Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Dietro il gioco dell'eterna ragazzina tutto il malessere delle quarantenni d'oggi

Dietro il gioco dell'eterna ragazzina tutto il malessere delle quarantenni d'oggi

di Francesco Lamendola - 28/08/2008

Quarantenni, cinquantenni e, a volte, perfino sessantenni che giocano il gioco dell'eterna ragazzina; che non solo vestono e si acconciano come le quindicenni - le loro figlie e le loro nipoti -, ma cercano di vivere come le quindicenni.

Pensano, sperano e sognano come le ragazzine, alle quali cercano di somigliare anche fisicamente, nella camminata e nel parlare; svolazzano qua e là, di fiore in fiore, all'inseguimento di beni suggestivi, ma inconciliabili: il massimo della libertà (a senso unico) con il massimo della gratificazione professionale, umana, affettiva e sentimentale. In altre parole, il massimo del profitto con il minimo dell'investimento.

Se hanno già un uomo, lo lasciano con relativa facilità, deluse  di non avervi trovato tutto ciò che speravano e insofferenti di una situazione che tarda a correggersi secondo i loro desideri. Se non l'hanno, ostentano con orgoglio la propria solitudine, che chiamano indipendenza (grazie anche al neologismo inglese single, che l'ha trasformata in un attributo di fierezza).

Ma la realtà è che, spesso,  non vedono l'ora di potersi togliere dalle spalle un fardello così gravoso, imbarcandosi allegramente - come ragazzine, appunto - in qualche avventura che le strappi alla monotonia del quotidiano. Salvo poi collezionare, sempre come inesperte ragazzine, una delusione dopo l'altra: costantemente impegnate nella caccia affannosa al grande amore - che non sia così grande, però, da minacciare anche solo di un millimetro la loro assoluta autonomia.

Dedicano cure incessanti e spossanti al loro aspetto fisico; sono disposte a spendere un patrimonio in abbigliamento, prodotti cosmetici e cure estetiche (risparmiando, magari, sulla qualità dell'alimentazione, cioè sulla salute); vanno in palestra per spremere dal proprio corpo ruscelli di sudore e rischiano pure qualche infortunio, non più elastiche e scattanti come amano rappresentarsi nella propria immaginazione; fantasticano, davanti allo specchio, in lingerie quanto mai conturbanti, arrampicate in cima a vertiginosi tacchi a spillo: ma non è raro che riescano a sedurre nessun altro che se stesse - e, per di più, con la cattiva coscienza di chi sa di autoingannarsi.

Se hanno figli, non si può dire che si dannino l'anima a star loro dietro, con la scusa che, tanto, «devono imparare a gestirsi da soli»; e quanto prima ciò accade, tanto meglio per tutti. Le maestre o i professori avrebbero molte cose da dir loro, ma ben di rado si fanno vedere ai colloqui scolastici.  In compenso, dedicano ore ed ore alle sedute sotto le lampade abbronzanti (rovinandosi irreparabilmente la freschezza della pelle, cui dicono di tenere tanto) e dedicano quantità industriali di tempo allo shopping con le amiche ragazzine (quarantenni, cinquantenni e sessantenni come loro).

In realtà, non vedono l'ora che i figli diventino grandi abbastanza da poterli ignorare senza provare più il minimo senso di colpa. Oppure per giocare a fare le «amiche» dei propri figli e, magari, dei loro amici; non escludendo, in linea di principio, di sedurre questi ultimi per continuare a sentirsi giovani.

Che gusto, per loro, esibire davanti a tutti (e specialmente davanti agli ex mariti, se ne hanno) il proprio amante diciottenne. La classica frase «fa all'amore con un ragazzo che potrebbe essere suo  figlio», per questo tipo di donne, suona come un meraviglioso complimento; come la conferma, cioè, che sono fresche e desiderabili quanto delle ragazzine, ciò che appunto vorrebbero essere e si convincono di essere.

Esagerazioni? Non tanto. Si tratta di casi più frequenti di quel che non si creda; noi stessi ne conosciamo alcuni personalmente

Una volta, la quarantenne o la cinquantenne che si faceva l'amante baby provava qualche disagio e qualche rimorso; quanto meno, non si sarebbe mai sognata di ostentarlo. Ma adesso, in tempi di emancipazione a tutto campo, perché farsene un problema? Anzi, al contrario: è una prova di quanto valgono, dato che pensano di valore nella misura in cui le si può equiparare alle loro figlie o nipotine sul piano dell'attrazione erotica.

