dell'Industria nel governo Giolitti, non si fosse ricordato del giovane casertano e non gli avesse chiesto di collaborare alla nascita di un nuovo ente statale: l'Istituto Nazionale per le Assicurazioni. L'ingresso di Beneduce nella vita pubblica coincide quindi con il primo di una serie d'interventi dello Stato nell'economia e nella finanza nazionali. Beneduce rimarrà fedele alla filosofia «interventista » che aveva appreso da Nitti e diverrà da allora padre, promotore, presidente, amministratore o dirigente di istituzioni pubbliche che hanno segnato la storia dell'economia italiana nel Novecento: il Consorzio per sovvenzioni su valori industriali, l'Opera nazionale combattenti, il Consiglio superiore del credito, il Consorzio di credito per le opere pubbliche, l'Istituto di credito per le opere pubbliche, l'Istituto mobiliare italiano e infine I'Iri (Istituto per la ricostruzione industriale) di cui fu ideatore e presidente sino alla vigilia dell'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale.
Entrò in politica nel 1919 con le liste del socialismo riformista di Ivanoe Bonomi, fu presidente della Commissione Finanza e Tesoro della Camera dei deputati, diventò ministro del Lavoro e della Previdenza sociale nel 1921. Fu favorevole alla collaborazione del riformismo socialista con il Partito popolare di don Sturzo e avversario del fascismo, particolarmente dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti. Ma nella seconda metà del 1925 si avvicinò al governo Mussolini e accettò la presidenza di enti e società finanziarie. Quando la crisi del '29 investì le maggiori banche italiane e quella parte del sistema industriale di cui erano divenute proprietarie, Beneduce fu pronto a intervenire. Mentre istituti bancari, e in particolare la Comit di Giuseppe Toeplitz, avrebbe preferito lasciare allo Stato esclusivamente il salvataggio delle industrie, Beneduce propose che le banche malate diventassero, insieme alla loro malandata dote industriale, patrimonio di un ente pubblico che fu costituito con decreto legge del 23 gennaio 1933 e si chiamò Iri. Nasceva così, grazie all'allievo di Francesco Saverio Nitti, lo «Stato imprenditore». Il gestore di quello Stato fu, insieme a Donato Menichella, Alberto Beneduce, e la sola persona a cui rendeva conto del suo lavoro era Benito Mussolini.
Fu dunque Beneduce un opportunista, un voltagabbana? Vi è in realtà nella sua carriera economica una straordinaria coerenza.
Si avvicinò al fascismo perché capì che il regime gli avrebbe permesso di realizzare i suoi programmi sull'intervento dello Stato negli affari economici. Collaborò con Mussolini perché il capo del governo rispettò la sua indipendenza e, soprattutto, perché avevano entrambi la stessa formazione socialista e una stessa diffidenza per il capitalismo italiano. La vicenda di Beneduce dimostra, caro Salomoni, ciò che alcuni storici hanno già constatato: l'esistenza di una forte continuità fra certe correnti del pensiero economico prefascista, fascista e post-fascista. È questa la ragione per cui il titolo di un libro recente di Massimo Pini apparso presso Mondadori sullo Stato imprenditore mi sembra particolarmente calzante: «I giorni dell'Iri. Storie e misfatti da Beneduce a Prodi ». Non è necessario essere nostalgici del defunto Istituto Ricostruzioni Industriali, come Pini, per sapere che i cambiamenti del sistema politico in Italia nascondono una singolare continuità del sistema economico. Mussolini fu per molti aspetti l'erede di Nitti e dei suoi allievi; e l'Italia democristiana fu l'erede di Mussolini.