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Il vicolo cieco del nucleare

di Giorgio Nebbia - 15/09/2008

Fonte: verdeambiente







Il 22 maggio 2008 è una data storica. Un ministro del IV governo
Berlusconi ha annunciato, davanti all'assemblea della Confindustria,
che il governo italiano prevede la costruzione "di un gruppo di
centrali nucleari di nuova generazione" capaci di "produrre energia
su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto
dell'ambiente", la cui "prima pietra" dovrebbe essere posta entro il
2013.

E' una storia già sentita: era il 1975, qualche mese dopo il primo
aumento del prezzo del petrolio, la prima grande paura della scarsità
di energia. Il 29 luglio 1975 venne presentato al CIPE, il Comitato
Interministeriale per la Programmazione Economica, il documento RES
(75)31, redatto dal Comitato Nazionale Energia Nucleare,
intitolato "Programma Energetico Nazionale" (sarebbe poi stato
indicato come PEN). Negli anni precedenti 1973-1974 l'ENEL, allora
unico gestire dell'elettricità, aveva ordinato quattro centrali
nucleari da 1000 megawatt ciascuna destinate due a un qualche posto
nell'Alto Lazio (sarebbe poi stato Montalto di Castro) e due per il
Molise (si era parlato di Campomarino vicino Termoli).

Per spiegare tale decisione il PEN presentava varie previsioni dei
consumi di energia italiani. Per la copertura dei fabbisogni
elettrici dal 1982 al 1985 il PEN prevedeva la entrata in servizio di
nuovi impianti nucleari per una potenza da 13.000 a 19.000 megawatt
(a seconda della tendenza dei consumi) in modo che la potenza
nucleare in servizio nel 1985 avrebbe dovuto essere compresa fra un
minimo di 20.400 e un massimo di 26.400 megawatt.

Il PEN prevedeva che nel quinquennio 1986-1990 entrassero in servizio
altri nuovi impianti nucleari per una potenza compresa fra 26.000 e
36.000 megawatt. "La potenza degli impianti nucleari in sevizio nel
1990 --- prosegue il testo citato --- sarà pertanto compresa fra un
minimo di 46.100 MW e un massimo di 62.100 MW". "I vantaggi di costo
esistenti a favore della produzione di un kWh di origine
elettronucleare, rispetto ad un kWh di origine termoelettrica sono al
momento attuale --- era scritto nello stesso PEN del 1975 ---
innegabili e difficilmente essi potranno essere cancellati in futuro".

Dove mettere tante centrali nucleari ? Niente paura, nel paragrafo
3.3.2 del PEN citato è scritto che l'ENEL era "pervenuto ad
individuare le seguenti aree geografiche del Paese nelle quali le
indagini preliminari hanno fornito indicazioni sulla esistenza di
luoghi adatti alla installazione delle nuove centrali nucleari, oltre
a quelle già previste per l'ubicazione delle quattro unità ordinate
nel 1973-74 (Alto Lazio e Molise):
--- Arco Alpino Lombardo
--- Piemonte orientale
--- Costa Jonica (Basilicata)
--- Lombardia Orientale
--- Costa dell'Alto Tirreno (Toscana centrale)
--- Costa del Basso Tirreno (Campania)
--- Costa Marchigiana Meridionale o Abruzzo
--- Arco Alpino Piemontese
--- Costa dell'Alto Adriatico (Romagna settentrionale)
--- Costa del Medio Tirreno (Lazio meridionale)
--- Costa della Venezia Giulia
--- Costa meridionale della Puglia (Jonica o Adriatica).

Le procedure per le autorizzazioni erano state definite nel DPR 185
del 1964 e quelle per la localizzazione delle centrali nucleari erano
fissate dalla Legge 393, approvata il 2 agosto 1975. Un lavoro a
tambur battente: 29 luglio presentazione del PEN al CIPE, 2 agosto
legge sulle localizzazioni, 23 dicembre approvazione del PEN da parte
del CIPE.

Le cose non andarono però tanto lisce; ben presto apparve che le
previsioni dei fabbisogni elettrici erano esagerate, che i soldi
richiesti per costruire un così grande numero di centrali nucleari
non c'erano, che molte località destinate ad ospitare le centrali
nucleari si ribellarono alla violenza proposta al loro territorio, a
cominciare dal Molise. Si era messa in moto, superando peraltro dure
contestazioni, la centrale da 2000 megawatt di Montalto di Castro.