E poi, che roba sono gli scrupoli e i rimorsi? Anticaglie del passato dal sapore medievale. Cose da lasciarsi dietro le spalle, perché oggi - per le donne non meno che per gli uomini - vige tutt'altra filosofia di vita.

Ogni lasciata è persa, questo è il nuovo ed unico comandamento: e allora, perché privarsi di quel bel grappolo d'uva che pende a portata di mano? Sarebbe da sciocchi o, peggio, da ridicoli sentimentali.

 

Non sono tutte così, naturalmente; ci mancherebbe.

Ve ne sono numerose altre che si spendono con generosità, con abnegazione per i propri familiari; se non hanno un compagno, per i figli; e, se sono del tutto sole, per un proprio ideale di coerenza e di rispetto di se stesse (cfr. il nostro articolo Donne sole, con dignità, consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice).

Ad esse va tutta la nostra simpatia e la nostra stima. Forte e vivo è il contributo che esse danno alla bellezza del mondo; dobbiamo ringraziarle per il solo fatto di esserci. Se non vi fossero, saremmo tutti un po' più poveri.

Ma a noi, in questa sede, interessa ragionare su quelle altre: sulle finte ragazzine che hanno raggiunto, o anche superato abbondantemente, l'età della menopausa; e che, tuttavia, vivono in una tenace sindrome di Peter Pan al femminile, senza avere il coraggio di chiamarla con il suo vero nome - immaturità -, ma gabellandola per indipendenza o, addirittura, spacciandola per una sorta di              post-femminismo tanto confuso, quanto velleitario.

Ma cosa abbiamo da rimproverare loro, visto che non fanno niente di male, in fondo, se non cercare - come tutti, del resto - un po' di felicità in questa vita?

Niente: tranne il fatto che si rendono ridicole.

È uno spettacolo malinconico, quello di una donna matura che potrebbe risplendere nel fascino dei suoi quaranta, cinquanta o sessant'anni, mentre preferisce buttarsi via per la smania puerile di cancellare la carta d'identità e di scimmiottare le (malinconiche) «veline» adolescenti di quella stupida maestra che è diventata la televisione.

Ed è uno spettacolo ancor più malinconico quello delle pseudo-ragioni che esse si danno per giustificare il proprio comportamento patetico, oltre che per convincersi di essere nel giusto, di avere finalmente capito quale sia la maniera migliore di stare al mondo, senza complessi e senza inibizioni.

 

Molti esempi eloquenti di quanto abbiamo detto si trovano, fra l'altro, nel libro di Shere Hite  - già autrice del famoso Rapporto Hite, che voleva fare il verso all'ancor più famoso Rapporto Kinsey - Le donne e l'amore, dal quale riportiamo due paginette a titolo di esempio (titolo originale: Women and Love, 1987; traduzione italiana di Paola Frezza e Andrea D'Anna, Rizzoli editore, Milano, 1988, pp.  373-75):

 

Il 93% delle donne single, mai state sposate, ama l'indipendenza e la libertà e conoscere persone diverse, poter disporre pienamente della propria vita, a prescindere dai problemi che ciò può comportare:

- Mi piace moltissimo viaggiare e andare in giro per conto mio, senza il peso di un partner: sono libera di andare e venire, senza dover giustificare le mie azioni o fare dei resoconti. Posso fare qualunque cosa! Per ora non ho trovato nessuno che ami e rispetti abbastanza da dedicargli il resto della mia vita.

- È stupendo essere responsabili solo di noi stessi; adoro poter flirtare con chiunque mi piaccia, non avere legami, avere una casa esattamente come la voglio e non dover rispondere a nessuno del mio comportamento.

- Mi piace essere single; voglio poter controllare la merce.

- Adoro essere single, ma non essere sola. Forse è per questo che ho due uomini invece di uno. La cosa che mi piace di più nell'essere single è che non ci sono impegni. Posso andare e venire come mi pare.

- Mi piace uscire e frequentare uomini diversi. Anche e poi la storia magari non funziona, è comunque un'esperienza positiva. Mi piace ricevere attenzioni da vari uomini. Svantaggi? I giorni come quello di San Valentino, quando tutte le tue compagne di camera hanno il ragazzo e tu non vedi nessuno, oppure quando per un po' non vai a letto con nessuno.

