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Iraq, Speranza e disperazione a Bassora

di John Humphrys - 28/08/2008


 

Viaggiate poche ore a sud di Baghdad, vi dicono gli iracheni, e, secondo la mitologia locale, arriverete al Giardino dell'Eden: è il punto in cui le acque dei grandi fiumi Tigri ed Eufrate si uniscono prima di sfociare nel Golfo Persico.

I viaggiatori che nell'antichità avevano attraversato il deserto ostile avrebbero fissato con ammirazione questa valle fertile; lussureggiante, verde, e accogliente: la culla dell'umanità – o almeno così dicono.

Ma andate un po' più a sud e arriverete nella città moderna di Bassora. Se il Giardino dell'Eden era il paradiso in terra, Bassora è l'inferno sulla terra. Ci sono appena stato per la seconda volta in due anni, sono partito provando un misto di gratitudine, ammirazione, e disperazione.

La gratitudine deriva dal fatto che vivo altrove. E' stato meraviglioso, dopo questo incarico, tornare a casa in una città nella quale l'acqua pulita esce dai rubinetti e una interruzione di elettricità è un evento raro; nella quale pensiamo che faccia troppo caldo quando la temperatura supera i 26° C.

A Bassora, in questo periodo dell'anno, 48° C sono una cosa comune, e uscire al sole nel caldo della giornata significa aprire lo sportello di un forno.

Spesso il sole è oscurato da una nuvola aggressiva di sabbia e graniglia, che sfrega qualunque parte del corpo esposta, occlude le narici, ed è talmente densa che può persino bloccare il segnale del vostro cellulare. Nella mia città, giù per le grondaie scorre l'acqua piovana. Nelle parti più povere di Bassora, sono i liquami non trattati.

Fin qui per la gratitudine. L'ammirazione è generata dalla forza d'animo e dal resistenza della gente, che qui è riuscita a sopravvivere attraverso decenni di repressione, corruzione su scala massiccia, e violenza micidiale.

E non solo la gente del posto. E' difficile non essere colpiti dagli uomini e dalle donne delle forze armate britanniche, che hanno fatto del loro meglio negli ultimi cinque anni per aiutare a proteggerla.

Sì, è vero che sono andati volontari: nessuno li ha fatti entrare nell'esercito. E' vero anche che ci sono alcuni cattivi ufficiali e soldati che hanno tradito i loro colleghi con il loro comportamento brutale. Ci sono sempre cattivi soldati: ce ne saranno sempre.

Ma la maggior parte sta facendo un lavoro adeguato in condizioni terrificanti per una paga abbastanza bassa – e non c'è nemmeno una birra fredda da bere alla fine della giornata per ricompensarli.

Il loro turno di servizio è di sei mesi. A me sei giorni sono stati più che sufficienti.

Ma quella che vi rimane dentro è la disperazione. Nonostante tutte le promesse di ricostruzione fatte alla gente di Bassora dopo il rapido rovesciamento di Saddam Hussein, ci sono ancora ben pochi segnali di qualunque miglioramento reale.

Sotto alcuni aspetti, le cose sono peggiorate. I discorsi sulla ricostruzione suonano vuoti quando si attraversano in macchina le strade di questa città in rovina, si inciampa nei marciapiedi dissestati, si impreca contro l'ennesimo blackout, ci si tira indietro di fronte alla fanghiglia marrone che compare quando si apre un rubinetto. La gente del posto vi dice che arriva direttamente dall'acqua lurida del fiume Shatt al-Arab.

Ho chiesto a un uomo se la beve. 'Berla?' Era scioccato solo all'idea. 'Non lascerei che i miei bambini ci si lavassero le mani!'

Bassora non sta peggio di molti altri posti. Sono stato in città del Terzo mondo che sono altrettanto malridotte, e in alcune che sono molto, molto più povere.

A Bassora nessuno muore di fame – ma non è questo il punto. Perché, a differenza di altre regioni dimenticate da Dio, noi avevamo preso un impegno con la gente del sud dell'Iraq.

Abbiamo invaso il loro Paese – bene o male – e gli avevamo fatto delle promesse. Gli avevamo promesso la fine della dittatura di Saddam: sarebbero stati liberi – liberi di badare ai loro affari, liberi dalla repressione, e liberi di votare per il governo che avrebbero scelto.

Molto di questo è stato mantenuto.