Ci son state molte altre sceneggiate intermedie; la proposta di
costruire un impianto di arricchimento dell'uranio per diffusione
gassosa, Coredif, alimentato da quattro centrali nucleari da 1000
megawatt ciascuna, da collocare in qualche posto, o a Pianosa o a San
Pietro Vernotico, in Puglia, saltata prima che si cominciasse a
parlarne. Qualcuno propose di costruire una centrale nucleare sulla
Murgia, in Puglia, pompando l'acqua di raffreddamento dal mare.
L'ENEL intervenne con un terzo del capitale nella costruzione del
reattore "veloce" francese Superphenix, "raffreddato" a sodio
metallico. L'Italia partecipava con il 25 % al capitale dell'impianto
francese di arricchimento dell'uranio per diffusione gassosa Eurodif,
in cambio del diritto di ottenere uranio arricchito. Qualcun altro
pensava alla costruzione di una nave a propulsione nucleare e forse
magari ad una bomba atomica.

Nello stesso tempo si moltiplicavano manifestazioni, petizioni,
proteste e anche critiche tecnico-economiche al vecchio programma
energetico. In risposta a questo movimento la Commissione Industria
della Camera, presieduta dall'on. Fortuna, avviò una indagine
conoscitiva che durò dal novembre 1976 all'aprile 1977 e che, nel
maggio 1977, produsse un documento destinato al governo e al CIPE.

La conclusione fu la decisione di costruire subito soltanto 12-13
centrali nucleari, invece di venti, e altre otto da avviare entro il
1985. Infine nel dicembre 1977 veniva approvato dal CIPE un
secondo «programma energetico nazionale». Nel 1979 l'ENEA/Disp aveva
pubblicato un documento denominato "Carta dei siti" che indicava le
possibili zone in cui localizzare le centrali.

Arrivarono però eventi tempestosi; nel marzo 1979 ebbe luogo
l'incidente al reattore americano di Three Mile Island; non morì
nessuno (almeno per il momento) ma la favola della sicurezza delle
centrali nucleari venne messa in discussione; il governo fu costretto
a indire una indagine sulla sicurezza nucleare che espose i risultati
in una grande conferenza a Venezia nel gennaio 1970. Apparve così che
le norme internazionali sulla sicurezza nucleare erano più rigorose
di quanto si pensasse e questo offrì sostegno agli oppositori delle
centrali nucleari che nel frattempo si erano moltiplicati, non solo
come associazioni ambientaliste, ma anche come popolazioni dei luoghi
in cui era prevista la costruzione delle centrali.

Nel luglio 1981 il ministro dell'industria Pandolfi rese noto un
terzo piano energetico nazionale. Gli obiettivi prevedevano che nel
decennio degli anni ottanta entrasse a pieno in funzione la centrale
di Caorso (850 megawatt), entrassero in funzione le due unità da 1000
megawatt ciascuna di Montalto di Castro, venissero costruite ed
entrassero in funzione altre quattro unità da 1000 megawatt ciascuna.

Negli stessi anni l'Italia dovette ridurre dal 25 al 16,5 % la sua
partecipazione all'impianto Eurodif e dovette svendere una parte
dell'uranio arricchito per cui l'Italia si era già impegnata e di cui
non aveva più bisogno in seguito al ridimensionamento delle
prospettive iniziali.

Quanto alle zone in cui localizzare le altre dodici future centrali
nucleari, previste come "unità standard", di reattori ad acqua sotto
pressione PWR Westinghouse, si legge nel PEN del 1981 che i siti
possibili risultano:
--- Piemonte: centrale nucleare con due unità standard in una delle
due aree già individuate lungo il corso del Po;
--- Lombardia: centrale nucleare con due unità standard in un sito da
definire in una delle due aree già individuate nella Lombardia sud-
orientale (sarebbero poi state Viadana e San Benedetto Po):
--- Veneto: centrale nucleare con due unità standard in un sito da
definire in una delle due aree già individuate nel Veneto sud-
orientale;
--- Toscana: centrale nucleare con due unità standard nell'Isola di
Pianosa;
--- Campania: centrale nucleare con una unità standard lungo l'ultimo
tratto del fiume Garigliano;
--- Puglia: centrale nucleare con due unità standard in una delle
aree già individuate nel Salento (sarebbero state Avetrana e
Carovigno);
--- Sicilia: centrale nucleare con una unità standard in una delle
due aree già individuate nel Ragusano.

Il programma ebbe breve vita; il primo atto della commedia del
nucleare in Italia si chiuse praticamente dopo la catastrofe al
reattore nucleare di Chernobyl (aprile 1996) a cui fece seguito il
referendum del novembre 1987 che fermava le costruzioni e chiedeva
l'uscita dell'Italia dal reattore Superphenix.

