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Gentile e lo Stato

di Emanuele Severino* - 29/07/2008



Va sfatato un pregiudizio carico di conseguenze: che di Gentile possano
interessare oggi i rapporti col fascismo, conclusisi con la tragica
uccisione del filosofo, ma non la sua filosofia, acqua passata che avrebbe
poco da dirci.
La filosofia di Gentile non e' ne' acqua ne' passata. Cio' non vuol dire che
in essa abiti la verita'. E' anzi una delle forme piu' radicali e coerenti
dell'errare. Ma quanto profondo e decisivo puo' essere l'errare! Per molti
motivi il pensiero di Gentile e' sconcertante. Egli scrive spesso in modo
apparentemente piano, a volte retorico. Si crede allora di capire. Dietro
quelle pagine c'e' pero' sempre una delle concezioni filosofiche piu' ardue
e rigorose, che egli tenta di rendere comprensibile a un pubblico piu'
ampio. Ma c'e' ben altro. Gentile aderisce al fascismo. Eppure nessun
antifascismo e' piu' antifascista della filosofia gentiliana. Ancora:
Gentile intende il proprio pensiero come l'espressione piu' pura del vero
cristianesimo; eppure, figura di spicco del fascismo, si oppone come nessun
altro al Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica, fortemente anche
se ambiguamente voluto da Mussolini. Non si tratta di contraddizioni.
Nessun dubbio che Gentile si presenti come un liberale. Prende pero' le
distanze dai liberali come Missiroli, De Ruggiero, Gobetti, Mosca. Prima che
liberale e' filosofo. Una filosofia, la sua, che, con una potenza quasi
unica nel pensiero degli ultimi due secoli, mostra la necessita' di
rifiutare l'intera tradizione culturale, politica, religiosa dell'Occidente.
Il suo e' come l'arco di Ulisse. Se si e' Proci non lo si sa nemmeno
tendere - e lo si appende al muro.
In una conferenza del 1923 Gentile dice che il suo liberalismo "non e' la
dottrina che nega, ma quella che afferma rigorosamente lo Stato come realta'
etica. La quale e', essa stessa, da realizzare, e si realizza realizzando la
liberta', che e' come dire l'umanita' di ogni uomo (...). Questo Stato
liberale non assorbe in se' e non annulla l'individuo, come teme il pavido
liberale dell'individualismo", o il "vecchio liberalismo, che conosceva
soltanto lo Stato opposto all'individuo", e ognuno dei due pensava,
dell'altro, mors tua vita mea. Lo "Stato etico non e' esterno all'individuo;
anzi e' l'essenza stessa della sua individualita'": volonta' "senza limiti
ne' ostacoli di cui non abbia a trionfare".
Qui e ovunque, Gentile dice che, si', lo Stato e' realta', ma realta' che e'
"essa stessa, da realizzare". Queste espressioni significano: la realta'
vera non e' quella ferma, morta, ma quella storica che diviene, e che
appunto percio' e' "da realizzare"; e non e' nemmeno quella presupposta al
di la' della nostra esperienza e del nostro pensiero, in un altro mondo, ma
e' questa di cui facciamo esperienza e che e' anzi la nostra stessa essenza
e la nostra "liberta'", perche' libera da cio' che e' gia' realizzato.
Queste non sono semplici asseverazioni, "idee" piu' o meno arbitrarie di un
"filosofo"; ma sono la conseguenza inevitabile del modo in cui l'Occidente
ha incominciato a manifestarsi sulla terra. Non e' possibile mostrare qui,
in concreto, tale inevitabilita' - a cui per altro si riferiscono spesso i
miei interventi sul "Corriere" -, come non sarebbe possibile mostrare qui le
ragioni della teoria della relativita'. Accontentandoci di uno schema,
potremmo dire cosi': il divenire - nascita e morte - della realta' visibile
