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Wall street: l'incubo comincia adesso

di mazzetta - 23/09/2008

L'amministrazione Bush è prevedibile come l'alternarsi del giorno e della notte, eppure riesce a stupire ancora, anche coloro i quali ne pensano il peggio possibile. Sembra incredibile, ma di fronte alla crisi di Wall Street, Bush sta facendo esattamente quello che fece all'indomani del 9/11. Il piano presentato dal capo del Tesoro Paulson è l'esatta riedizione della risposta americana agli attacchi di sette anni fa. Come allora l'amministrazione chiede carta bianca, assegni in bianco e assoluta discrezionalità operativa. Come allora la Casa Bianca rifiuta di indagare e perseguire i responsabili della crisi e si prepara a sfruttare l'occasione per l'ennesima grande rapina ai danni dei contribuenti americani. Come allora i soldi pubblici saranno spesi - senza alcun controllo - per ingrassare amici e danti causa dell'elite di Washington. Non c'è alcun senso compiuto nella richiesta di Paulson e Bush al Congresso, se non quello di cercare di salvare gli amici degli amici, quella piccola percentuale di americani (e non) super ricchi che controllano Wall Street e dintorni.

Secondo il “piano” gli Stati Uniti dovrebbero sborsare una cifra vicina ai mille miliardi di dollari e con quella comprare una massa di titoli inesigibili e privi di valore. Questo permetterebbe di ripulire i bilanci delle tante aziende finanziare che negli ultimi due decenni hanno moltiplicato, attraverso illusioni contabili e veri e propri falsi, i propri utili e patrimoni. Questa operazione non è un “salvataggio”, perché non è per nulla scontato che porterà l'economia fuori dalla fossa scavata dai maghi di Wall Street, ma non è nemmeno un intervento pubblico nell'economia. Si tratta semplicemente di un trasferimento enorme di ricchezza dalle casse pubbliche a quelle private, senza pretendere nulla in cambio. Come nel caso della War on Terror, Bush dice che l'enormità della minaccia e l'urgenza nel doverla affrontare richiedono una soluzione “semplice” e drastica, senza troppi fronzoli che ne potrebbero minare l'efficacia e la velocità.

In questo modo Bush è riuscito ad ottenere carta bianca più volte durante le sue due presidenze, riuscendo tutte le volte ad arricchire i suoi pari a spese del bilancio federale e della qualità della vita dell'americano comune. Ci riesce perché tutto il sistema politico americano vive un enorme conflitto d'interessi, di fronte al quale impallidisce persino quello di Berlusconi. Il sistema bipartitico americano funziona come una barriera impenetrabile alle istanze degli americani non abbienti, ma ancora più dannosa è la privatizzazione di fatto delle istituzioni americane. La ricchezza media dei senatori americani è imbarazzante, ma ancora più imbarazzante è che essi, presi dagli impegni che questa ricchezza comporta, passino saltuariamente in Senato per votare alla cieca leggi scritte da lobbysti al soldo delle grandi corporation. Lo stesso senatore Rotschild, anni fa, lamentò il fatto che nessuno tra i senatori si prendesse la briga di leggere e migliaia di pagine di allegati alle proposte di legge, circostanza appurata osservando i tomi preparati per i senatori, che rimanevano sempre intonsi.

Non c'è da stupirsi allora nel vedere che la soluzione di Bush per la grande crisi si materializzi nel riversare una cifra stellare nelle stesse tasche di quelli che hanno trascinato l'economia americana nel baratro. Non c'è da stupirsi che consideri un eventuale controllo su questa spesa come un impedimento e non c'è da stupirsi che Paulson respinga l'idea di tagliare i premi milionari (non la retribuzione) ai manager di quelle aziende che, di fatto fallite, beneficeranno dei soldi pubblici. Secondo Paulson, “se disegniamo un provvedimento così, punitivo, le istituzioni non parteciperanno e il piano non funzionerà come abbiamo bisogno che funzioni.”

Non è un gran argomento, anche perché non sembra proprio il momento nel quale un manager possa rifiutare la mano che salva la propria azienda. Questa non è che la contraddizione minore nel piano Bush-Paulson, molti altri princìpi sventolati per anni dall'amministrazione Bush saranno inceneriti dalla sua applicazione, dalla mistica sul “libero” mercato all'opera di distruzione dello Stato, al quale oggi tutti si aggrappano come ad una scialuppa nel mare in tempesta. Il piano è invece coerente con le precedenti azioni dell'amministrazione americana. Quando si tratta di trasferire ricchezze ai ricchi, Bush non teme confronti.

Il problema è molto grosso e di conseguenza è molto grossa la quantità di risorse che, approfittando dell'emergenza, si possono trasferire senza troppe discussioni. Paulson si è presentato ad una seduta congiunta di Camera e Senato (a porte chiuse) e ha letteralmente terrorizzato deputati e senatori, dipingendo un quadro (ancora segreto ai più) della situazione che ha stimolato la convergenza bipartisan verso l'approvazione del piano. Per quel che si capisce, il Tesoro americano avrà licenza di acquistare - senza alcun limite e/o controllo - qualsiasi quantità di qualsiasi titolo di credito, qualunque sia il suo grado di esigibilità e da chiunque sia esso detenuto.

