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Occidente

di Emanuele Severino* - 29/07/2008


Dopo il mito compare l'esigenza di porre la verita' come condizione della
felicita'. Dopo i millenni del mito compare cio' che chiamiamo Occidente.
Con la parola "Occidente" intendiamo qualcosa di pregnante, di determinato,
non il significato corrente nella pubblicistica o nella stessa cultura
contemporanea. Intendiamo cio' che cresce all'interno di un fondamentale
atteggiamento di pensiero e quindi di azione; cio' che cresce all'interno di
un fondamentale modo di pensare. Tale "fondamentalita'" puo' essere indicata
da due espressioni: l'identita' (l'Occidente e' volonta' di identita') e il
divenir-altro delle cose - quel divenire altro che abbiamo incontrato in
Eraclito, dove si dice che "son lo stesso le cose che hanno nomi opposti
(giovane-vecchio, morto-vivo...) perche' le une precipitando (cosi' avevamo
tradotto), sono le altre". Questo precipitare nelle altre e' cio' che per la
nostra cultura e' diventato l'evidenza somma, ma con una accentuazione del
senso iniziale del divenir-altro della quale dovremo parlare. Il mito e' un
percorso millenario che a un certo punto si "increspa". Questa increspatura,
in cui si dispiegano i millenni, e' cio' che chiamiamo "Occidente".
L'avvento dell'Occidente e' costituito dalla crescita all'interno di due
tratti essenziali: tautotes (volonta' di identita', abbiamo detto: ci
ritorneremo) e il divenir-altro.
Ma perche' chiamare "volonta' di identita'" - ci si potrebbe chiedere - cio'
che tutti noi riteniamo inevitabile, ossia che le cose siano se stesse?
Certo, non ci siamo ancora intesi sul significato della parola "identita'",
e tuttavia una qualche cognizione su cio' che significhi "esser se stesso"
l'abbiamo tutti. Perche' dunque parlare di "volonta' di identita'"? Invito a
tenere in sospeso questa domanda, che pone come oggetto di volonta' cio' che
dal punto di vista comune dell'Occidente invece e' un'ovvieta', perche' la
risposta ci fara' entrare al centro del discorso che proponiamo di
sviluppare. Occidente - stiamo dicendo - e' cio' che cresce all'interno di
questa sintesi: le cose variano. Puo' variare una cosa se non diventa altro
da cio' che essa e'?...
L'Occidente nasce all'interno della sintesi di cio' che abbiamo chiamato
"volonta' di identita'" e di cio' che ora, in questa sintesi, chiamiamo
"volonta' di diventar altro", volonta' che il divenire sia un divenir-altro.
Ma di nuovo: perche' "volonta'"? L'identita' e' li', le cose sono identiche;
il divenir altro delle cose e' li' - stiamo parlando di categorie la cui
esemplificazione e' totale. Loro alzano lo sguardo per guardarmi: e' un
divenir altro. Un piede che si muove, le galassie, il Big Bang
originario...: divenir-altro. Non c'e' variazione, produzione,
trasformazione, metamorfosi che non sia un divenir altro. Gia' nel mito e'
presente il divenir altro. La parola "metamorfosi", che e' piuttosto recente
nella lingua greca, significa cambiar la forma (meta'-morphe'): l'umano che
diventa animale o l'animale che diventa umano, come in molti racconti; o,
per chi e' cristiano, il vino che diventa sangue, il pane che diventa corpo
di Cristo; ma, piu' semplicemente, e' una metamorfosi anche il fatto che io
prima tenessi in mano il pennarello e adesso l'abbia posato sulla cattedra.
Stiamo procedendo in una direzione in cui dovra' apparire che quella che per
i non credenti e' un'evidente follia - il pane che diventa corpo di Cristo -
e' invece l'atteggiamento normale, l'attitudine fondamentale tanto per il
senso comune che per la cultura e per la scienza. Ci avvicineremo al luogo
in cui dovra' apparire che la follia di cio' che il linguaggio religioso
chiama transustanziazione (ossia cambiamento della sostanza) e' la stessa
follia di ogni divenir altro: ogni divenire altro e' l'impossibile. Ma per
ora chiudiamo queste parentesi che servono a mostrare molto da lontano la
strada che dobbiamo percorrere.

*[Dal "Corriere della sera" del 20 giugno 2007 col titolo "La fine
dell'Occidente. Credere al divenire e' la sua follia" e la notizia "Dal
volume L'identita' della follia, diamo in anteprima un estratto di un brano
del secondo capitolo intitolato Precipitare nell'esser-altro. In esso e'
riportata la lezione tenuta da Severino a Ca' Foscari il 10 ottobre 2000"]