A parte la chiusura delle vecchie centrali di Latina, di Trino
Vercellese e del Garigliano, alla fine dell'avventura nucleare si
aveva:
Caorso: centrale avviata nel 1981, fermata nel 1986; il combustibile
irraggiato è depositato in una piscina;
Montalto di Castro: centrale ordinata nel 1973; avvio dei lavori nel
1988; sospesa la costruzione nel 1988; trasformata in una centrale
termoelettrica a metano/olio combustibile
Quanto al reattore Superphenix non ci fu bisogno del referendum per
uscirne. La produzione di elettricità era iniziata nel 1985; il
reattore aveva incontrato vari incidenti nel 1990; e la centrale fu
chiusa nel 1997, con la perdita netta dei soldi ENEL, cioè dei
cittadini italiani, in tale impresa.

Quanto alle scorie radioattive che si stavano formando, i vari PEN
citati consideravano il problema della loro sistemazione qualcosa da
decidere in futuro. Oggi le scorie sono ancora in gran parte dove
erano allora, con l'aggiunta dei materiali radioattivi provenienti
dal graduale smantellamento delle vecchie centrali. Risultava insomma
confermato quello che in tanti avevano detto fin dal 1975: l'energia
nucleare non è economica, non è sicura e non è pulita

La passione per il nucleare è rimasta dormiente per tanti
anni. "Finalmente" si è risvegliata "grazie" alla scoperta
dell'effetto inquinante dell'anidride carbonica emessa dalle
centrali termoelettriche a combustibili fossili e responsabile dei
mutamenti climatici, e "grazie" all'aumento del prezzo del petrolio.
Si arriva così alla svolta storica a cui facevo cenno all'inizio, con
le stesse illusorie parole di allora: gruppo di centrali nucleari,
promessa di grandi quantità di energia, promessa di basso costo
dell'elettricità, rispetto dell'ambiente.

E' il secondo atto della commedia del nucleare italiano. Di centrali
cosiddette "di nuova generazione", cioè con maggiore sicurezza e
minore inquinamento, ce ne sono varie disponibili in commercio:
peraltro non se ne acquista una come si sceglierebbe una automobile.
Immagino che il governo pensi alle centrali nucleari cosiddette "di
terza generazione" (EPR3) della potenza di circa 1600 megawatt. Ne
esistono due, una finlandese ad Olkiluoto, a metà del suo cammino
costruttivo, una in Francia a Flamanville, nel nord della Francia (in
costruzione da qui al 2012 e oltre), con la partecipazione
finanziaria del 12,5 % dell'Enel.

Si tratta di centrali ad acqua leggera funzionanti con acqua sotto
pressione a ciclo uranio-plutonio, alimentate con uranio arricchito a
circa il 5 % di uranio-235. Il calore che si libera dalla fissione
dell'uranio-235 viene trasferito ad una massa di acqua sotto
pressione a circa 150 atmosfere e circa 300 gradi che circola in un
circuito "primario" di tubazioni, e viene poi trasferito ad altra
acqua (circuito "secondario") che si trasforma a sua volta in vapore
e fa girare le turbine del generatore di elettricità.

Un flusso di acqua di raffreddamento (circa 70 metri cubi al secondo,
quasi un fiume, di acqua marina che ritorna, scaldata, nel mare, da
cui si deve produrre anche acqua distillata per dissalazione per
l'alimentazione delle caldaie) trasforma di nuovo il vapore in uscita
dalle turbine in acqua liquida che torna nella caldaia del circuito
secondario. In queste centrali l'acqua del circuito primario del
reattore, radioattiva, non viene a contatto con l'acqua del circuito
secondario. Secondo quanto è noto, il reattore utilizzerà circa 30
tonnellate all'anno di uranio arricchito; il combustibile irraggiato
estratto ogni anno conterrà plutonio (circa 300 kg all'anno) e altri
elementi di attivazione radioattivi e i prodotti di fissione, circa
1000 kg all'anno, fra cui cesio, stronzio e altri, tutti radioattivi.
La produzione di elettricità dovrebbe essere circa 10 milioni di
megawattore all'anno (circa 10.000 GWh all'anno; la produzione
italiana di elettricità è di circa 350.000 GWh/anno).

I reattori di nuova generazione scoppiano come quello di Chernobyl ?
Molto probabilmente no perché sono circondati da un doppio involucro
di protezione di cemento armato e sono dotati di speciali
accorgimenti di raccolta del fluido del reattore, nel caso si
verificasse una frattura nella zona contenente la radioattività.