C'è la tentazione di ricordare Saddam come quel latitante stravolto e sudicio, tirato fuori dalla buca nel terreno in cui aveva cercato invano di nascondersi dai suoi conquistatori; tenuto in carcere e deriso quando erano state pubblicate le sue foto: un uomo anziano e spaventato in mutande, privo di dignità, e che come unica via d'uscita aveva il cappio del boia.

E' una tentazione, ma è sbagliato. Il ricordo degli anni di Saddam sta cominciando a svanire, ma lui non verrà mai dimenticato- e ogni tanto una osservazione buttata là fa ricordare che mostro fosse.

Stavo girando per uno dei suoi molti palazzi assieme a un uomo del posto, dando un'occhiata al fregio decorato in modo elaborato in una delle numerose immense stanze. 'Conoscevo gli uomini che l'hanno fatto', mi aveva detto.

Ho pensato che sarebbe stata una buona idea cercare di parlare con loro, così ho chiesto se erano ancora a Bassora.

'No', mi aveva risposto. 'Due di loro avevano dipinto le proprie iniziali in lettere minuscole sul bordo del fregio dopo averlo finito. Saddam vide le iniziali quando venne a ispezionare il lavoro e li fece fucilare.

'Il palazzo doveva essere visto come il risultato di Saddam, e a nessun altro era consentito di rivendicare alcun merito per il lavoro'.

La gente di Bassora – per la maggior parte sciiti – aveva festeggiato la caduta di Saddam nel 2003, e dato il benvenuto agli uomini che l'avevano provocata. Un'altra promessa che gli avevamo fatto era che sarebbero stati più sicuri sotto il nuovo regime: nei giorni inebrianti che seguirono, lo furono.

L'occupazione britannica di Bassora veniva presentata al mondo come un modello nel suo genere: un esempio di come dovrebbero comportarsi le forze occupanti. L'approccio duro dei nostri alleati americani a nord non faceva per loro.

Mentre i Marines pattugliavano le strade di Baghdad in tenuta da combattimento, buttando giù a calci le porte, urlando, sparando e venendo colpiti, gli inglesi erano i bravi poliziotti: indossavano berretti, avevano il sorriso sulle labbra, e caramelle per i bambini nei loro zaini. Erano i liberatori, e venivano trattati come tali.

Alcuni di noi che avevano lavorato in Irlanda del Nord più di 30 anni prima, ricordavano una accoglienza simile per i soldati britannici nelle zone cattoliche di Belfast, appena erano arrivati: tazze di tè offerte, pacche sulle spalle – e si chiedevano quanto sarebbe durata questa accoglienza simile a Bassora. La risposta arrivò rapidamente, ad opera di milizie estremiste fedeli a sciiti intransigenti e ai loro leader religiosi fanatici.

Quando andai per la prima volta a Bassora, due anni dopo l'invasione, era diventata in effetti un posto molto pericoloso – specialmente per gli inglesi.

Le milizie avevano di fatto preso il controllo, e gli inglesi erano il nemico: quando pattugliavano la città, non andavano più per le strade a passo lento con i berretti, chiacchierando con la gente del posto: stavano accucciati nel retro di enormi Warrior blindati.

Persino con quel tipo di protezione, non erano al sicuro dalle bombe collocate sul ciglio della strada e dagli attacchi con i lanciagranate. Dall'inizio della guerra, 176 militari britannici in tutto sono stati uccisi nel sud dell'Iraq.

I funzionari governativi britannici cercarono di gestire la città dal loro quartier generale – all'interno del Basra Palace, protetti da una guarnigione di soldati britannici. E' lì che sono stato – e per poco la mia produttrice non ci ha rimesso la vita.

Si trovava all'interno di una delle "capsule" ricavate al suo interno come alloggi, quando è caduto un missile sul tetto pochi decine di centimetri sopra di lei. Grazie a Dio, l'esplosione venne deviata, e lei se la cavò con niente di più di un brutto mal di testa. Era uno dei circa 40 missili lanciati contro di noi in 72 ore.

Meno di una settimana dopo che eravamo partiti, gli inglesi si ritirarono dal palazzo nella sicurezza relativa della base aerea pochi chilometri fuori Bassora. La lunga colonna di veicoli blindati con l'Union Jack segnava una ritirata umiliante. Questo fu il punto più basso dell'occupazione.

