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Il fiume Kosi cambia letto

di Marina Forti - 11/09/2008

 

 

Il bilancio delle alluvioni estive è disastroso, nell'India settentrionale: le piogge monsoniche hanno provocato la rottura di una diga e degli argini del fiume Kosi, che scende dai monti dell'Himalaya (Nepal) e traversa lo stato del Bihar (India settentrionale) prima di buttarsi nel Gange. Spettacolare: dopo aver rotto gli argini il 18 agosto, il fiume ha cambiato percorso, prendendo una via che aveva abbandonato duecento anni fa che si discosta fino a un centinaio di chilometri dal letto attuale: e così ha travolto centinaia di villaggi e di campi coltivati. En passant ha fatto un migliaio di morti, persone portate via dalla furia dell'acqua, a volte uccise dal crollo di muri e case, o anche dal morso di serpenti. Un'alluvione durante la stagione delle piogge monsoniche sembra routine, nel subcobntinente indiano. Ma per il Bihar si tratta del disastro più pesante degli ultimi trent'anni; ha coinvolto oltre 3 milioni di persone costrette a lasciare le proprie case e rifugiarsi in campi profughi. Il punto è che quello di quest'estate non è stato un monsone particolarmente intenso. Perché piogge del tutto normali provocano un disastro eccezionale? «Il sistema di argini [del fiume Kosi] ha ceduto in parte perché è ormai pieno di sedimenti, in parte per la cattiva manutenzione del sistema», dice una nota di International Rivers, rete internazionale di attivisti ambientali per la difesa dei fiumi che ha sede in California. Ad amplificare il bilancio umano c'è anche la lentezza dei soccorsi (che international rivers cita come elemento comune a quanto era successo tre anni fa a new Orleans con l'uragano Katrina: anche là è stato un cedimento strutturale a provocare il disastro, la rottura delle chiuse del lago Ponchartrain, e poi i soccorsi si sono mossi in ritardo). In Bihar, una delle regioni più povere dell'India, ora 900mila persone sono in campi profughi e le autorità prevedono che per qualche mese non potranno tornare ai propri villaggi. L'esercito ha cominciato a ritirare gli elicotteri (erano 11 in tutto) con ciu aveva aiutato durante l'evacuazione di massa, ma gli sfollati restano in uno stato di precarietà estrema. La distribuzione di aiuti, cibo e acqua potabile va a rilento. Si diffondono malattie come polmoniti e febbri, e poi le malattie da sovraffollamento e acqua malsana, come diarrea. A peggiorare tutto, nei campi profughi le donne diventano oggetto di violenze sessuali - la utorità ammettono che non riescono a controllare la situazione. Lo straripamento del fiume Kosi è «un'ulteriore dimostrazione che le misure convenzionalmente usate per "controllare" le alluvioni troppo spesso con le controllano affatto ma al contrario peggiorano la situazione», sostiene International Rivers. E' una polemica ormai matura. Per anni i governi di tutto il mondo hanno fatto affidamento su dighe, argini e opere ingegneristiche per imbrigliare i fiumi: il «flood control» («controllo delle inondazioni»). Ma quando un fiume travolge dighe e argini spesso è assai più distruttivo, non da preavviso, genera ondate di piena più veloci. Al contrario, una strategia di «protezione dalle alluvioni» enfatizza la preparazione a far fronte a eventi straordinari e a diminuirne i danni: le alluvioni accadono, ma si può rallentarne velocità e portata. In effetti, «l'India ha visto aumentare i danni delle alluvioni proprio mentre aumenta l'area protetta da opere ingegneristiche di "flood control"». Meglio non puntare tutto sulle dighe...