 

La maggior parte delle donne che diventa single in conseguenza di un divorzio è molto contenta di stare sola, indipendente:

 

- È un paradosso stare sole. Qualunque sia il problema del giorno, ripenso al passato, e concludo che il giorno attuale è un successo fantastico!

- Come mi sento? Bene! Mi piace sentirmi libera, senza i legami psicologici che sempre mi hanno oppresso. Non avrei mai pensato di essere capace di sopravvivere da sola, ma ora mi rendo conto che posso riversare il mio amore su varie persone e ho molte relazioni soddisfacenti.

- Dopo aver vissuto quattro anni con mio marito, ho scoperto che non avrei più sopportato l'idea di vivere a lungo con un altro adulto. Prima o poi cercano di spadroneggiare, oppure sono io a farlo, e non lo reggo. I bambini (ne ho due) non assumono atteggiamenti da padroni, e poi crescono e vogliono avere una casa e vivere per conto loro. Ma un marito… solo per smuoverlo susciti una catastrofe! Inoltre, quando ero sposata, mi sentivo rifiutata da tutti: uomini, datori di lavoro e colleghe donne.

- Preferisco sicuramente vivere sola piuttosto che par parte di una coppia, anche sono moderatamente infelice! A volte sento la mancanza di una persona su cui contare per fare insieme certe cose, ma comunque il matrimonio non ha mai funzionato in questo senso.

I grandi vantaggi sono tutti in riferimento alla libertà: adoro mangiare da sola, far la spesa da sola. Penso che il mondo viaggi a coppie, però, e le caratteristiche individuali, soprattutto della  donna, confondono le cose. Il grande svantaggio è l'enorme numero di uomini sposati che ti stanno addosso, se sei divorziata. E più sei indipendente e riservata, più fantasticano su di te; è la sfida maschilista.

- Se voglio preparare la cena alle sette o alle nove o non prepararla affatto, dipende solo da me. Se non faccio il bucato per due settimane, sono l'unica a lamentarsene. Posso leggere a letto per metà della notte, e se, il sabato, ho l'aspetto di una strega, e non mi vesto per tutto il giorno, nessuno me lo rinfaccia. Mi piace essere responsabile di me stessa e sapere che posso farcela bene, che devo dipendere solo da me stessa. Gli svantaggi sono il fatto di non avere una persona speciale che mi capisca e mi voglia bene, e il non avere la possibilità di dare tutto l'amore che ho da dare. Ma la mia vita sessuale è splendida: ho tre o quattro uomini che vedo di tanto in tanto, ed è piacevolissimo.

- La vita da single ha un unico svantaggio: il non avere una compagnia e una vita sessuale fissa e consistente. D'altra parte, la vita è molto meglio in questa situazione. Posso scegliere i miei amici, programmare la mia vita sociale e privata, faccio e dico ciò che voglio, mi creo la mia casa (secondo la mia immagine) e non devo rispondere al telefono o giustificare le mie azioni a nessuno. È strano che ci voglia tanto tempo per scoprire che la libertà è così bella. Perché ci affrettiamo a sposarci? O è solo la mia età che mi fa pensare che la libertà ha più vantaggi del matrimonio o di una relazione seria? Ho sperimentato qualche rapporto serio, forse è per questo che non ne sento la mancanza. Non voglio influenzare le mie figlie con i miei pregiudizi, ma sarà difficile stare a guardare e lasciare che scelgano la loro strada.

- Sono aperta ala possibilità di una relazione, ma in questo momento non è poi così importante. Al primo posto vengono altre cose: me stessa, il mio lavoro, gli amici. Non ho storie d'amore: non le trovo necessarie. Indipendenza! Sono libera! Mi piace andare sola alle feste, al ristorante, al cinema, a fare acquisti. A volte mi va d'andare con altri, così vado con gli amici, altre volte desidero solo stare sola e, visto che quando ero sposata questo non mi era possibile, ancora apprezzo la casa. A volte gli altri mi fanno credere che ci sia qualcosa di tremendamente sbagliato in me, ma è un problema solo loro.

 

Quello che più colpisce, nello scorrere queste «confessioni» di donne che si dicono felici della propria solitudine, è la puerilità degli obiettivi che si pongono e delle ragioni con cui motivano la propria scelta. Non dovere più rispondere al telefono; non dover rendere conto a nessuno di nulla;  stare in disordine tutto il giorno, o non fare il bucato per due settimane di seguito: possibile che tutto questo sia così importante da far passare ogni altra cosa in secondo piano?