I diplomatici britannici avevano scambiato i dintorni lussuosi del vecchio palazzo di Saddam con poche baracche circondate da soldati, e dalla puzza di un sistema fognario che non riusciva a far fronte alle richieste.

Una delle baracche aveva un piccolo cartello attaccato alla porta. C'era scritto: Ambasciata britannica.

Sarebbero arrivate altre umiliazioni. Con gli inglesi rannicchiati nella base aerea, che facevano poco più che aiutare ad addestrare le forze di sicurezza irachene e proteggere se stessi, l'autorità ce l'avevano le milizie.

Il regno del terrore di Saddam era stato sostituito da una versione diversa, e sembrava che loro non potessero farci niente. Non potevano rivolgersi alle forze di polizia, che a loro volta erano piene di corruzione, e – peggio – di estremisti.

Un soldato britannico mi raccontò che aveva fermato una macchina della polizia, aveva aperto il portabagagli, e aveva trovato all'interno una bomba. Era destinata a lui e ai suoi colleghi.

L'obiettivo delle milizie era trasformare il sud dell'Iraq in uno Stato islamico fondamentalista soggetto alla legge della Shari'a. Sotto alcuni aspetti, erano persino peggiori di Saddam. Almeno sotto la sua dittatura le donne avevano più o meno la parità.

Non più. Se si vestivano o si comportavano in modo 'impudico', venivano punite – a volte con la morte. I corpi di donne sfigurate venivano trovati per strada: il loro 'crimine' era stato quello di indossare abiti occidentali o di mettersi un po' di rossetto.

A Bassora c'era una comunità cristiana piccola ma vivace – ritenuta la più antica del mondo. Adesso è praticamente estinta.

Andrew White, il coraggioso e impegnato leader anglicano in Iraq, ha raccontato a una commissione del Congresso, a Washington, una conversazione avuta con un gruppetto di fedeli cristiani.

'Gli avevo detto: "Raccontatemi cosa è successo durante la settimana scorsa". E mi hanno detto tutto quello che era successo, e mi sono reso conto che 36 persone della mia congregazione erano state sequestrate. Nessuno di loro è tornato'.

Molti altri sono stati torturati o semplicemente assassinati. Ormai, la maggior parte sono fuggiti dal Paese.

E poi, poco più di tre mesi fa, tutto è cambiato. Senza che gli inglesi ne venissero neppure informati, il Primo Ministro iracheno, Nuri al-Maliki, discuteva con gli americani a Baghdad un piano per un assalto generalizzato contro le milizie a Bassora.

Sarebbe stato chiamato 'Operazione Carica dei Cavalieri'. Ebbe inizio all'alba del 25 marzo.

Trentamila fra soldati e poliziotti iracheni, secondo le stime, la maggior parte addestrati dalle forze della coalizione e con il supporto aereo degli americani, entrarono in azione.

Ancora una volta le strade di Bassora furono trasformate in una zona di guerra.

Gli inglesi sentirono le bombe cadere dalla sicurezza della loro base aerea, ma non furono coinvolti nei combattimenti fino agli ultimi due giorni dell'operazione.

Poche settimane dopo, ne vidi gli effetti di persona: le milizie erano scomparse dalle strade, la gente del posto affollava nuovamente i caffè e i ristoranti la sera. Si dice persino che in alcuni posti si serva l'alcol.

Le donne che ho visto indossavano ancora abiti tradizionali, ma una ragazza attraente mi ha detto che alcune delle sue amiche erano pronte a indossare vestiti occidentali – persino minigonne – senza timore.

E la gente non aveva più paura di essere vista parlare con occidentali.

Il grande vanto al Consolato britannico era che tutti gli iracheni che avevano invitato alla festa di quest'anno per il compleanno della regina erano venuti. L'anno precedente nessuno di loro l'aveva fatto.

L'ultima vittima britannica è stata quattro mesi fa: un uomo della RAF [l'aeronautica militare britannica NdT] ucciso da un missile 'fortunato' lanciato contro la base.

Nel periodo in cui ci sono stato io, ho sentito le sirene d'allarme una sola volta – e anche allora non sono caduti missili. I poliziotti che stavano pattugliando il perimetro della base avevano visto alcuni segnali di preparativi per un attacco con missili, e avevano telefonato alla base per avvertire. Questo, di per sé, era incoraggiante – la prova che i poliziotti stanno facendo il loro lavoro.