e' stato sempre, per l'intera civilta' occidentale, l'evidenza originaria e
innegabile. Ma se esistesse, esterna a essa, una realta' immutabile e divina
che contenesse gia' tutto quel che diviene, allora divenire e storia,
nascita e morte, sarebbero mere apparenze. Ma apparenze non possono essere,
essendo esse, appunto, l'evidenza originaria. Dunque quella realta' esterna
e immutabile e i valori e costumi a essa connessi sono impossibili.
Questo, lo schema della frana gigantesca da cui la tradizione occidentale e'
travolta. Oggi si ignora l'inevitabilita' di questo discorso, ma che l'unica
realta' sia quella che nasce e muore e' la convinzione dominante del mondo
occidentale.
Da quel passo di Gentile risulta chiaro che l'etica dello "Stato etico" non
e' un decalogo fermo e morto, ma e' appunto realta' da realizzare, divenire,
"rivoluzione" continua. Se qualcosa e' divenire, tutto e' divenire; e solo
il divenire e' eterno e dunque e' il vero Dio, il Dio cristiano che non
resta nell'alto dei cieli, ma si fa uomo, nasce e muore e dice di esser
venuto a portare la spada. Dio, Stato, essenza vera dell'individuo sono lo
stesso. Gentile lo chiama "spirito".
Genesi e struttura della societa', scritta da un Gentile che ha aderito alla
repubblica di Salo', dice che lo Stato e' "eterna autocritica e eterna
rivoluzione". Come coscienza del realizzarsi dello Stato, la filosofia e' la
coscienza che lo Stato ha di se' ed e' quindi critica dello Stato, ossia di
tutto cio' che in esso "sta" (come suggerisce la parola), fermo, morto. Se
non c'e' critica dello Stato c'e', dice Gentile, "statolatria". E -
sappiamo - il fascismo e' stato una delle negazioni piu' perentorie
dell'autocritica dello Stato. Dunque la filosofia e' critica anche della
Chiesa cattolica come organismo dogmatico che non intende mutare e
rinnovarsi e pertanto e' anch'essa "stato", qualcosa di statico che lo
"Stato" finisce col negare e col superare. Gentile si sente cristiano, ma
proprio per questo si oppone, in nome dello Stato spirituale, al concordato
tra Stato e Chiesa, ossia tra cose morte.
Anche lo "statista" e' cosa morta. Nel 1944 lo statista per eccellenza, agli
occhi di Gentile, non puo' essere che Mussolini: "Lo statista, che e' una
persona fisica, oltre che un indirizzo politico, un regime (...) rappresenta
sempre (...) qualche cosa di statico e astratto, che la vita dello spirito
(...) deve negare e superare". Nella sua forma piu' alta, tale vita e' la
filosofia. Se il fascismo ("il recente movimento politico italiano") non e'
critica e autocritica dello Stato ed "esigenza di una rappresentanza
organica" in senso democratico e liberalconservatore, quelli del fascismo,
scrive Gentile, sono solo "esperimenti costituzionali (...) viziati nelle
forme provvisorie di applicazione dalle necessita' transitorie del momento
politico".
L'individuo che vede la propria appartenenza al divenire della realta',
cioe' allo Stato, "vuol essere", dice il passo riportato per primo, "senza
limiti ne' ostacoli di cui non abbia a trionfare". Solo l'inevitabilita' di
un pensiero come quello di Gentile puo' fondare il dominio della tecnica,
cioe' mostrare, appunto, che essa non ha davanti a se' ne' limiti ne'
ostacoli. All'opposto di quanto si crede, la solidarieta' tra idealismo
gentiliano e civilta' della tecnica e' profonda. Per questo Gentile non e'
acqua passata.

*[Dal "Corriere della sera" dell'11 settembre 2006 col titolo "Gentile. Un
filosofo antifascista per il regime di Mussolini" e il sommario "Solo la sua
opera puo' fondare il dominio della tecnica e percio' non e' acqua passata"]