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Padroni di un mondo di plastica

di Raffaele Ragni - 01/08/2008

 

Padroni di un mondo di plastica


L’archeologo danese Christian Jürgensen Thomsen (1788-1865) divide la preistoria in quattro età principali, in funzione del tipo di materiali utilizzati per fare gli oggetti di uso quotidiano. Ogni età viene a sua volta suddivisa in periodi secondo le tecniche prevalenti nella lavorazione dei materiali. La prima è l’età della pietra, divisa in Paleolitico, Mesolitico, Neolitico. Segue l’età del rame, che è un’era intermedia caratterizzata dall’uso dell’aratro, l’emergere di gerarchie sociali, la costruzione di megaliti. Infine abbiamo l’età del bronzo (dal 3500 al 1200 a.C.) e l’età del ferro (dal 1200 a.C. alla cosiddetta cultura storica) caratterizzata dalla presenza di fonti scritte.
Se soltanto quattro metalli sembrano sufficienti a periodizzare la preistoria, molto più numerose sono i materiali che caratterizzano la civiltà industriale. Secondo l’UNCTAD - l’organismo delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo fondato nel 1964 - le materie prime o prodotti di base sono 140 in totale. L’analisi del loro assorbimento da parte di un apparato produttivo ne rivela i caratteri strutturali. Esiste infatti una comprovata sincronia tra dinamica economica e consumo di materie prime. Un certo materiale - in proporzione alla sua diffusione, alla intensità d’uso ed al legame con i settori dominanti - funge da indicatore ciclico, contribuisce a spiegare la dinamica complessiva del sistema economico, svela le principali interdipendenze tecnologiche ed industriali.
Ad esempio, collegando le intensità d’uso di alcune materie prime con le diverse fasi dello sviluppo degli Stati Uniti, si nota che il cotone coincide con l’avvio dello sviluppo industriale, la ghisa ed il rame con la maturità tecnologica, l’alluminio e le materie plastiche con il consumo di massa. Inoltre il consumo pro capite di un certo materiale rivela la specializzazione settoriale di un certo Paese. Ad esempio l’Italia ha presentato per lungo tempo un consumo di ossido di piombo nettamente più elevato rispetto a tutti gli altri Paesi a causa della sua specializzazione nella produzione di piastrelle in ceramica, la cui tecnologia ha comportato un largo impiego di composti chimici, almeno fino alla metà degli anni settanta. Analogamente il Giappone presenta un consumo di rame molto alto a causa della sua specializzazione nell’elettromeccanica e nell’elettronica. Sempre l’Italia presenta un consumo di ottone cromato insolitamente alto a causa della sua specializzazione nella produzione di rubinetteria sanitaria.
Volendo definire la nostra epoca con riferimento al materiale che meglio la caratterizza, potremmo definirla età della plastica. La scrittrice no global Naomi Klein, nel suo celebre libro No Logo (2001), accenna alle suggestioni esercitate sul suo immaginario infantile da quel mondo di plastica rappresentato da certe catene di fast food americane, dove tutto l’insieme - locali, arredamento, confezioni, e lo stesso cibo - comunica al potenziale cliente una sensazione di plasticità, che la proprietà, tipica delle materie plastiche, di essere modellate e colorate in vario modo. Sentendosi a proprio agio in un ambiente giocoso e confortevole, il consumatore si lascia plasmare, nei propri gusti, dal layout più che dal menù, e finisce col ingurgitare, quasi senza accorgersene, alimenti di pessima qualità.
Storicamente l’età della plastica inizia tra la prima e la seconda rivoluzione industriale quando H.Regnault ottiene il PVC mediante polimerizzazione (1835). Circa un secolo dopo W.H.Carothers produce il nylon, la prima fibra tessile artificiale. Attualmente le materie plastiche - che sono derivati dei combustibili fossili (carbone, petrolio, metano) - pervadono tutti i settori industriali, in particolare imballaggi, edilizia, trasporti, arredamento, comunicazioni, agricoltura, salute, sport, tempo libero. Le leghe ferro-carbonio (ghisa ed acciaio) - la cui produzione costituisce la siderurgia, settore a lungo considerato motore e simbolo dello sviluppo industriale - davano un’idea di potenza, duratura e radicata sul territorio dove sorgevano le fabbriche. La plastica, per la sua origine e diffusione, è metafora del potere mondialista, nella sua capacità di compenetrare ogni apparato.
