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Fine del capitalismo? Mhhhhh…

di Carlo Gambescia - 17/09/2008


Che prima o poi sarebbe esplosa la crisi era cosa che si ripeteva da almeno dieci anni negli ambienti degli addetti ai lavori. Che la crisi sia seria è altrettanto vero. Ma parlare di crollo finale del capitalismo ci sembra prematuro. Soprattutto perché si tratta di una crisi che viene “dopo” quella del 1929, e che dunque presuppone ottant’anni di politiche sociali e di sostegno anticiclico alla spesa pubblica e alla moneta. Nonché, sul piano mondiale, un apparato militare e di polizia, sicuramente “compiacente” nei riguardi del potere economico. E che non ha eguali nella storia del Novecento. Di qui la possibilità da parte di una oligarchia globalista, ma di origine e formazione euro-americana, di poter usare sia la carota del sostegno a occupazione, banche e assicurazioni, sia il bastone della repressione poliziesca di qualsiasi sommovimento sociale.
Che poi, come abbiamo sostenuto altrove, il capitalismo sia entrato negli anni Settanta del Novecento, nella fase depressiva di una quarta onda K[ondratieff], iniziata con una fase espansiva nel 1940, indica solo che alla fase depressiva, ora probabilmente giunta al suo culmine, potrebbe seguire un quinta onda, segnata da una nuova fase espansiva. Guai a interpretare le teorie del grande economista russo, fatto fuori da Stalin, in chiave deterministica.
Ciò però non significa che la crisi in corso debba essere sottovalutata dal punto di vista dei "costi sociali", che invece potrebbero essere consistenti. Diciamo che quanto più la reazione alla crisi economica - che però per il momento è finanziaria - sarà di tipo welfarista quanto più sarà possibile gestirla, evitando “complicazioni” sociali.
Naturalmente vanno considerate tre variabili non economiche.
a) La compattezza morale nel fronteggiare la crisi delle élite politiche ed economiche della sfera euro-americana.
b) Il ruolo del complesso militare-industriale in tutto l’Occidente, che invece potrebbe puntare sulla guerra all'esterno come diversivo.
c) Il ruolo della Russia e delle altre potenze non occidentali nei riguardi di un Occidente in crisi ma sempre più minaccioso.
Qualora prevalesse un visione globalista, del tipo “one world”, inclusiva delle potenze non occidentali (anche se per un arco limitato di tempo: giusto per affrontare con il piede non sbagliato un possibile ciclo "stagflattivo", interno alla fase depressiva di cui sopra), la crisi potrebbe essere fronteggiata, e probabilmente superata. Nel caso contrario potrebbero scatenarsi guerre e sommovimenti sociali interni. Ovviamente nell’arco temporale di almeno un decennio, o forse più.
Va poi sottolineato che mentre le élite politiche ed economiche dell’Occidente, tutto sommato, sono unite tra di loro, lo stesso non si può dire dei suoi nemici esterni ed interni.
Pertanto la “festa” per il crollo finale del capitalismo, almeno a nostro avviso, andrebbe rinviata a data difficile da stabilire.
Almeno per ora.