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La bomba degli Ayatollah, fra giudizi e pregiudizi

di Sergio Romano - 12/09/2008

Ho letto, da un'agenzia di stampa, del suo intervento al dibattito di «Cortina InConTra». Lei ha risposto, durante la discussione, alla domanda sul nucleare iraniano: «Sarebbe una cosa positiva, servirebbe a stabilizzare il Medioriente» e ha continuato: «L'Iran, dotandosi dell'atomica, farebbe esattamente lo stesso che hanno fatto la Cina, la Russia, il Pakistan e Israele». Come tutte le notizie di agenzia, il suo intervento è stato sintetizzato, quindi non conosco l'argomentazione o se nell'estratto è stato snaturato il contenuto. Non ritiene, visti sia i continui richiami dell'Onu e le minacce Usa al leader iraniano Ahmadinejad, sia le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano Ehud Barak («L'Iran con l'atomica è una minaccia all'ordine mondiale»), che sia stata una volontà della presidenza Bush «tenere sulla corda» il Medioriente condannando l'espansione nucleare di una sola nazione? Ritiene, inoltre, che una futura gestione McCain o Obama possa portare a una normalizzazione dell'area?


Andrea Sillioni Bolsena (Vt) ,


Caro Sillioni, Non credo di avere detto che l'atomica iraniana «servirebbe a stabilizzare il Medio Oriente». Se l'Iran decidesse di costruirla (il governo di Teheran nega che queste siano le sue intenzioni), altri Paesi della regione, come l'Egitto e la Turchia, non mancherebbero di seguirne l'esempio. Siamo quindi interessati a evitare che l'Iran abbia un'arma nucleare. Ma saremmo poco realisti, d'altro canto, se non constatassimo che la politica di non proliferazione, così tenacemente difesa da Washington e da altri Stati già dotati di armi nucleari, sta fallendo. La prima responsabilità è dei Paesi abbienti e in particolare degli Stati Uniti. Le ricordo che il trattato di non proliferazione comprendeva clausole sul disarmo che i Paesi nucleari non hanno applicato a se stessi. E ricordo infine che l'Iran è oggi circondato da Stati militarmente nucleari. Sono nucleari la Russia e la Cina sulle sue frontiere settentrionali. Sono nucleari l'India e il Pakistan. È nucleare Israele. E sono nucleari beninteso gli Stati Uniti, oggi attestati con le loro truppe sulle frontiere occidentali e orientali del-l'Iran. La situazione sarebbe forse diversa se i Paesi nucleari avessero dimostrato al mondo di essere pronti a eliminare progressivamente i loro arsenali.
A giudicare dai suoi rapporti con l'India, il Pakistan e Israele, l'America sembra ritenere che il possesso dell'arma nucleare sia lecito o illecito a seconda dei rapporti che il Paese interessato ha con Washington. Può accadere così che il Pakistan sia considerato meno pericoloso del-l'Iran, frequentemente qualificato come «Stato canaglia». Ma il Pakistan è un Paese di recente formazione, afflitto da una lunga serie di colpi di Stato, diviso fra gruppi tribali che spesso sfuggono quasi interamente al controllo del potere centrale; mentre l'Iran è un vecchio Stato dove l'identità nazionale e il senso delle istituzioni sono più forti e radicate.
Esiste infine un altro fattore di cui ho parlato su questa pagina in diverse occasioni. L'arma nucleare è fondamentalmente un deterrente. Non può essere usata per aggredire perché esporrebbe l'aggressore a una catastrofica rappresaglia.
Ma può essere usata politicamente per far comprendere all'aggressore che il suo proprietario è pronto, se necessario, a farne uso. Non è un'arma per vincere, è un'arma per non perdere. Non è un'arma per aggredire, è un'arma per non essere aggrediti. È questa forse la ragione per cui gli Stati Uniti vogliono impedire a Teheran di fabbricarla. Un Iran dotato di armi nucleari sarebbe meno vulnerabile di quanto sia oggi.
Un'ultima considerazione. Non credo che l'arma nucleare possa essere «disinventata » e non credo che la proliferazione, al punto in cui siamo, possa venire arrestata. Abbiamo esempi, d'altro canto, in cui il possesso della bomba ha costretto due nemici a convivere. È accaduto nel caso degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, dell'India e del Pakistan. Potrebbe accadere domani in altri conflitti regionali.