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Vecchi amici divisi dalla guerra

di Emilio Gentile - 28/07/2008

  
In occasione dell’uscita del carteggio fra Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, “Il Sole 24 ORE” pubblica una veemente discussione di due fra gli intellettuali più influenti dell’Italia di inizio Novecento.
Riportiamo lo scambio di accuse fra Prezzolini e Papini in merito al dibattito sull’interventismo italiano alla vigilia della Prima guerra mondiale.
Le lettere sono precedute da un’introduzione dello storico Emilio Gentile, che delinea le posizioni dei due intellettuali all’interno del più ampio clima politico e culturale dell’epoca.


Era molto indaffarato Giuseppe Prezzolini, nell’estate di cento anni fa, a preparare una nuova “rivista di pensiero”, come la definiva nel progetto. Aveva 26 anni e da cinque, con lo pseudonimo Giuliano il Sofista, era sulla breccia nella polemica contro il positivismo, insieme al suo quasi coetaneo Giovanni Papini, il terribile Gian Falco, fondatore nel 1903 di «Leonardo», rivista di idee vissuta fino al 1907 e che contribuì con la «Critica» di Benedetto Croce, nata nel 1903, a rinnovare la cultura italiana all’inizio del Novecento, battagliando con idee originali contro la mentalità, il costume e il carattere dell’italiano di allora, scettico, ignorante, provinciale, conformista. Gian Falco e Giuliano il Sofista divennero figure quasi leggendarie fra i giovani della loro generazione. [...] Il «Leonardo» era soprattutto la rivista di Papini: fantasiosa, avventurosa, dilettantesca, geniale, irrazionalista, iconoclasta. Scritta da filosofi adolescenti, cessò quando gli adolescenti diventarono adulti e cominciarono a ragionare da adulti. Papini cercò di imporre il suo geniale talento, tentando di lanciarsi a Milano, capitale dell’industria editoriale, prima di ritirarsi in campagna a Bulciano, per farsi interamente toscano e cercare di creare finalmente la grande opera cui aspirava da bambino. Prezzolini, dopo aver invano cercato la fede in Dio dedicandosi alla pratica dei riti cattolici, scoprì nella filosofia storicista di Croce la rivelazione della fede nella ragione, nella storia e nell’uomo. E decise allora, nell’estate del 1908, di farsi promotore di un rinnovamento intellettuale e morale degli italiani, attraverso la creazione di una rivista, del tutto differente dal «Leonardo», perché orientata dalla razionalità alla conoscenza dei problemi reali e concreti dell’Italia, ispirata dalla filosofia e dalla religione, intesa come concezione seria ed etica della vita. Ebbe così origine «La Voce», che iniziò le pubblicazioni a Firenze il 20 dicembre 1908 e visse, con alterne vicende, fino al 1915, diventando la più importante, la più famosa, e la più discussa fra le riviste dell’avanguardia italiana. Sono questi gli anni ai quali è dedicato il secondo volume del carteggio fra Papini e Prezzolini, uno dei più robusti, e forse anche uno dei più seri e belli, della cultura italiana del Novecento. [...]
Papini collaborò svogliatamente alla «Voce» e cercò di cambiarne lo spirito quando per pochi mesi, nel 1912, ne fu il direttore. Prezzolini, tornato a dirigere la rivista, ne volle fare l’organo di propaganda del suo "idealismo militante". Poi venne il futurismo, e la nuova rivista «Lacerba», fondata da Papini nel 1913, a separare definitivamente i due intellettuali. [...]

«Menefreghista sarai tu!»
[...] In provincia di Novara, 22 agosto 1914
Caro Papini,
(...) così anche la vostra attitudine mi è parsa assai grossolana, leggera, senza credito da parte di nessuno. Chi per anni non ha cercato altro che di infischiarsi della politica e di tutto ciò che saldando insieme il nostro paese può condurlo ad una decisione seria e ad una vittoria, non mi pare abbia il diritto di rivolgere agli altri rampogne e predicozzi. E tutti sentono questo e perciò i vostri articoli, pieni di luoghi comuni, di affermazioni superficiali e privi di ogni senso e di ogni finezza, non hanno nessuna efficacia.
Giuseppe Prezzolini

