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I pesci di Jambudwip

di Marina Forti - 15/09/2008

 

Cosa vuole dire «sostenibile», cos'è una «economia sostenibile»? Se lo chiede l'ecologa indiana Sunita Narain, direttore del quindicinale Down to Earth. Nel suo ultimo editoriale, Narain cita alcuni casi trattati dalla Corte suprema indiana. Primo: i pescatori di Jambudwip, microscopico villaggio nella baia del Bengala, citati a giudizio da un gruppo per la protezione della natura. Jambudwip è una piccolissima isola con un minuscolo porto naturale nel delta del Gange, zona di mangrovie; i pescatori dei villaggi vicini, che di solito escono in mare aperto per parecchi giorni di seguito, usavano fermarsi là al ritorno per far seccare il pesce al sole e poi andare a venderlo sulla terraferma. In un'economia povera, senza frigoriferi per stoccare ciò che pescano, è l'unica alternativa. Il punto è che le mangrovie e il loro habitat sono protette, e il gruppo ambientalista ha fatto causa ai pescatori accusandoli di occupazione abusiva. Il caso è arrivato alla Corte suprema, che ha uno speciale comitato di consiglieri incaricati di dare pareri su tutto ciò che riguarda foreste e protezione della natura. La sentenza è stata che essiccare il pesce era un'attività «non forestale», dunque vietata nella zona protetta. Nel loro ricorso, i pescatori hanno fatto notare che loro occupavano un piccolo territorio a Jambudwip, e che la loro pratica è perfettamente «sostenibile»: reti fatte a mano in modo tale da prendere solo pesci adulti, lasciando quelli piccolo; essiccazione naturale al sole, sulla spiaggia. Argomentavano che è proprio interesse dei pescatori salvaguardare le mangrovie, che forniscono al pesce l'habitat per riprodursi (in effetti le immagini scattate dai satelliti hanno confermato, nell'aula del tribunale supremo, che l'isola di Jambudwip conserva la sua copertura verde). Loro del resto pagano per comprare dal dipartimento forestale il permesso di spingersi sull'isola, e in aula hanno rpoposto di usare arte di quelle tasse per creare piani di gestione sistenibile delle mangrovie. «Eppure, il comitato consultivo ha detto 'no'. La corte si è adeguata. In un colpo di penna, la sopravvivenza di oltre diecimila persone che si guadagnano da vivere pescando, seccando, trasportando e vendendo pesce è finita», scrive Narain, che si chiede: «E' stata una vittoria per la conservazione?». La Corte, accusa l'ediorialista di down to Earth, ha avuto ben altro atteggiamento nel caso di un grande gruppo industriale, Sterlite Industries, sussidiaria dell'azienda mineraria londinese Vedanta, che difendeva il suo progetto di aprire una miniera in 700 ettari di foresta pluviale, ricca e biodiversa, nella regione nord-orientale del Chattisghar. Questa volta il comitato consultivo e la corte hanno accordato un compromesso: l'azienda può occupare la foresta, pagando però il valore degli alberi che saranno tagliati e aggiungendo una somma per finanziare un «piano di gestione della fauna selvatica». Ovviamente, nota indignata Narain, «l'azienda è autorizzata a condurre solo attività minerarie "sostenibili". Nessuno si è chiesto come possa essere sostenibile scoperchiare una montagna e scaricare tre tonnellate di scarti per ogni tonnellata di bauxite estratta, in una zona di grandi piogge». La morale della favola, si potrebbe concludere, è che c'è chi ha potere e chi non ne ha: le grandi industrie pagano soldi e tagliano foreste, i pescatori non hanno soldi e sono cacciati via anche se non facevano alcun male alla foresta.