L'amministrazione ha portato come prova dell'efficacia del provvedimento l'entusiasmo con il quale è stato accolto in giro per per le borse nel mondo, ma sarebbe stato ben strano vedere perplessità da parte di chi, sull'orlo del baratro, vede arrivare Babbo Natale con il cesto pieno di doni invece della fine. Sembrerà strano, ma con la crisi ormai esplosa non si è ancora trovato un responsabile, se non una generica “avidità”. McCain dice che è colpa di Obama (?), Bush non ha tempo per accusare i suoi amici, già è stato un miracolo che abbia trovato cinque minuti per rassicurare la nazione.

Le idee chiare le hanno gli americani comuni, che hanno inondato i blog ed i forum d'America con un messaggio decisamente univoco: “Il piano è una truffa”. Una truffa fin dalle sue radici, perché socializza le perdite derivanti dagli azzardi spericolati di Wall Street, dopo anni nei quali non si è fatto altro che ridurre le tasse ai ricchi (privatizzazione dei profitti), ma soprattutto perché l'ingiustizia di un tale provvedimento non è sfuggita a nessuno. Milioni di americani sono in povertà, altrettanti sono homeless, senza casa. Per loro sempre meno aiuti pubblici e nessun soccorso quando le banche hanno pignorato le loro case perché non erano più in grado di pagare il mutuo.

Altri milioni di americani, quelli che non si sono fatti sedurre dalle sirene del credito facile e che sono riusciti a rimanere a galla con i loro mezzi, vedono all'orizzonte un aumento delle tasse e il taglio dei servizi. Inevitabilmente per finanziare il piano di salvataggio molti di loro scivoleranno nella povertà o dovranno affrontare sacrifici. Questi sono i più furibondi, perché hanno rispettato al 100% i loro obblighi finanziari e adesso capiscono che con i loro soldi si cancelleranno i debiti di quanti invece hanno praticato la finanza creativa e portato al fallimento le loro società e l'economia americana. Rischiano di diventare poveri per mantenere nella ricchezza una minoranza di delinquenti.

La società americana è sempre stata poco tenera con i perdenti e con i deboli. Poca assistenza sanitaria pubblica che poi la gente è sempre malata, poche medicine fornite dal pubblico perché poi se ne abusa, pochi fondi per i disoccupati che poi si adagiano nella miseria, poca comprensione per i criminali che poi tornano a delinquere. Oggi invece, per i grandi criminali che hanno falsificato bilanci, infranto regole contabili e anche l'ordinario buon senso, spunta una ciambella di salvataggio mai vista prima. Potranno continuare ad atteggiarsi a capitani della finanza e a gestire miliardi di dollari come se nulla sia mai accaduto. Ma questo è un problema degli americani, in fondo.

Un problema più incombente è invece capire se il piano di Paulson servirà a qualcosa, ma anche qui, purtroppo, la risposta sembra essere negativa. Per quanto enorme, la somma prevista sembra insufficiente al bisogno; se la “leva” media praticata dalle varie istituzioni finanziarie si aggira su un rapporto di uno a venti tra risorse e debiti, la quantità di cartaccia che è necessario onorare è almeno quattro volte quella prevista da Paulson. Di più: se anche la cifra prevista fosse sufficiente ad arrestare il crollo, si tratterebbe solo di un arresto momentaneo, visto che il piano così “pulito e semplice”, come piace a Bush, non si porta dietro alcuna riforma sistemica.

Riforme che tutti dicono necessarie, ma che pare dovrebbero essere scritte e messe in opera proprio da coloro che, anche in queste ore, rifiutano le regole come se fossero fastidiose palle al piede. Se davvero è l'avidità ad essere sul banco degli imputati, sperare che gli avidi si diano regole per limitare le occasioni di profitto è qualcosa di più che ingenuo. Ne consegue che, anche qualora il grande regalo di Paulson sortisse qualche effetto, tra qualche tempo il sistema riprodurrà l'identico risultato e sarà di nuovo il panico.

Non è una riforma la sparizione delle grandi banche d'affari, dopo che Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno scelto di diventare banche “normali” e il Tesoro le ha accontentate a tempo di record; e non rappresenta una riforma nemmeno il blocco delle contrattazioni su novecento titoli americani. Il sistema non sarà riformato fino a che ci sarà identità tra controllori e controllati, fino a che non saranno poste regole e limiti certi, ma soprattutto fino a che non sarà rigettato il credo neo-liberista per il quale i progresso economico e sociale passano per la promozione dei ricchi, gli unici intitolati e capaci nel “creare ricchezza” poi destinata a beneficiare a cascata la collettività.

Il nuovo crollo della borsa americana in apertura di settimana, non è un segnale di preoccupazione per un eventuale ritardo del piano, ma la migliore dimostrazione della sua dubbia efficacia. Quella luce in fondo al tunnel non è la fine del tunnel, ma la locomotiva che ci sta arrivando addosso.