Non voglio discutere la promessa di elettricità a costi competitivi:
chiunque ha pratica di analisi dei costi di produzione di una merce,
nel nostro caso l'elettricità, sa bene come si possano avere
risultati diversissimi a seconda di come si calcolano i costi di
impianto, la politica di ammortamento degli investimenti, i costi
della materia prima; nel caso delle centrali il costo del minerale di
uranio, dell'arricchimento, dell'energia utilizzata nella varie fasi,
i costi dello smantellamento degli impianti, i fattori di
utilizzazione, e questo per l'elettricità di origine nucleare
rispetto a quella ottenuta da altre fonti, fossili o rinnovabili che
siano. Con opportuni artifizi contabili il "costo" di una merce
ottenuta con un processo può risultare inferiore o superiore al costo
della stessa merce ottenuta con un altro processo.

Qui voglio considerare invece se la localizzazione, la costruzione e
il funzionamento delle eventuali future centrali nucleari avverrà o
no "nel rispetto dell'ambiente". Sono circolate notizie su
possibili "siti" in cui le centrali potrebbero essere costruite, con
nomi presto smentiti, anzi con la precisazione che le relative
notizie vere saranno coperte dal segreto di Stato ai sensi del
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 aprile 2008,
entrato in vigore il 1 maggio.

La scelta di una località adatta per "ospitare" una centrale nucleare
presuppone alcune conoscenze: prima di tutto occorre sapere quante
centrali e di quale tipo si prevede la costruzione. Già le poche cose
dette sulle centrali "di nuova generazione" indicano che il reattore,
il circuito delle turbine, gli impianti di presa e di circolazione
dell'acqua di raffreddamento, sono grosse strutture, del volume di
circa un milione di metri cubi, che contengono una massa di cemento,
acciaio e materiali vari di circa un milione di tonnellate, su una
superficie di una ventina di ettari.

La centrale deve essere installata in una zona dove è disponibile
molta acqua di raffreddamento (dato lo stato e la portata dei nostri
fiumi, l'unica soluzione è data dall'uso dell'acqua di mare), su
suolo geologicamente stabile e senza rischi di terremoti: i due
reattori in costruzione, quello finlandese e quello francese, sono
collocati in due promontori di rocce granitiche in riva al mare. Una
eventuale centrale dovrebbe essere vicino ad un grande porto perché
una parte dei macchinari deve essere importato via mare; il
contenitore del reattore finlandese è stato costruito in Giappone.

Qui comincia il lavoro degli analisti del territorio; si tratta di
percorrere le coste italiane e vedere se si trova una zona adatta per
una o per "il gruppo" di centrali annunciate. Ci sono naturalmente
molti altri fattori da considerare partendo dalla vecchia
(1979) "carta dei siti" ritenuti idonei alla localizzazione delle
centrali nucleari allora previste, che erano più piccole e con minori
vincoli di localizzazione. Già allora, comunque, le norme
internazionali indicavano la necessità di avere, intorno alle
centrali nucleari, una zona di rispetto del raggio di circa 15
chilometri nella quale non dovevano trovarsi città o paesi, strade di
grande comunicazione e ferrovie, impianti industriali, depositi di
esplosivi, installazioni militari.

Anche se la, o le, localizzazioni delle nuove centrali saranno
coperte dal segreto di Stato, ci sarà pure un giorno in cui i
cittadini di una qualche zona d'Italia vedranno arrivare sonde e
geologi e ruspe e recinzioni e gli amministratori locali dovranno
fare i conti con autorizzazioni e espropri. Sarà quello il tempo in
cui gli abitanti delle zone interessate vorranno interrogarsi su
quello che sta succedendo, sulla propria sicurezza futura, sul
destino delle acque sotterranee e delle spiagge e coste. Non sarà il
segreto o il controllo militare a impedire ai cittadini di
informarsi, di leggere le carte geologiche e la frequenza dei
terremoti, le norme internazionali di sicurezza delle centrali.

