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E' sempre tempo per la discussione, ma è ancora presto per il disincanto

di Franco Cardini - 20/09/2008

 

Ho accolto con qualche apprensione questo nuovo libro dell’amico Ariel Toaff, Ebraismo virtuale (Rizzoli 2008, pp.138), che ha il piglio, il taglio e le dimensioni di un pamphlet. Siamo stati in molti, alcuni mesi fa, a venir coinvolti dall’accesa, a tratti feroce discussione attorno al suo Pasque di sangue, poi ritirato dal commercio: e non e detto che la nuova edizione di tale libro, con alcune modifiche e una corposa Postfazione, abbiano sciolto tutti i nodi e soddisfatto del tutto sia l’autore, sia i suoi critici.

Appena quel libro usci, ne rimasi entusiasta: ma, lo ammetto, solo dopo una lettura affrettata e rapsodica. Alcune ragioni addotte da colleghi piu severi di me, ma anche piu competenti, mi fecero in qualche misura ricredere. Continuo a ritenerlo un libro molto importante. “Sbagliato”? Puo darsi. Molti libri di autori anche illustri sono stati giudicati “sbagliati”, compresi L’autunno del medioevo di Huizinga e Storia notturna di Ginzburg: eppure restano libri importanti, stimolanti, fondamentali, molto piu di molti altri irreprensibilmente e banalmente “giusti”. Quanto a Toaff, da lui continuo ad aspettarmi quel che Pasque di sangue non e riuscito ad essere, un grande libro di antropologia storica sul ruolo del sangue nella cultura askhenazita. Qualcosa che riprenda, approfondisca e superi quell’indimenticabile, prezioso saggio che e L’accusa del sangue di Furio Jesi (Bollati Boringhieri).

Ma per scriverlo – e, se vorra, potra farlo – Toaff dovra forse aver del tutto metabolizzato i postumi di quello che per lui e stato senza dubbio un dramma a livello scientifico, professionale e perfino personale. Ritengo pertanto comprensibile ch’egli abbia sentito il bisogno di tradurre in uno scritto breve, serrato, a tratti duro, il nucleo profondo della sua sorpresa e della sua amarezza. Eppure, mi riesce difficile credere ch’egli, romano d’origine livornese, nonostante i lunghi anni trascorsi in Israele, non avesse preveduto il fatto che, sull’ebraismo (e quindi, per forza di cose, direttamente o indirettamente su Israele), tra ebrei che vivono nello stato ebraico sia lecito e possibile dibattere con forza e perfino con accanimento su temi che, tra gli ebrei della diaspora e soprattutto tra noi non-ebrei, sono divenuti inquietanti, allarmanti, perfino tabu.

Non sono convinto che quello dell’infanticidio rituale sia sempre e soltanto stato un mito, e che in qualche episodico anfratto della vita d’un popolo perseguitato, d’una gente abituata a soffrire e a subire ma sovente stanca di esserlo, qualche mente squilibrata o fanatizzata non abbia potuto lasciarsi tentare dal trasformarlo in rito. Pensare che i pazzi e i criminali possano allignare in qualunque comunita, salvo in quella ebraica, sarebbe una curiosa forma di “razzismo al rovescio”. Il fatto e che, di tutto cio, Toaff non ha potuto rintracciare prove certe, ma solo indizi: anche se qualcuno di essi e impressionante.

Tuttavia, era forse illecito adottare da parte sua quel “paradigma indiziario” che in altri casi la comunita degli studiosi ha accettato, e alcuni hanno perfino lodato? Certamente no. Ma allora, che cos’e che non ha funzionato? In fondo, la chiave dell’equivoco sta nel titolo, Ebraismo virtuale. Ci sono stati abusi, dilatazioni, esagerazioni, nella costruzione della “memoria” della shoah, nella sua traduzione e diffusione massmediale, nel suo “uso” politico? E’ la tesi terribile d’un libro che in effetti e stato accolto da noi con un gelo pietrificante, L’industrie dell’Olocausto di Norman Finkelstein (Rizzoli): un saggio che in Israele ha fatto invece discutere violentemente, ferocemente, ma senza provocare ne censure ne demonizzazioni. E pensiamo, ancora, al silenzio imbarazzato e imbarazzante che ha accolto il libro di Ariel S. Levi di Gualdo, Erbe amare (Bonanno 2007), una desolata monografia sul sionismo che avrebbe dovuto invece venir accolto da un fuoco di fila di attacchi e di liberatorie confutazioni. Perche tutto cio non e avvenuto? Perche da noi certi argomenti possono solo venire non gia discussi, bensi solo zittiti o demonizzati?

Non credo che cio dipenda solo dall’influenza di quella destra israeliana “nazionalista e fondamentalista, piagnucolosa e bellicosa”, di cui parla Toaff, che senza dubbio ha anche da noi dei sostenitori e dei simpatizzanti. Il fatto e che per la coscienza dell’Occidente c’e un “prima” della shoah e un “dopo” la shoah. Le vittime, o i loro eredi, possono anche parlar serenamente ed equamente dei loro carnefici; e perfino trovar loro degli attenuanti. Noi, eredi dei carnefici o dei loro complici o di chi non ha saputo arrestarli e si e voltato dall’altra parte per non vedere, non possiamo. La shoah e senza dubbio un atto fondante nella memoria d’Israele e dell’ebraismo moderno; ma e anche l’ombra nera e implacabile che ci perseguita, la colpa dalla quale non ci assolveremo mai perche non ne abbiamo il diritto, il Peccato Originale dell’era contemporanea, la realta disperante che ricapitola tutti gli altri massacri e che conferisce loro un senso: e alla luce della quale siamo obbligati a ripercorrere per intero la nostra stessa storia. Dinanzi a questa enorme montagna oscura, le eventuali prove che vi sono pur state, nella ricostruzione di quell’evento atroce, alcuni errori ed alcune menzogne, e solo un miserabile sassolino. E’ forse solo questo che l’amico Ariel ha sottovalutato.