Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ritorno sulle cause della crisi alimentare mondiale

Ritorno sulle cause della crisi alimentare mondiale

di Damien Millet*, Éric Toussaint* - 16/09/2008



Dopo aver campeggiato, questa primavera, sui titoli dei giornali, la crisi alimentare mondiale è uscita fuori dal campo mediatico senza essere risolta. Gli esperti del Comité pour l’annulation de la dette du tiers-monde ritornano sulle cause della crisi e sui modi per uscirne.

--------------------------------------------------------------------------------


L’articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo stabilisce che « ogni persona ha diritto ad un livello di vita sufficiente ad assicurare la sua salute, il suo benessere e quello della sua famiglia, specialmente riguardo all’alimentazione, all’abbigliamento, all’alloggio, alle cure mediche, nonché ai servizi sociali necessari ». Il forte aumento del costo degli alimenti di base, particolarmente importante nel primo semestre del 2008, ha minacciato direttamente la sopravvivenza di centinaia di milioni di persone. Il diritto all’alimentazione, già seriamente bistrattato da non pochi decenni di ricette neoliberiste, è ancor più gravemente malmesso.

Dopo oltre vent’anni di importanti riduzioni delle quotazioni dei beni primari (materie prime ed alimenti), nel secondo semestre del 2001 avveniva l’inversione di tendenza. Dapprima diretto sul settore dell’energia e dei metalli, l’aumento dei prezzi interessava poi le derrate alimentari. La tendenza è stata estremamente forte. In un anno, tra il 2007 e il 2007, i prezzi del riso e del grano sono raddoppiati, quello del mais è aumentato di oltre un terzo. In una sola seduta, il 27 marzo 2008, la quotazione del riso, l’alimento di base per metà della popolazione mondiale, è salita del 31%. Nel 2008, la fattura cerealicola dovrebbe crescere del 56%, dopo un aumento del 37% nel 2007. Il barile di petrolio ha raggiunto i 146 dollari nel luglio 2008, l’oncia d’oro i 1000 dollari nel marzo 2008, lo staio di mais i 7,5 dollari nel giugno 2008, tutti record che illustrano la tendenza per la quasi totalità delle materie prime. In seguito alle azioni congiunte delle transnazionali dell’agro-business, dei governi guadagnati al neoliberismo e al duo BM/FMI, le scorte di cereali sono state riportate al loro livello più basso da un quarto di secolo. Nel 2008, come reazione al rischio di crollo delle scorte, alcuni paesi produttori hanno pure limitato o interrotto le loro esportazioni, come la Russia per i cereali o la Thailandia per il riso, affinché la produzione restasse sul mercato nazionale. Il costo di un pranzo è fortemente aumentato. In più di trenta paesi, dalla Filippine all’Egitto ed al Burkina Faso, da Haiti allo Yémen ed al Senegal passando per il Messico, la popolazione è scesa in piazza per gridare la sua rivolta e si sono moltiplicati gli scioperi generali.

Le spiegazione avanzate sono speso presentate in modo fattuale : variazioni dei ritmi climatici che hanno ridotto la produzione cerealicola in Australia e in Ucraina, netto rialzo del prezzo del petrolio ripercossosi sui trasporti e poi sulle merci o, ancora, crescente domanda della Cina e dell’India (che spiega perché i prodotti poco richiesti da questi due paesi, come il cacao, non hanno conosciuto lo stesso rialzo dei prezzi). Numerosi intervenuti si sono rifiutati d’interrogare il quadro economico in cui si sono prodotti tali fenomeni. Così, Louis Michel, Commissario europeo allo sviluppo e all’aiuto umanitario, teme soprattutto in Africa « un vero tsunami economico e umanitario ». L’espressione è ambigua, perché l’immagine dello tsunami fa riferimento ad una catastrofe naturale che è al di là della nostra portata e ci discolpa troppo facilmente da un certo numero di responsabilità. A questo proposito, tre altre spiegazioni sono troppo spesso sottovalutate.

Gli agro-carburanti

Primo: a fronte di un prezzo dei cereali storicamente basso fino al 2005, le grandi imprese private dell’agro-business ottenevano dai governi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea il sovvenzionamento dell’industria degli agro-carburanti. Esse volevano guadagnare su due fronti: vendere più cari i loro cereali e rendere redditizia la produzione degli agro-combustibili. Hanno raggiunto i loro obiettivi.