Un'ultima osservazione voglio fare sulla promessa compatibilità
ambientale dell'energia nucleare, soprattutto in relazione alla
sistemazione delle scorie nucleari, a cominciare dal "combustibile
irraggiato", le barre di uranio estratte dai reattori dopo uno o due
anni di funzionamento e contenenti uranio-238, una parte residua di
uranio-235, elementi transuranici e prodotti di fissione. Si tratta
di materiali diversissimi chimicamente, con differenti tempi di
dimezzamento (il tempo durante il quale perdono metà della
radioattività originale), che vanno posti in depositi che vanno
tenuti sotto controllo per mesi, o per anni e decenni o per migliaia
di anni. La loro pericolosità per la vita varia a seconda della
composizione chimica e della radioattività che a sua volta varia
continuamente nel tempo. Il combustibile irraggiato deve restare per
anni in adatte "piscine" nelle quali perde una parte della
radioattività generando calore, per essere poi "ritrattate" per
separare le varie componenti, le vere e proprie scorie, o sepolte per
tempi lunghissimi.

Dove mettere le scorie radioattive esistenti, note e inventariate e
quelle che continuamente si stanno formando ? La risposta ragionevole
è: nessuno lo sa. Nelle miniere di sale abbandonate ? in terreni
argillosi ? in fondo al mare ? nello spazio interplanetario, lanciate
da speciali missili ? Pochi problemi tecnico-scientifici hanno avuto
risposte fantasiose e illusorie come quello dello smaltimento delle
scorie nucleari.

Con le scorie radioattive dovremo convivere per tutta la vita e anzi
la loro quantità tenderà a crescere e assumerà, col passare del
tempo, anche nuovi caratteri. Possiamo seppellire le scorie
radioattive in qualche deposito per il quale possiamo chiedere alle
generazioni future una sorveglianza affidabile ? La risposta è "no".
Il grande fisico, pur fautore dell'energia nucleare, Alvin Weinberg,
scrisse: "Noi nucleari proponiamo un patto col diavolo; possiamo
fornire energia a condizione che le società future assicurino una
stabilità politica e delle istituzioni quali mai si sono avute
finora". E, guardandosi intorno, di tali società non esistono certo
oggi tracce nel mondo.

In quale maniera sarà possibile avvertire coloro che vivranno fra
centinaia e migliaia di anni, accanto ad un deposito di scorie
nucleari, che devono continuare a vigilare attentamente perché il
materiale depositato non sia esposto a infiltrazioni di acqua, non
venga a contatto con forme viventi ? Il plutonio-239 perde metà della
propria radioattività ogni 24.000 anni e quindi è ancora radioattivo
dopo 200.000 anni. Se si pensa ad una sepoltura che sia sicura e
protetta anche solo fra diecimila anni --- un periodo nel quale
possono nascere e scomparire interi imperi --- c'è da chiedersi in
quale lingua e in quale modo si può mettere un avviso, all'ingresso
dei depositi di scorie: "Attenzione: non avvicinatevi", in quale
lingua dovremmo scrivere il messaggio ? con quali segni ? e chi
tramanderà la leggibilità di tale avvertimento ?

L'americano Sebeok, uno studioso della comunicazione, ha suggerito
che occorrerebbe organizzare una "casta sacerdotale atomica", di
durata eterna, in grado e col compito di tramandarsi nel corso delle
300 generazioni che si susseguirebbero nei diecimila anni, la lingua
e il significato di quel cartello apposto sul cimitero delle scorie
radioattive e dei residui delle centrali e degli impianti contenenti
materiali radioattivi. E poi su quale supporto l'eventuale messaggio
custodito dai sacerdoti atomici può essere tramandato a tutti gli
abitanti del pianeta per 300 generazioni ? Qualsiasi successo di
qualsiasi tecnologia di sepoltura dei materiali radioattivi sembra
impossibile e questo conferma la necessità di fermare la diffusione
delle centrali e delle attività nucleari, anche considerando lo
stretto legame fra nucleare commerciale e militare.

Vorrei concludere con una modesta considerazione ispirata agli eventi
del primo atto dell'avventura nucleare e che affido a coloro che
propongono --- e che si opporranno --- al secondo atto di tale
avventura, appena iniziata. "Se" i soldi spesi negli anni 1973-1986
per il nucleare --- per la propaganda, per impianti che non sarebbero
mai entrati in funzione, per disastri territoriali, per arginare i
conflitti popolari --- fossero stati spesi per il potenziamento delle
fonti rinnovabili, già mature nei primi anni settanta, per il
risparmio energetico, la ristrutturazione produttiva, una nuova
urbanistica attenta alla difesa del suolo, saremmo oggi il paese più
industrializzato e scientificamente avanzato d'Europa. Abbastanza
curiosamente questa direzione era nota e chiaramente indicata anche
in Italia già in quegli anni settanta del Novecento. Quante
delusioni, quanto tempo e quanti soldi buttati al vento !

Verde Ambiente, 24, (3), 25-29 (giugno-luglio 2008)