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Dove l’auto non si ferma mai

di Federico Rampini - 28/07/2008

 

 

 

Qui lo chiamano un "netto rallentamento". In Europa e negli Stati Uniti sarebbe un fantastico boom. Nel primo semestre di quest’anno le vendite di automobili in Cina sono cresciute "solo" del 14% rispetto allo stesso periodo del 2007. Si conferma, è vero, una decelerazione del tasso di crescita. Nel 2006 le immatricolazioni erano aumentate del 34%, nel 2007 del 24%, ma erano ritmi di aumento forsennati, non sostenibili su periodi di tempo molto lunghi. Prima o poi anche l’automobilista cinese avrebbe risentito del caro-benzina: il prezzo dei carburanti al dettaglio è rincarato del 18% quest’anno. Ma Cina e India restano i due mercati del mondo più generosi di soddisfazioni per l’industria automobilistica. Anche i gruppi più malconci, che su altri continenti sono colpiti da risultati disastrosi, possono consolarsi guardando ai dati delle vendite delle loro filiali nei nuovi mercati asiatici. E’ il caso di General Motors, la grande ammalata di Detroit: nella Repubblica Popolare con il marchio Buick - e una gamma fabbricata in loco - le sue vendite hanno messo a segno un brillante +13% nel primo semestre 2008. Malgrado il rallentamento provocato dal rincaro dei carburanti e forse anche dall’effetto negativo delle Olimpiadi (per oltre un mese la circolazione a targhe alterne imposta a Pechino non è il massimo per promuovere le vendite), gli analisti del settore sono certi che il 2008 si chiuderà con un aumento netto di quasi un milione di immatricolazioni. Dai 5,4 milioni di vetture nuove vendute nel 2007 nella Repubblica Popolare si dovrebbe balzare a 6,3 milioni.

 

Niente venti di recessione qui, almeno per ora. Il pianeta Cindia rimane ancora un caso a parte rispetto ai mercati maturi dell’area Ocse, cioè Nordamerica Europa e Giappone. Il tasso di motorizzazione rivela che esiste una distanza abissale da colmare, quindi un mercato potenziale che è ancora immenso. Nei paesi di vecchia industrializzazione (Ocse) ci sono in media 450 vetture ogni 1.000 abitanti; in Cina invece sono appena 201e auto per 1.000 abitanti, in India soltanto otto. Il boom della motorizzazione privata è ancora agli inizi. La Repubblica Popolare vive una "storia d’amore" con le quattro ruote che ha anche un risvolto politico-culturale. Ai tempi di Mao Zedong i cinesi non erano privati soltanto della libertà politica e del diritto di espressione; tra le libertà di base negate c’era il diritto di muoversi. In un paese grande quanto l’Europa occidentale, i cinesi sono vissuti a lungo come dei prigionieri nelle singole città o provincie. Per viaggiare all’interno della Cina occorreva chiedere il permesso. Questo aiuta a capire con quanto entusiasmo i cinesi del XXI secolo vivono il mito dell’automobile, che per loro è qualcosa dipiù di uno status symbol: è lo strumento di una nuova libertà, il diritto di viaggiare, la mobilità individuale finalmente a portata di mano. L’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) ha stimato che entro il2030icinesi avranno sette volte più automobili che nel 2007, arriveranno così a 270 milioni di vetture in circolazione.

 

L’India è solo un po’ più indietro, ma si avvicina a grandi passi. Le vendite sul mercato in- diano dovrebbero aumentare del50% in un triennio. 112008 resterà nella storia indiana come "l’anno della Nano": arriverà finalmente nei concessionari l’utilitaria da 1.600 euro, la Nano del gruppo Tata. Una tappa storica perché con l’uscita di questo modello di colpo verrà dimezzato il "prezzo d’accesso" alla vettura popolare. Con una produzione a regime di un milione di unità all’anno, la Nano ha già messo in agitazione tutti i concorrenti. Bajaj Auto è pronto a sfornare la sua risposta, concepita e prodotta in joint venture con Renault-Nissan: un’ altra utilitaria dal .600 euro e dai consumi ridottissimi (30 km al litro) con un obiettivo di produzione di 400.000 unità il primo anno. Toyota, General Motors, Ford sono tutte all’erta per prepararsi a rispondere al successo di queste utilitarie. Anche perché Tata e Bajaj non hanno mai fatto mistero delle loro intenzioni: il mercato domestico è solo un inizio, sulla base della loro esperienza nel subcontinente da un miliardo di abitanti vogliono lanciarsi alla conquista di altre aree, cominciando dai paesi emergenti: la parte più dinamica del pianeta, le aree dell’Asia, dell’America latina e dell’Africa più simili a Cindia per la tipologia di consumatori, il potere d’acquisto, e i bisogni di motorizzazione ancora largamente insoddisfatti. Ma non è soltanto l’emisfero Sud che interessa i produttori indiani. Il recente acquisto di Jaguar e Land Rover indica che Tata vuole procurarsi know how, capacità di design e prestigio tali da potersi presentare anche sui mercati più sofisticati. Le case automobilistiche cinesi hanno una strategia simile - fino a sollecitare la consulenza di Pininfarina, un simbolo dello stile italiano - ma essendo partite prima dei gruppi indiani paradossalmente hanno fatto in tempo a commettere ... molti più errori. Alcuni tentativi di penetrazione del made in China in Europa e negli Stati Uniti sono stati degli insuccessi scottanti. Al salone dell’auto di Francoforte l’anno scorso la presenza cinese fece scalpore soprattutto per le minacce di azioni legali lanciate dalla Daimler contro dei modelli palesemente copiati. Le marche cinesi Brilliance e Jiangling hanno dovuto battere in ritirata dai mercati europei dopo che alcuni modelli hanno fallito miseramente i test di sicurezza. Alcuni dei modelli di utilitarie più popolari sono dei "plagi" evidenti: la Great Wall Peri sembra una copia della Fiat Panda, la Chery Qq è identica alla Spark della General Motors, la marca Geely ha perfino copiato il logo Toyota. Per guadagnare rispettabilità sui mercati esteri il made in China dovrà impegnarsi in un lavoro di riparazione dei danni. Sarà un’opera di lunga lena, perché le ferite alla reputazione e all’immagine non guariscono facilmente. Great Wall, un altro marchio che ambisce ad affacciarsi sui mercati occidentali, ha costruito un impianto nuovissimo per i test di sicurezza nel Nord della Cina. Il gruppo Saic di Shanghai dopo aver acquisito la Rover punta a sfruttare la competenza dei suoi ingegneri inglesi. In attesa di poter ritornare in America e in Europa con una credibilità ricostruita, le grandi case cinesi come quelle indiane possono consolarsi in tutti i mercati emergenti: i dati delle vendite delle vetture made in China sono in netta crescita nel sud-est asiatico, in Sudafrica, inAmerica latina e in Medio Oriente.