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Deserto deforestato

di Marinella Correggia - 30/07/2008


 

Incendi dolosi, pascolo, taglio illegale del legname, prelievo incontrollato di carbone, espansione della frontiera agricola. Pare di sentir elencare le cause della distruzione dell'Amazzonia brasiliana. Invece questo cahier de doléances si riferisce al Burkina Faso; ne parla l'agenzia stampa internazionale Inter Press Service, citando uno studio del ministero dell'Ambiente : 110.000 ettari di riserve forestali scompaiano ogni anno; 75.000 sono trasformate in colture, case e piccole cittadine; il resto è divorato da un prelievo distruttivo di risorse. Ovvia la differenza rispetto all'Amazzonia: qui non si parla di foreste pluviali tropicali, ma di aree fitte di alberi a far da barriera contro il deserto e spesso derivanti da recenti piantumazioni.
Il programma ecopartecipativo «ogni villaggio, un bosco di villaggio» fu tra i tantissimi lanciati dal presidente Thomas Sankara prima di essere ucciso nel 1987. Fra le priorità della rivoluzione c'erano infatti la lotta all'avanzata del deserto, tragedia ecologica e sociale per l'intero paese a cominciare da quel 90 per cento della popolazione che viveva e lavorava nei campi riarsi. Tuttora copiano dalle invenzioni dell'epoca sankarista diverse iniziative governative: il programma nazionale «mese dell'albero» e l'operazione «65/15»: «65.000 alberi in 15 minuti». Periodicamente funzionari pubblici, deputati, soldati si aggiungono agli agricoltori e agli abitanti dei villaggi e personalmente vanno a piantare alberelli nelle riserve forestali durante la stagione delle piogge. L'anno scorso si è così arrivati a nove milioni di nuovi alberi, mentre le aspettative erano di 7 milioni e appena quattro anni fa non si arrivava a 3,5 milioni all'anno. Continuano le campagne di educazione comunitaria, e c'è anche un sistema di premi - in genere in natura: attrezzi agricoli, ad esempio; o materiale scolastico - per le migliori iniziative di protezione dei boschi. Presto i premi saranno estesi all'ambito urbano e alle associazioni attive nel miglioramento ambientale.
Ma appunto questi passi avanti sono annullati dalle minacce derivanti da uno sviluppo incontrollato, legato al business ma anche ai bisogni socioeconomici di una popolazione in aumento. I risultati sono gravi: degrado di ecosistemi fragilissimi, sedimentazioni che bloccano le limitate vie d'acqua, aree afforestate scomparse, riduzione della produzione di beni forestali. Anche quelli il cui prelievo è più sostenibile, quelli diversi dal legname, i cosiddetti «non wood forest products»: frutti oleosi, foglie e parti medicinali, oli, erbe commestibili...
Il governo pensa a piani di spostamento di insediamenti situati in riserve forestali. Tuttavia secondo Moustapha Sarr che è direttore del parco Bangréwéogo, un antico bosco riabilitato di recente e diventato il polmone verde della polverosa capitale Ouagadougou, il problema non sono le comunità dei luoghi interessati, che da anni proteggono gli alberi, ma nuove attività estrattive che non predispongono un adeguato reintegro di quanto prelevato. Ma certo la povertà ha molto a che vedere con il fenomeno. Più del business che invece è alla radice del disastro amazzonico imputabile ai latifondisti dei pascoli e della soia, ai mercanti di legname pregiato e alle multinazionali estrattive. E se le popolazioni rurali e urbane tuttora ricorrono al taglio massiccio di legna da ardere e all'acquisto di carbonella è per mancanza di alternative; sulle cucine solari non si è mai davvero puntato, e la diffusione del gas da cucina va a rilento.