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Volatilità: la decifrazione del prezzo del petrolio

di Sharon Astyk - 18/09/2008

 
Un paio d’anni fa mi capitò di sentire sia Richard Heinberg sia Matthew Simmons segnalare che uno dei maggiori problemi da affrontare per i decenni energetici a venire non sarebbe stato tanto il costante innalzamento dei prezzi, ma piuttosto la volatilità del prezzo del petrolio. In altre parole, fluttuando notevolmente in risposta a circostanze, vincoli di fornitura e alterazioni della domanda, i prezzi non sono in grado di inviarci un messaggio coerente cui noi possiamo reagire.

Come Heinberg scrive nel suo libro The Oil Depletion Protocol “… al diminuire della produzione del petrolio corrisponderà quasi certamente un aumento dei prezzi, sebbene l'entità degli incrementi sarà probabilmente imprevedibile. I prezzi diverranno più volatili”. Vale la pena notare che “volatilità” non indica un aumento perfettamente uniforme e protratto del prezzo, ma piuttosto rapide fluttuazioni. E, infatti, questo è ciò cui stiamo assistendo: il petrolio è aumentato notevolmente in primavera e all’inizio dell’estate ed ora è di nuovo diminuito. In parecchi si chiedono se l'impennata estiva sia stata l'indicatore di qualcosa. Quando il petrolio si è portato nuovamente sotto i 125 dollari, si è diffusa la notizia che le vendite di SUV erano di nuovo in ascesa. Ora da ogni parte arrivano voci a sostenere che in fondo non si è mai trattato del picco del petrolio.



Queste voci trovano una certa giustificazione. Molte persone, dal cui novero non mi escludo, si sono un po’ esaltate per tutta questa improvvisa attenzione alle teorie del picco del petrolio: d'un tratto fanno la loro comparsa i mezzi di comunicazione tradizionali e tutti parlano del prezzo del petrolio e di come potrebbe aumentare ancora, fino a 200, 300 dollari al barile… in qualsiasi momento, la prossima settimana. Era molto allettante (e io personalmente qualche volta ho ceduto alla tentazione) convincersi che la tendenza sarebbe certamente proseguita – come se da un momento all'altro dovessimo veder apparire un'esplicita insegna lampeggiante “è arrivato il picco del petrolio!!!” – ed interpretare gli avvenimenti come prove del picco.

Ma, naturalmente, io sapevo (e la maggior parte degli altri commentatori sapevano) che i mercati non funzionano così e che non è così che probabilmente si manifesterà il picco del petrolio. Infatti, tra noi, quando se ne parlava, per la maggior parte dicevamo cose come “Non posso credere alla velocità con cui sta accadendo”. E spesso, quando non si può credere alla velocità con cui qualcosa accade, probabilmente è il segno che sta per succedere qualcos'altro. Vale la pena ricordarlo.

Quasi certamente l'impennata del prezzo era in parte spinta dalla speculazione, come abbiamo discusso, e come, tra gli altri, ha continuato a ricordarci Greenpa. Nate Hagens ha pubblicato un articolo notevole sul sito The Oil Drum proprio su quest’argomento. Ma molto aveva a che fare con i principi fondamentali del mercato: i principi fondamentali della domanda e dell'offerta. L’offerta è salita un po’ e la domanda è scesa. La differenza tra ora e la scorsa primavera è semplice: la maggior parte degli Americani ha speso gli stimulus check [incentivi sotto forma di rimborso delle imposte indirette inviati nel 2008 dal governo statunitense a tutti i contribuenti per stimolare l'economia, n.d.t.], ha sentito la notizia sulle vacanze in auto e sa cosa sta per accadere finanziariamente. Nel frattempo, la Gran Bretagna è ufficialmente in recessione, i giochi olimpici con la loro enorme spinta energetica sono finiti, e parecchi Paesi si stanno dirigendo verso la recessione o la depressione. E la gente non ha i soldi per la benzina. Nel frattempo, i prezzi degli alimentari rimangono elevati, il che significa che la nuova classe media nelle nazioni in via di sviluppo ha meno denaro da spendere in benzina e in altri dispositivi che necessitano di energia per funzionare. Abbiamo dato molto del nostro denaro ai Paesi produttori di energia e ora non ne abbiamo più per fare acquisti.

E proprio come hanno fatto notare Heinberg ed altri, siamo messi in pericolo più dalla volatilità dei prezzi che da un loro costante aumento. La prossima volta che i prezzi del petrolio balzeranno in prossimità dei 150 dollari, quanti scettici ci saranno a far notare che in passato si sono abbassati, giusto? Anziché spendere soldi per sistemare la coibentazione della propria casa, si dirà “Be’, immagino di poter gestire l’energia a prezzi alti per un altro anno, giusto? Magari l’anno prossimo scenderanno”.

Il che significa trascurare che l'energia a basso prezzo, in realtà, non è un fatto positivo. Tutto ciò che scrissi qui è ancora pressoché valido, e in peggioramento. In 100 nazioni, la crisi energetica è più acuta che mai. I prezzi dell’energia continuano a spremere gli agricoltori, e quelli che, nei paesi poveri, non si sono potuti permettere di piantare alcunché continuano ad avere campi vuoti e la fame da fronteggiare. La crisi per il riscaldamento invernale potrebbe essere meno acuta del 22% in termini di prezzi, ma in termini di gente che sta perdendo il lavoro e non può più accreditare gli acquisti sulla carta, in realtà la situazione potrebbe essere peggiore. La deflazione di sicuro non è da ridere.

Ma la conseguenza di un eccessivo entusiasmo per un qualsiasi trend di breve durata è sia una perdita di credibilità per chi vede le cose solo nei termini più semplici, sia la perdita del messaggio corretto: la questione non viene compresa, e tutti paghiamo un prezzo. La volatilità è uno dei segni più chiari del fatto che siamo vicini al picco e, in generale, uno dei segni più pericolosi, anche per chi, come me, dovrebbe avere gli strumenti per far fronte alla situazione.

Sharon Astyk
Fonte: http://sharonastyk.com
Link: http://sharonastyk.com/2008/09/03/volatilitydeciphering-the-price-of-oil/
3.09.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ORIANA BONAN