Si ritiene che il prezzo del petrolio influenzi, più di ogni altro fattore, le quotazioni delle materie plastiche. Ciò non è dovuto tanto al rapporto tra i due settori, considerato che la produzione mondiale di materie plastiche assorbe appena il 4% annuo dell’offerta petrolifera, quanto al ruolo di particolari provider che elaborano e diffondono informazioni sull’andamento dei prezzi. Esse servono ad orientare non solo il comportamento - spesso irrazionale - delle industrie di produzione e trasformazione, ma soprattutto la speculazione finanziaria. Non c’è da meravigliarsi quindi se, anche il mondo della plastica, sia dominato dalla stessa oligarchia che governa altri settori strategici, come l’energia, il farmaceutico, l’agroalimentare, l’informazione.
Sul mercato globale i prezzi dei prodotti petrolchimici sono determinati dall’andamento di due indici - noti come ICIS-LOR e PLATTS - i quali condizionano, grazie alla particolare pervasività delle materie plastiche, la struttura dei costi di approvvigionamento e produzione di tutti i settori economici. Analizzando la struttura, non tanto degli indici, quanto delle società che li gestiscono, scopriamo interessanti relazioni interne all’oligarchia mondialista.
L’indice ICIS-LOR è un paniere di dodici prodotti: etilene, propilene, benzene, toluene, paraxilene, stirene, metanolo, butadiene, PVC, polietilene, polipropilene, polistirolo. Le informazioni sull’andamento dei prezzi sono raccolte a Londra, Houston, Singapore, Shanghai. La metodologia si basa, oltre che sull’elaborazione statistica dei dati storici, sulla pretesa di valutare gli effetti, sull’andamento dei prezzi, delle reazioni degli operatori al previsto andamento dei prezzi. Non è un gioco di parole. In sostanza l’indice viene elaborato non soltanto analizzando come variano ciclicamente determinati valori, ma studiando come reagiscono le imprese alla diffusione di dati, talvolta opportunamente falsati o influenzati dalla speculazione.
Il servizio è offerto da una divisione della Reed Elsevier, primaria casa editrice e provider di informazioni a livello mondiale. Essa pubblica analisi di mercato ed offre servizi online destinati agli operatori di svariati settori: informatica, trasporti, turismo, agricoltura, alimentazione, finanza, scienza, motori, immobili. Tra i suoi principali azionisti compaiono grandi holding della finanza globale: First Manhattan Company, JP Morgan Securities, The Roosevelt Investment Group, Jarislowsky Fraser, Credit Suisse. Il potere usuraio è presente, con maggiore rilevanza, nel portafoglio del provider che gestisce l’altro indice dei prodotti petrolchimici, il PLATTS. Trattasi di una divisione della McGraw-Hill Companies, azienda globale presente in 150 Paesi in settori di grande importanza, come petrolio, metano, carbone nucleare, elettricità, metalli. Tra i suoi brand più noti citiamo Business Week e Standard & Poor’s. Tra i suoi principali azionisti figurano: Barclays Global Investors, Goldman Sachs Asset Management, Vanguard Group, Deutsche Asset Management Americas, Barclays Global Investors.
Ma non finisce qui. Utilizzando i dati PLATTS viene elaborato un altro indice, chiamato ITEC, che serve come riferimento nelle contrattazioni sul mercato termoelettrico italiano, non esistendo alcun ente pubblico che possa intervenire in merito. L’indice è gestito da una società di consulenza – che si chiama Ricerche per l’Economia e la Finanza (REF) – e la Morgan Stanley, che è tra i principali speculatori sul mercato dei derivati, soprattutto swaps, su materie prima come carbone, olio combustibile, petrolio Brent.
Tra gennaio 2006 e giugno 2008, il prezzo del petrolio è aumentato in proporzione maggiore (+ 82,17%) rispetto sia all’indice ICIS-ILOR (+ 26,89%) che all’indice PLATTS (+ 22,97%). Se poi rapportiamo le rispettive percentuali d’incremento, emerge che i prodotti petrolchimici assorbono circa il 30% dell’aumento del prezzo del petrolio. Ciò significa che, per quanto le industrie siano collegate e controllate dalle stesse holding, intervengono fattori speculativi molto complessi, per cui non è esatto dire, come comunemente si crede, che il prezzo delle materie plastiche aumenta perché aumenta il prezzo del petrolio. Gli indici dei prezzi andrebbero quindi gestiti da enti pubblici, realmente indipendenti dalle multinazionali dei rispettivi settori.
I tentacoli dell’oligarchia si estendono a tutti i mercati. A lucrare in base alle informazioni diffuse sono gli stessi apparati che le producono e le diffondono. Il rapporto tra dati congiunturali e comportamento degli operatori è spesso l’inverso di quanto normalmente si crede. L’andamento dei mercati è più un effetto che una causa, nel senso che, i provider che diffondono determinate informazioni tendono spesso a provocare, o semplicemente a sperimentare, la reazione dei mercati. Citando gli azionisti dei provider che muovono il mercato dalla plastica, partendo dal petrolio e finendo all’energia termoelettrica, non abbiamo preteso svelare alcun segreto. Sapremo tuttavia chi maledire al prossimo rincaro della bolletta di luce e gas.