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Effetto domino

di Filippo Ghira - 19/09/2008

 

Effetto domino

La crisi finanziaria nata negli Stati Uniti continua a far sentire il suo effetto su tutti i mercati internazionali. Dopo il crollo di due banche speculatrici come Morgan Stanley e Goldman Sachs, ieri tutte le principali Borse asiatiche hanno registrato consistenti perdite. Da Shangai a Tokyo, da Hong Kong a Mumbay tutte hanno pagato la propria esposizione verso il mercato finanziario americano e l’azzardo di avere investito soldi su autentici titoli spazzatura che non rappresentavano altro che se stessi. In altre parole un azzardo sulla quotazione di titoli che non avevano alla base un’attività produttiva ma rappresentavano solamente la scommessa sulla quotazione che avrebbe avuto ad una certa data un determinato indice di Borsa o un determinato titolo che a sua volta poteva essere la scommessa su un altro titolo.
Così a seguire in un meccanismo senza fine dove tutti scommettevano e scommettono allo scoperto senza avere i necessari soldi in tasca e dove non si percepisce più dove inizia e dove termina l’economia reale. Oggi, ci assicurano gli esperti del settore, gli stessi che un anno fa ci dicevano che il sistema era solido e che tutto procedeva per il meglio, non siamo come nel 1929 quando il crollo di Wall Street innescò la Grande Depressione con decine di milioni di disoccupati in tutto il mondo.
Oggi ci assicurano e ci assicuravano costoro, ci sono maggiori controlli. Gli stessi inesistenti controlli che hanno permesso alle banche e alle finanziarie di speculare, come sempre hanno fatto, senza avere i fondi necessari. La stesso copione del 1929 quando il crac delle Borse venne provocato da banche, finanziarie e semplici cittadini che compravano e vendevano titoli e azioni senza averne la possibilità ed incassando o pagando la differenza al termine dell’operazione.
Il mondo fu in grado di uscire parzialmente dalla crisi perché gli Stati avviarono un massiccio programma di opere pubbliche che, grazie alla conseguente iniezione di liquidità nel sistema, ridette forza alla domanda interna e riuscì a rimettere in moto l’economia. E soprattutto stabilirono regole contro la speculazione.
Oggi la globalizzazione ha imposto la liberalizzazione dei mercati e la privatizzazione di settori strategici un tempo gestiti dallo Stato. La politica ha così rinunciato a svolgere il suo storico compito di dirigere l’economia ed impedire a questa di fare i propri interessi a discapito di tutti. I governi si sono rassegnati a fare da spettatori e hanno lasciato che siano i finanzieri-speculatori a comandare. Gli effetti li abbiamo sotto i nostri occhi. Appare quindi come una boccata d’aria fresca l’appello di Giulio Tremonti per un ritorno allo Stato Imprenditore. Un appello arrivato in ritardo. Ma è pur sempre meglio che niente.