Come si sono mosse ? Si sono basate sulla seguente ipotesi: quello che entro pochi decenni il petrolio non consentirà più di fare (in conseguenza della riduzione delle riserve disponibili), dovrebbero essere in grado di permetterlo la soia, la bietola (trasformate in bio-diesel), i cereali o la canna da zucchero (sotto forma di etanolo). Esse hanno dunque chiesto ai poteri pubblici di attribuire delle sovvenzioni affinché la costosissima produzione di agro-combustibili diventasse redditizia. Washington, la Commissione europea a Bruxelles ed altre capitali europee hanno accettato con il pretesto di garantire la sicurezza energetica del loro paese o della loro regione. [1]

Questa politica della sovvenzione ha deviato verso l’industria degli agro-combustibili delle quantità molto importanti di prodotti agricoli essenziali per l’alimentazione. Nel 2007, ad esempio, 100 milioni di tonnellate di cereali sono stati esclusi dal settore alimentare. Diminuendo in maniera importante l’offerta, i prezzi hanno cominciato a lievitare. Allo stesso modo, delle terre che erano destinate a produrre alimenti sono state riconvertite in terre di cultura per gli agro-combustibili. Anche questo diminuisce l’offerta di prodotti alimentari facendo lievitare i prezzi. Insomma, per soddisfare gli interessi di grandi società private che vogliono sviluppare la produzione di agro-combustibili è stato deciso di fare man bassa di quelle produzioni agricole di cui il mondo ha bisogno per nutrirsi.

Anche le istituzioni internazionali si sono allarmate per la situazione. Un rapporto della Banca Mondiale ha stimato che i fenomeni climatici e la crescente domanda in Asia hanno avuto un impatto minore. In compenso, secondo quel rapporto, lo sviluppo degli agro-carburanti ha provocato un rialzo dei prezzi alimentari del 75 % tra il 2002 e il febbraio 2008 (sul 140% di rialzo globale, mentre l’innalzamento dei prezzi dell’energia e dei fertilizzanti è responsabile solo per il 15%).
Tale stima è molto più elevata rispetto al 3 % annunciato dall’amministrazione statunitense. Secondo la Banca Mondiale, questa impennata dei prezzi sarebbe già costata 324 miliardi di dollari ai consumatori dei paesi poveri e potrebbe far cadere in miseria 105 milioni di persone in più [2]. Tale rapporto « afferma che la produzione dei bio-carburanti ha disorganizzato in tre modi principali il mercato dei prodotti alimentari. In primo luogo, [la domanda di bio-carburanti] indirizza il grano verso l’etanolo e non verso l’alimentazione. In secondo luogo, in questo momento quasi un terzo del mais prodotto negli Stati Uniti serve alla produzione di etanolo e circa la metà degli oli vegetali (colza, girasole, etc.) è utilizzata per il bio-diesel. Infine, questa dinamica rialzista ha attirato sui cereali la speculazione. » Per non dispiacere al presidente Bush, la Banca Mondiale non ha pubblicato il rapporto. È stata una fuga di notizie sulla stampa a consentire di conoscerne l’esistenza. [3]

« Convertire le culture alimentari in culture energetiche destinate ad essere bruciate sotto forma di biocarburanti è un crimine contro l’umanità.. »
Jean Ziegler, allora Relatore dell’ONU sul diritto all’alimentazione, ottobre 2007

Alcuni giorni dopo, l’OCSE pubblicava a sua volta un rapporto [4] che caldeggiava una moratoria sugli agro-carburanti ed una completa riforma delle politiche in materia, stigmatizzando sia il costo elevato di questi combustibili di origine vegetale sia il loro dubbio beneficio ambientale.” L’OCSE osservava pure che « le nuove iniziative politiche non fanno che aggravare i problemi esistenti » [5] poiché i prezzi agricoli sono tratti verso l’alto e aumentano i rischi di affamare le popolazioni più povere dei paesi in via di sviluppo. Eppure, le previsioni indicano un raddoppio della produzione di agro-carburanti entro I prossimi dieci anni.

« Lo sviluppo e l’espansione del settore dei bio-carburanti contribuiranno a far lievitare a medio termine i prezzi delle derrate alimentari e ad accrescere l’insicurezza alimentare delle categorie di popolazione più svantaggiate dei paesi in via di sviluppo. »
OCSE

La speculazione

Secondo: nel 2007-2008 la speculazione sui prodotti agricoli è stata molto forte, accentuando un fenomeno partito all’inizio degli anni 2000, dopo l’esplosione della bolla di internet. Dopo la crisi dei subprime, scoppiata negli Stati Uniti nell’estate del 2007, gli investitori istituzionali [6], si sono progressivamente sganciati dal mercato dei debiti costruito in maniera speculativa a partire dal settore immobiliare americano e hanno identificato il settore dei prodotti agricoli e degli idrocarburi come suscettibile di procurare loro dei profitti interessanti. Questo lo fanno comprando i raccolti futuri di prodotti agricoli alle Borse di Chicago e di Kansas City, le principali borse mondiali dove si specula sui cereali. Allo stesso modo, comprano su altre Borse di materie prime la produzione future di petrolio e di gas speculando al rialzo. Quegli stessi che hanno provocato la crisi negli Stati Uniti con la loro sete di profitti, specialmente sfruttando la credulità delle famiglie poco solvibili dell’America del Nord, desiderose di diventare proprietarie di un’abitazione (quello che è stato chiamato il mercato dei subprime), hanno svolto una parte molto attiva nel forte rialzo delle quotazioni degli idrocarburi e dei prodotti agricoli. Da qui, l’estrema importanza di rimettere in discussione l’onnipotenza dei mercati finanziari.