Possibile che la libertà si riduca a delle mete così minime, così futili?

Qualcuno potrebbe obiettare che la vita è fatta di cose minime, e che saperle gustare pienamente è il segreto della felicità.

Rispondiamo che la vita non è fatta di cose massime o minime, ma di cose che acquistano un significato profondo se vissute in coerenza e armonia con un progetto esistenziale più vasto, che non si riduca alla semplice amministrazione del quotidiano, ma sia aperto a una qualche forma di trascendenza.

Possibile che le donne intervistate da Shere Hite abbiano un'idea così angusta della libertà?

Possibile che non conoscano la differenza tra libertà e arbitrio, e che nessuno abbia mai detto loro che dal compimento di un dovere si può ricavare più gioia che dall'abbandonarsi, senza freni né regole, alla caccia sistematica del proprio piacere?

E possibile che si meraviglino, come fa la prima di quelle nel brano sopra riportato, di non aver trovato, finora, nessuno che meriti abbastanza amore o rispetto, da dedicargli il resto della propria vita?

Ognuno trova quello che già sta cercando, e sia pure inconsapevolmente: questa è un'antichissima verità, che già Socrate e Platone ben conoscevano.

Se noi cerchiamo una libertà assoluta che consista nel non dover mai rendere conto di nulla a nessuno, non troveremo facilmente qualcosa o qualcuno che valga la pena di fermarci ad amare, e a cui offrire la nostra dedizione.

 

Ma, per tornare al nostro assunto iniziale, la rincorsa patetica delle ultraquarantenni al modello dell'eterna ragazzina, altro non è se non una delle forme che assume la sindrome della fuga dalle responsabilità e il crollo esponenziale del livello medio di autostima.

È come se molte donne avessero ceduto di schianto, e dicessero che si sono stancate di vivere in funzione degli altri (mariti, figli, eccetera). E che si sono stancate pure di invecchiare, per cui hanno «deciso» di non crescere più: di restare delle eterne ragazzine.

Che male c'è, in fondo, ad essere delle eterne ragazzine? Si può godere di un mucchio di diritti -primo fra tutti, quello di divertirsi incondizionatamente -, mentre si è soggette a pochissimi doveri, se pure ve ne sono.

Non c'è alcun male infatti; a parte quello di divenire patetiche.

E di vivere, per di più, nella menzogna. Perché tutti quei «mi piace moltissimo poter fare questo e quest'altro» (ovviamente, come dice sempre la prima intervistata da Hite, senza il peso di un compagno) dissimulano malamente un altro ordine di desideri.

È come se queste donne volessero autoconvincersi di avere imboccato la strada giusta, di non avere alcun rimpianto per le cose lasciate dietro di sé.

Ed è come se giocare il gioco delle eterne ragazzine, a quaranta o cinquant'anni, le risarcisse di quel che non hanno avuto prima, o di cui ritengono di essere state defraudate dagli altri: mariti, figli, amanti, genitori.

Ahimé, non è così che funziona il rapporto tra passato e presente.

Ciò che non abbiamo avuto a suo tempo, non può ritornare: non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua; e se non abbiamo goduto a pieno, per una serie di ragioni, la nostra giovinezza, non possiamo riaverla nell'età matura.

Possiamo avere delle altre cose, magari altrettanto belle; magari perfino più belle. Ma non quelle che appartengono alla prima giovinezza.

Avere stima di sé, vuol dire accettarsi: comprese le rughe, i capelli bianchi e i chili di troppo.

Non che bisogni lasciarsi andare e trascurare ostentatamente il proprio aspetto; anzi, è segno di rispetto di sé quello di curare la propria persona anche nell'età matura o avanzata.

Ma questo non deve farci dimenticare il senso del limite e il dovere dell'autenticità. Accettarsi e volersi bene, vuol dire anche accettare gli anni che passano, il corpo che si trasforma; e accettare il fatto di non vedere più, così spesso, quella luce di desiderio nello sguardo degli altri, che è una prerogativa degli anni giovanili.

Ma una donna matura, se è sensibile e intelligente, può essere ugualmente piacente e ugualmente desiderabile; solo, in una maniera diversa.

Purché abbia abbastanza coraggio da mostrarsi per quello che è, e da accettare gli altri per quello che sono.