Si è già parlato alcuni giorni fa della notizia dell’emendamento presentato a firma del Governo col quale si sono eliminati di punto in bianco (oltre agli sforzi di tutte le persone nel settore sia pubblico che privato che stavano cercando orientarsi in quel senso) i provvedimenti che, anche se nella tipica confusione italiota e con un ritardo già di per sé imbarazzante rispetto ad altri Paesi sul livello dei quali ci piace credere di essere, dovevano rendere obbligatoria la certificazione energetica degli edifici.
Questa quindi non vuole essere una notizia, bensì uno sfogo molto, forse troppo personale di un italiano all’estero ormai da alcuni anni, che ha lasciato il suo paese e che di mese in mese si allontana sempre più dall’idea di farvi ritorno.
Questo emendamento, questo arrogante gesto di ottusità, un’ennesima volta contro le direttive europee e ben lungi dal far rispettare gli impegni presi con il Protocollo di Kyoto, è solo la punta dell’iceberg del profondo disagio ed imbarazzo di chi come me ha quotidianamente modo di vedere come stanno davvero le cose in Paesi che, come in teoria l’Italia, dovrebbero fungere da modello per il resto del mondo in quanto almeno a ragionevolezza e senso del pudore (USA a parte, direi).
Ci sono cose ben più sconfortanti per un italiano del retrofront sulla certificazione energetica. Il fatto di avere case che consumano anche quattro volte più energia di quelle in Paesi molto più freddi del nostro può infastidire meno delle leggi o dei tentativi dell’attuale governo mirati a bloccare tutti i processi per un anno per evitarne uno al nostro surreale primo ministro; può far meno scalpore dell’immunità concessa, per dirla con Marco Travaglio, alle quattro “alte discariche dello Stato” (e che ovviamente ora anche la ridicola ed inutile opposizione reclama a sua volta); può nauseare meno del voler vietare le intercettazioni lasciando liberi pedofili, sequestratori, promotori di attricette e chi più ne ha più ne metta di agire indisturbati (quando poi siamo sempre e comunque monitorati e tenuti d’occhio da agenzie di marketing e da chiunque sia pronto a vendere qualcosa a noi o i nostri dettagli ad altri); può sembrare meno assurda del voler tornare all’energia nucleare in un paese in cui non si è (o non si vuole essere) nemmeno in grado di gestire rifiuti come ossa di pollo e pannolini (figuriamoci delle scorie radioattive). Ma, alla lunga, può avere lo stesso tipo di effetti devastanti.
In Italia tutto ciò che ha senso, tutto ciò che può realmente creare benessere (non solo a livello ambientale, ma anche e soprattutto economico) viene scartato a priori. Poter ridurre le emissioni di gas serra, cosa che continua a non interessare a nessuno in ogni paese del terzo mondo che si rispetti, può anche essere accantonata (finchè dura). Anche il fatto di bloccare sul nascere la possibilità di creare una miriade di nuovi posti di lavoro e di nuove figure professionali piuttosto che un mercato immobiliare parallelo in grado, come succede da anni in Germania, di risollevare le sorti anche di quello edilizio, non suscita nessun interesse.
Il fatto è che in Italia niente suscita interesse, a parte la cellulite di qualche attrice di mezza tacca in spiaggia o cose del genere. In Italia, come ha affermato Luca Mercalli in un suo intervento durante una conferenza di Wolfgang Sachs a Torino lo scorso Giugno (1), nessuno sarebbe pronto ad investire in pannelli fotovoltaici/solari o nella coibentazione della propria casa piuttosto che “investire” in un SUV. In Italia sembra che niente faccia sentire più quella sensazione frustrante che è la presa per i fondelli. E in una disarmante storia che si ripete, non succede mai nulla.
Forse ormai ho sviluppato senza rendermene conto una mentalità così lontana dai punti di vista dell’italiano medio che mi sembra assurdo che tutto possa continuare ad essere così com’è, nel mio Paese. Ma non riesco, non posso capire come tutto sia arrivato in Italia ad assumere toni talmente grotteschi.
Questo non vuole assolutamente dire che altri Paesi non abbiano problemi o difetti. Anche in Europa l’efficienza energetica non è presa abbastanza sul serio (a parte come al solito in Germania e nei Paesi scandinavi). Anche in Francia ed in Gran Bretagna, per esempio, insistono col nucleare nonostante i costi e i numerosi incidenti degli ultimi tempi. Anche negli altri Paesi la classe dirigente si arrampica sui vetri per promuovere una improbabile (o meglio, impossibile) crescita senza limiti o altre assurdità per far fronte alla recessione globale in cui ormai siamo tutti immersi. La differenza sta però nel fatto che qui c’è ancora speranza, ovviamente non di un’immediata ripresa economica, ma almeno delle riforme culturali che possano far fronte alla crisi. La differenza è che se migliaia di persone scendono in piazza a manifestare non vengono ignorate o ridicolizzate come da noi. Quando si guarda un telegiornale ci si può fare un’idea su ciò che succede, e quando un politico o un portavoce del governo è ospite di questo o quel tg deve fronteggiare le incalzanti e a volte taglienti domande dei giornalisti, non si mette d’accordo prima su ciò che gli si può o deve chiedere, come evidentemente succede nell’ex Bel Paese.
Insomma si intravede la possibilità di un cambiamento. Cosa che in Italia, personalmente, non vedo, non sento e in cui inizio a non sperare.
Lo vedo dall’atteggiamento di molte, moltissime persone quando sono lì, dai loro punti di vista omologati e quasi sempre ideologizzati, dalle opinioni preconfezionate della maggioranza dei miei concittadini, dalle e-mail riguardanti queste tematiche che non vengono neanche aperte/lette addirittura da alcuni amici o parenti a cui le spedisco.
Ma come biasimarli? È molto difficile e si sviluppa una certa individualistica indifferenza quando si convive perennemente con la frustrazione derivante dal fatto che ogni progetto, ogni proposta, ogni possibilità di miglioramento o di reale innovazione (in qualunque campo) verrà soffocata sul nascere da qualche politicante o da qualche imprenditore che non ci vede un guadagno immediato. Come si può provare interesse o avere il tempo di provarne per certe tematiche quando ci si deve ammazzare di lavoro per guadagnare tre soldi che se ne vanno regolarmente dopo due giorni dall’incasso dello stipendio?
Francamente non lo so. E a differenza delle altre volte, non saprei neanche quali soluzioni o risposte trovare, nemmeno se fossi davvero in grado di farlo e nemmeno per il piacere di non sentirmi dare della Cassandra o del disfattista.
So soltanto che, anche se suona arrogante, è con tutta l’umiltà di cui sono capace che consiglio ai miei concittadini di svegliarsi, prima che sia troppo tardi. Perché i tempi a venire saranno molto duri.
E so anche che tutta la mia voglia di rientrare in patria va, mio malgrado, sempre più scemando. Fino a che, temo, mi condurrà piano piano ad un eterno esilio volontario.

(1): “Per un futuro equo: caos climatico e giustizia globale”. Un’interessantissima conferenza di Wolfgang Sachs, membro del Wuppertal Institut, del Club di Roma e presidente dell’evento Terra Futura, tenutasi appunto a Torino presso il Museo Regionale di Scienze Naturali Venerdì 20 Giugno 2008.