Le politiche del FMI e della Banca Mondiale

Terzo: i paesi in via di sviluppo sono stati particolarmente disarmati di fronte a questa crisi alimentare, perché le politiche imposte dal FMI e dalla Banca Mondiale dopo la crisi del debito li hanno privati delle protezioni necessarie : riduzione delle superfici destinate alle culture alimentari e specializzazione in uno o due prodotti da esportazione, fine dei sistemi di stabilizzazione dei prezzi, abbandono dell’autosufficienza cerealicola, riduzione dei magazzini di scorte di cereali, economie rese fragili con estrema dipendenza dalle evoluzioni dei mercati mondiali, forte riduzione degli stanziamenti sociali, soppressione delle sovvenzioni ai prodotti di base, apertura dei mercati e messa dei piccoli produttori locali in concorrenza sleale con società transnazionali. Maestre nell’arte dello slalom, le istituzione chiamate in causa riconoscono solo alcuni errori, per meglio restare al centro del gioco internazionale. Ma un timido mea culpa in un rapporto semi-confidenziale non può bastare, perché esse hanno commesso il crimine d’imporre un modello economico che ha deliberatamente private le popolazioni povere delle protezioni indispensabili e le ha consegnate all’appetito dei più feroci attori economici. Lungi dall’essere inquieta per la miseria galoppante che contribuisce a diffondere, la Banca Mondiale sembra soprattutto preoccupata per i disordini sociali che potrebbero minacciare la globalizzazione neoliberista, strutturalmente generatrice di povertà, d’ineguaglianza, di corruzione, e che vieta ogni forma di sovranità alimentare.

L’orientamento proposto da anni da Via Campesina, organizzazione internazionale dei movimenti contadini costituisce una risposta alla crisi.

« Per garantire l’indipendenza e la sovranità alimentare di tutti i popoli del mondo, è cruciale che gli alimenti siano prodotti nel quadro di sistemi di produzione diversificati, di base contadina. La sovranità alimentare è il diritto di ogni popolo di definire le proprie politiche agricole e in materia di alimentazione, di proteggere e regolamentare la produzione agricola nazionale ed il mercato interno al fine di raggiungere degli obiettivi sostenibili, di decidere in quale misura ricercare l’autosufficienza senza sbarazzarsi delle eccedenze in paesi terzi praticando il dumping. […] Non si deve dare il primate al commercio internazionale rispetto ai criteri sociali, ambientali, culturali o di sviluppo. » [7]
Via Campesina


* Damien Millet è segretario generale del CADTM France (Comité pour l’Annulation de la Dette du Tiers Monde). Ultimo libro pubblicato : Dette odieuse (avec Frédédric Chauvreau), CADTM/Syllepse, 2006. .

** Éric Toussaint è presidente del CADTM Belgique (Comité pour l’Annulation de la Dette du Tiers Monde). Ultimo libro pubblicato : Banque du Sud et nouvelle crise internationale, CADTM/Syllepse, 2008.


1] Osserviamo ancora una volta la politica dei « due pesi e due misure » : per garantire la sicurezza energetica, i governi del Nord non esitano a sovvenzionare l’industria privata, mentre attraverso la Banca Mondiale, il FMI e l’OMC, negano il diritto dei governi del Sud di sovvenzionare i loro produttori locali sia nell’industria che nell’agricoltura.

[2] « Banque mondiale : les biocarburants responsables à 75% de la hausse des prix alimentaires », Solidarité et progrès, 5 luglio 2008.

[3] « Secret report : biofuel caused food crisis », di Aditya Chakrabortty, The Guardian, 4 luglio 2008,

[4] Évaluation économique des politiques de soutien aux biocarburants, OCSE, 16 luglio 2008, Scaricabile.

[5] « L’OCSE, très critique sur les biocarburants, est favorable à un moratoire », comunicato AFP, 16 luglio 2008.

[6] I principali investitori istituzionali sono i fondi pensione, le società assicurative e le banche ; essi dispongono di 60 000 miliardi di dollari che collocano là dove c’è più da guadagnare. Sono attivi anche gli hedge funds (fondi speculativi), che possono muovere 1.500 miliardi di dollari.

[7] Via Campesina, in Rafael Diaz-Salazar, Justicia Global. Las alternativas de los movimientos del Foro de Porto Alegre, Icaria editorial et Intermón Oxfam, 2002, p.87 et 90


Fonte: Voltaire, édition internationale