In provincia di Novara, 31 agosto 1914
Caro Papini,
(...) quanto all’Italia e alla posizione da prendere, siamo d’accordo, ma voglio che si abbia un senso di delicatezza maggiore. Il semplicismo di cui date prova mi repugna. La Francia non darà mai la Tunisia, e occupar l’Albania, come vorreste, è un regalo che non augurerei davvero al mio paese, che ha già da digerire la Cirenaica. Inoltre penso che queste soluzioni così radicali si prendono appunto da gente come voi che non ha nulla da salvare. Voi non siete italiani, siete voi. Non è italianità l’arbitrio è gusto è fantasia quella per cui volete la guerra all’Austria. Per due anni tu hai fatto una propaganda per distruggere tutto ciò che lega l’uomo alla sua terra, genitori, tradizione, amicizie, autorità, religione. Oggi vuoi che si combatta per l’Italia! E perché? L’Italia è un deserto. E un tuo discepolo, egoista e pessimista, se la riderà di questa gente che dopo avere buttato giù tutti gli dei, predicato la indisciplina, la strafottenza eccetera vuole che ci si sacrifichi per chi? per una collettività di uomini, anzi per il futuro, per un futuro che non vedrà neppure!
Giuseppe Prezzolini

Pieve S. Stefano (Arezzo), 21 settembre 1914
Caro Prezzolini,
(...) dicevo dunque che la tua pretesa di negarmi il diritto di parlare d’Italia quanto mi piace è ridicola. Prima di tutto perché volendo stabilire il diritto sui precedenti bisogna guardare ai più antichi persistenti e numerosi e non a quegli altri. In secondo luogo perché io non ho mai, né espressamente né implicitamente, scritto contro il concetto di patria e contro l’Italia. In terzo luogo perché il combattere quelli che a me sembrano pregiudizi o vecchierie non significa distruggere le ragioni della nazionalità perché allora, con quel pretesto che la religione è cemento dei popoli e tradizione secolare italiana, si dovrebbe proibire ogni discorso politico a quelli che non son cattolici e tu saresti fuori fra i primi. Pare impossibile che un uomo come te che bazzica i grandi filosofi e le grandi filosofie faccia tanto spesso degli sbagli di questo genere e così poco rigorosamente sappia ragionare!
G. Papini

25 settembre 1914
Mio caro Papini,
(...) ecco il nodo. Da due anni voi fate propaganda per il menefreghismo, lo scetticismo, contro la disciplina, l’autorità, il dovere, tutti i luoghi comuni che reggono le nazioni. Il nodo non è già nell’essere stato tu redattore d’una rivista nazionalista, non nel non avere mai scritto «freghiamoci dell’Italia». Il nodo è in questo che dell’Italia, di questo paese reale, come esso è, di quello che chiamate alla guerra, voi vi siete sempre fregati altamente, badando soltanto e dichiarandolo, ai vostri begli spiriti. No, non si ha il diritto, quando si è messo sotto i piedi tutto ciò che forma l’Italia (ossia, la tradizione italiana, la famiglia, la vita morale, le autorità eccetera) di dire alla gente: andate a sbuzzarvi. Non si ha diritto, quando si è fatto di tutto per disorganizzare il paese, di pretendere che i capi di questo paese lo conducano a una di quelle lotte nelle quali soltanto gli organizzati riescono. Tu hai costantemente, ostinatamente deriso, schernito, combattuto la disciplina, e se la tua parola avesse avuto efficacia, l’Italia sarebbe ancora più indisciplinata di quello che è. Tu hai gettato il seme della sfiducia, dell’egoismo, del menefreghismo dove potevi. Tu hai detto che la maggioranza è bassa, vile, ignobile, che solo venticinque persone in Europa contano; come puoi chiedere a questa folla di compiere l’atto più altruistico che ci sia, cioè di gettare la vita per un futuro che essa non vedrà? Caro Papini, i lettori di Leopardi andavano a farsi ammazzare per l’Italia, i tuoi lettori vanno a fare una chiavata da Saffo o se lo mettono in culo reciprocamente, come sai benissimo. E il giorno della guerra, si butteranno nei fossi. La differenza tra il tuo pessimismo e quello di Leopardi è appunto che il primo è eroico e nobile, il tuo è vile e plebeo (dico nei suoi insegnamenti). Questo è il fondo della questione, il resto son fatterelli.
Giuseppe Prezzolini

Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, Carteggio. Vol. II, Dalla nascita della «Voce» alla fine di «Lacerba», a cura di Sandro Gentili e Gloria Manghetti, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, pp. 602, € 74,00.