L'unica volta in cui ho avuto la sensazione che fossimo davvero in pericolo è stato quando sono uscito in pattuglia con alcuni soldati iracheni. I miei sorveglianti britannici non erano molto entusiasti all'idea, e avevo dovuto puntare un po' i piedi prima che acconsentissero a lasciarmi andare. Dopo un paio d'ore per strada con gli iracheni, ho iniziato a capire perché erano stati riluttanti.

Gli inglesi adesso pattugliano dentro veicoli blindati – bestioni chiamati Mastiff acquistati dagli americani. Le Land Rover 'morbide' alla fine sono state abbandonate dopo che in troppi fra coloro che le utilizzavano erano stati uccisi o feriti, ed erano state fatte troppe domande imbarazzanti da parte di deputati e familiari in lutto.

Gli iracheni utilizzano camioncini pick-up con una mitragliatrice montata sul retro e una mezza dozzina di soldati, con le gambe spesso a penzoloni in modo disinvolto sulla sponda posteriore. Sfrecciano in giro per le strade, strombazzando con il clacson e urlando agli amici – come motociclisti ansiosi di far colpo sulle loro ragazze.

La sensazione che si ha è che sentano di essersi ripresi la loro città dagli invasori stranieri e dalle milizie.

Ma gli inglesi sono ancora molto guardinghi. Mi è stato detto che i miei progressi venivano monitorati da un aereo senza pilota che volava alto senza essere visto sopra la città.

Gli ufficiali con i quali ho parlato non credono veramente che le milizie – il cosiddetto Esercito del Mahdi – siano state sconfitte. Le informazioni che in quel periodo arrivavano dalle strade indicavano che molto pochi di loro erano stati uccisi.

L'ipotesi è che fosse stato raggiunto un qualche tipo di compromesso con le autorità, e le milizie abbiano rinviato la battaglia.

Se combatteranno di nuovo – a parte il missile occasionale – dipende da due cose: l'efficacia delle forze di sicurezza irachene, e la misura in cui possono contare sull'appoggio della popolazione locale, e in particolare dei giovani.

Secondo le stime, la disoccupazione nella regione è all'80 per cento circa. Sono alla ricerca disperata di un lavoro e afferreranno qualunque cosa venga offerta.

Io osservavo un gruppo di 200 uomini – alcuni anziani, altri giovani – che venivano pagati per alcuni giorni di lavoro dalle forze della coalizione.

Un colonnello britannico, che era in piedi assieme a me nel caldo rovente, e li guardava mentre facevano la fila per i loro soldi, mi ha detto che alcuni di loro indubbiamente saranno stati ugualmente felici qualche mese fa di prendere pochi dollari dalle milizie per lanciare un missile o due contro di lui e i suoi uomini.

Ma perché dovremmo preoccuparcerne? Può darsi che Gordon Brown sia stato un po' frettoloso un anno fa, quando è volato a Bassora e ha promesso il ritiro dei soldati britannici. L'anno prossimo, di questi tempi, è improbabile che ne saranno rimasti più di un numero assai ridotto.

Allora, perché è così preoccupante? Una parola riassume tutto: petrolio. Bassora è l'unico porto dell'Iraq, e l'Iraq è il terzo produttore al mondo di greggio. Due terzi delle riserve irachene si trovano sotto i deserti che circondano la città. Se avete acquistato una tanica di benzina negli ultimi sei mesi, saprete perché Bassora è importante per tutti noi in Occidente.

L'ultima volta che le forze britanniche invasero l'Iraq fu nel 1941, e l'ordine arrivò da Winston Churchill al comandante supremo in Medio Oriente, Generale Sir Archibald Wavell.

Wavell era riluttante, ma Churchill insistette. Era essenziale, disse, perché la Gran Bretagna stava combattendo una guerra, e dovevamo proteggere le riserve petrolifere vitali per lo sforzo bellico britannico.

In un mondo in cui i prezzi del petrolio sono più alti di quanto non siano mai stati, la stabilità del sud dell'Iraq è tuttora vitale.

Abbiamo vinto la guerra nel 1945, ma oggi stiamo combattendo un tipo di guerra diverso. Questa volta, l'esito è assai meno certo.

Daily Mail, 22 luglio 2008

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)