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Molto di nuovo sul fronte orientale

di Gian Carlo Caprino - 16/09/2008


 

Quando Condoleeza Rice ha dato il via definitivo al georgiano Saakashvili, presidente di un governo di avventurieri da sempre a libro paga dell'amministrazione USA, per un attacco armato all'Ossezia del Sud, aveva in mente due scenarii possibili, ambedue molto favorevoli agli statunitensi. Se, infatti, la Russia avesse subito l'attacco senza reagire, ritirando le sue truppe di "peace keeping" che da 16 anni stazionano nella provincia contesa, Bush e la Rice avrebbero portato a segno un altro importante passo verso il processo di accerchiamento e di destabilizazione del grande Paese euroasiatico, processo iniziato all'epoca di Eltsin.

Se, viceversa la Russia avesse reagito con le armi, molti Paesi della cintura di ex satelliti ed repubbliche ex URSS, spaventati dalla minaccia dell'orso russo, avrebbero rotto qualsiasi indugio e si sarebbero affrettati ad entrare nell'orbita imperiale statunitense.

Come sappiamo la Russia ha reagito alla folle aggressione georgiana addirittura con una determinazione forse eccessiva, giustificata peraltro dalle continue provocazioni subite ad opera del piccolo Paese caucasico; immediatamente dopo la Polonia e l'Ucraina hanno chiesto l'una di ospitare missili a corto raggio americani (i "Patriot", che nulla hanno a che vedere con il futuribile "scudo spaziale"), l'altra di entrare subito nella NATO, richiesta fatta anche dalla stessa Georgia.

Un successo dunque per Bush e la Rice? Non proprio; perché, come nella favola dell'apprendista stregone, l'esperimento georgiano è sfuggito di mano ai due sciamani di Washington, provocando, da parte russa una serie di reazioni di intensità crescente che ha messo in movimento tutto il fronte orientale dell'Impero, con conseguenze tutte da verificare. Vediamone alcune.

All'annuncio dell'installazione dei missili in Polonia, Medvedev e Putin hanno subito annunciato il riarmo atomico della flotta del Baltico (di stanza a Kaliningrad) e l'avvio di accordi con la Bielorussia dell'amico Lukascenko per l'installazione di nuove basi militari.

Alla richiesta di entrata dell'Ucraina nella NATO, Medvedev e Putin hanno risposto, con estrema durezza, che la dottrina russa per la difesa delle minoranze russofone, applicata in Ossezia del Sud a seguito dell'aggressione georgiana, sarebbe stata estesa a tutti i Paesi interessati. L'Ucraina ha circa il 25% degli abitanti di lingua russa (molti muniti anche di passaporto russo), concentrati nell'est ed in Crimea; se il governo ucraino decidesse di entrare nella NATO, le province orientali e la Crimea potrebbero dichiarare la loro indipendenza da Kiev e mettersi sotto la protezione russa.

Si riproporrebbe, su scala molto più grande, lo scenario dell'Ossezia del Sud.

C'è poi la questione dell'occupazione dell'Afghanistan.

All'inizio del 2009, infatti, scade il mandato ONU per la missione NATO in Afghanistan (denominata ISAF) ed occorre rinnovarlo. Ma la Russia, che ha diritto di veto, in caso di espansione ostile della NATO ad est potrebbe negare il suo assenso; sul piano pratico potrebbe non cambiare nulla, ma sul piano della diplomazia sarebbe un colpo durissimo per gli USA: la misione ISAF verrebbe declassata da missione voluta dalla "comunità internazionale" a missione degli americani e, chiamiamoli così, dei suoi "alleati". Un secondo Iraq, insomma.

C'è inoltre un'altra faccenda che ha irritato oltre ogni limite la dirigenza russa: la presenza, in Georgia, di alcune migliaia di "consiglieri militari" israeliani che avevano il compito di addestrare i soldati georgiani per "interventi rapidi".

La notizia è trapelata alcuni giorni fa ed è stata confermata, con grande imbarazzo, dai ministri degli esteri e della difesa israeliani, Tzipi Livni ed Ehoud Barak.

Occorre a tal proposito notare che, sin dalla sua creazione come Stato, Israele ha sempre giustificato le sue azioni militari come strettamente ed esclusivamente funzionali alla sua sopravvivenza, minacciata dai Paesi arabi ostili. Persino la guerra del 1967, che ha portato ad una occupazione (illegale) ultraquarantennale della Cisgiordania, è stata giustificata come necessaria per prevenire un'aggressione dall'esterno; la stessa giustificazione è stata data nel 1982 per l'invasione del Libano e per i terribili bombardamenti inferti a quel Paese nel 2006: si trattava sempre della sopravvivenza di Israele e tutti facevano finta di crederci. Una politica militare molto muscolare ed autoassolutoria insomma, ma, comunque, localizzata nello scacchiere dei Paesi confinanti.

Siccome però nemmeno Giuliano Ferrara riuscirebbe a trovare un nesso tra la sopravvivenza di Israele e la presenza di consiglieri militari in Georgia allo scopo di preparare l'aggressione all'Ossezia del Sud, se ne deduce che Israele è divenuto una alleato molto importante per la realizzazione della politica di destabilizzazione americana in giro per il mondo; Israele ha perso insomma "l'età dell'innocenza", se mai ne ha avuta una.

La presenza di militari israeliani in Georgia è stata presa, come detto, molto male al Cremlino e potrebbe sconvolgere i rapporti tra Israele e Russia, soprattutto sul "dossier" iraniano.

Sulla questione del nucleare iraniano, infatti, la Russia è sempre stata molto tiepida, tenendosi a rimorchio della diplomazia USA, dietro la quale premeva il potente alleato israeliano, con una passività sorprendente per una grande potenza globale quale la Russia odierna è; questa accondiscendenza era sicuramente in parte dovuta alla volontà di instaurare finalmente buoni rapporti con lo Stato israeliano, dati gli spinosi precedenti dell'URSS sulla "questione ebraica".

Come si vede però, Israele ha mal ripagato la disponibilità russa e ciò non potrà non avere ripercussioni immediate sull'atteggiamento riguardo al dossier iraniano.

C'è quindi da aspettarsi un deciso cambio di posizione di Mosca rispetto alle ricerche nucleari del governo iraniano a favore di quest'ultimo: ulteriori sanzioni incontreranno il veto di Mosca e massicce forniture d'armi a Teheran renderanno sempre più aleatorio il verificarsi di un eventuale bombardamento israelo-americano sull'Iran.

Anche in questa circostanza agli stregoni di Tel Aviv (e di Washington) è scappato di mano l'esperimento di destabilizzare la Russia, ridando visibilità e forza ad uno Stato "canaglia" cerniera tra il medio oriente e l'Asia centrale e rimettendo in movimento il fronte orientale dell'Impero.

In conclusione si può affermare che (finalmente) Putin e Medvedev si sono accorti che, per un Paese grande ed importante come la Russia, è impossibile intrattenere rapporti di partnership con pari dignità con gli USA, che tendono al dominio del mondo. La Russia infatti è troppo grande ed armata per essere inglobata nella sfera di influenza americana; l'unica soluzione, per gli USA, è quella di tentarne la destabilizzazione in vista di una sua frammentazione, che la renderebbe inglobabile, passo dopo passo, nell'Impero. Molto presto le stesse considerazioni sarà costretta a farle anche la Cina.