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Tanti balli e omissis in casa Savoia

di Carlo Capra - 17/09/2008

  
Carlo Capra analizza il libro La corte dei Savoia, in cui Carlo M. Fiorentino ricostruisce le relazioni politiche, culturali e sociali dei personaggi che ruotavano attorno alla corte dei sovrani italiani fra il 1849 e il 1900.
Dalla ricostruzione di Fiorentino, la vera protagonista della corte sabauda risulta essere la regina Margherita, moglie di Umberto I, che viene indicata come la principale “mediatrice e organizzatrice del consenso popolare intorno alla dinastia regnante”. Capra mette in evidenza l’ampiezza e l’accuratezza del libro nella ricostruzione dell’ambiente di corte e dei singoli personaggi, politici, militari, uomini di cultura, che ebbero rapporti con la corte, sottolineando anche la mancanza di collegamenti con la difficile situazione politico-sociale presente nell’Italia postunitaria.


Paradossalmente, la corte sabauda è meglio studiata e meglio nota per quanto riguarda il periodo preunitario, come aspetto non secondario di un processo di statualizzazione esteso all’apparato militare, alle strutture burocratiche, alla diplomazia, all’istruzione, che non dal 1861 in poi. Carlo M. Fiorentino, bibliotecario presso l’Archivio Centrale dello Stato, già noto per i suoi lavori sulla Questione romana e sui rapporti tra Vaticano e regime fascista, ha deciso di varcare il Tevere per colmare la lacuna con questo nuovo volume: La corte dei Savoia, 1849-1900 [...]. Va subito osservato che la periodizzazione indicata nel titolo non corrisponde al contenuto dell’opera: al primo quindicennio del regno di Vittorio Emanuele II, quando «la vita di corte languiva nella brumosa Torino», sono dedicate poche frettolose pagine, dopo di che a fare da contorno alle vicende di casa Savoia sono palazzo Pitti a Firenze, dove la capitale del nuovo Stato italiano si trasferì nel 1864, e poi dal 1871 il Quirinale a Roma, la vecchia residenza dei papi. Ne risulta notevolmente impoverita la figura del «re borghese», cui pure sono dedicate alcune gustose notazioni, attinenti per esempio al suo rapporto con la «béla Rôsin», [...] da lui sposata morganaticamente nel 1769, al suo «orrore per tutto ciò che era rappresentazione ed etichetta» e ai suoi scrupoli, non scevri di superstizioso timore, per l’«usurpazione » perpetrata ai danni di Pio IX dopo la breccia di Porta Pia. Non meno sfocato d’altra parte, come l’autore stesso ammette nella premessa, è il profilo di Umberto I, anche a causa della distruzione delle sue carte operata dal figlio Vittorio Emanuele III. Il lettore ha così la curiosa sensazione di assistere a uno spettacolo i cui primi attori sono personaggi senza volto e senza storia.
Senza paragone più viva e corposa risulta la figura della regina Margherita, protagonista del capitolo centrale dell’opera, instancabile mediatrice e organizzatrice del consenso popolare intorno alla dinastia regnante. Verso «l’eterno femminino regale» da lei incarnato l’autore sembra condividere il sentimento di reverente ammirazione nutrito da personaggi non sospettabili di fanatismo filosabaudo come Giosuè Carducci e Benedetto Croce: il primo [...] fu folgorato dal fascino dell’ancora giovane regina, sua ammiratrice, nell’estate del 1882 a Courmayeur, dove si era recato in villeggiatura; il secondo avrebbe scritto nella Storia d’Italia dal 1871 al 1915 che «la regina Margherita... congiungeva alla dolce pietà e all’incantevole sorriso l’amore per le arti e per la poesia, e pareva essa stessa una figura poetica, venuta a incarnare nel modo più perfetto l’idea di una Regina d’Italia, della terra delle arti e di ogni cosa bella».
Intorno ai membri della famiglia reale si agita una folla variopinta di funzionari di corte e uomini politici, diplomatici e militari, nobildonne e personalità del mondo musicale e artistico, tutti scrupolosamente catalogati e biografati dall’autore col ricorso a un vastissimo repertorio di fonti edite e inedite. Non manca qualche tocco ironico e grottesco, [...] come quando rievoca i sospetti addensatisi su un vecchio senatore siciliano dopo la scoperta che nel corso del ballo tenuto al Quirinale il 5 febbraio 1897 «qualche invitato aveva lasciato testimonianza della propria incontinenza» nel vano di una finestra; ma nel complesso la vita della corte, i balli di carnevale e le cerimonie festive o luttuose, i viaggi e gli spostamenti della famiglia reale, le inaugurazioni e i banchetti sono oggetto di compiaciute e minuziose descrizioni, spesso corredate da lunghe citazioni dei più accreditati cronisti del tempo, quali Ugo Pesci e Gabriele D’Annunzio. Dappertutto folle in delirio, delegazioni di istituzioni caritative e di società operaie, bande musicali, piogge di fiori dalle finestre e discorsi delle autorità, in «un clima da libro Cuore» che sembra a un certo punto contagiare anche lo storico. Al punto che il generale Bava Beccaris è ricordato nel libro solo per avere ricevuto alla stazione di Roma una delegazione marocchina, e non per l’onorificenza ricevuta dal «re buono» dopo aver preso a cannonate i manifestanti milanesi nel 1898. E il gesto dell’anarchico Bresci che pose fine alla «favola bella» del regno umbertino (e che fu preceduto, non dimentichiamolo, da due altri attentati) sembra venire quasi da un altro pianeta, da un’Italia diversa e sommersa, sconosciuta alle cronache del bel mondo.

Carlo M. Fiorentino, La corte dei Savoia, 1849-1900, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 367, € 27.