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L'Occidente comincia a dubitare del leader georgiano

di Ralf Beste, Uwe Klussmann, Cordula Meyer, Christian Neef, Matthias Scheep, Hans-Jürgen Schlamp - 23/09/2008

 

 

A cinque settimane dalla guerra del Caucaso le opinioni si stanno orientando a sfavore del presidente georgiano Saakashvili. Alcuni rapporti dei servizi segreti occidentali hanno minato la versione di Tbilisi, e adesso da entrambe le sponde dell'Atlantico si chiede un'indagine indipendente.

Hillary Clinton ha l'aria stanca. È martedì della scorsa settimana e siede, esausta, al Senato degli Stati Uniti. Perfino i suoi abiti, una giacca beige su una maglietta nera, appaiono sottotono.

Se n'è andato lo sfavillio della convention democratica di Denver, nella quale il partito ha candidato Barack Obama alle presidenziali, e se n'è andato anche il suo sogno presidenziale. Per Clinton è un ritorno alla normalità. La Commissione per i Servizi Armati del Senato discute il conflitto tra la Russia e il suo piccolo vicino, la Georgia.

È tardi, quando Clinton prende la parola. Perfino la sua voce suona stanca. Ma politicamente è ancora la vecchia Hillary, e va diritta al punto.

“Abbiamo incoraggiato i georgiani in qualche modo” a usare la forza militare?, chiede ai membri della commissione. L'amministrazione Bush ha davvero ammonito Mosca e la Georgia sulle conseguenze di una guerra? E com'è potuto essere che gli Stati Uniti siano stati colti di sorpresa dallo scoppio delle ostilità? Queste domande, dice Clinton, dovrebbero essere esaminate da una commissione statunitense, che dovrebbe in “primo luogo determinare i fatti reali”.

Anche se Clinton parla solo per pochi minuti, le sue parole ci dicono che negli Stati Uniti l'atteggiamento verso la Georgia sta cambiando.

Per gli americani questa guerra nel remoto Caucaso – laggiù nel Vecchio Mondo – non è forse stata altro che una lotta tra un paese gigantesco ed espansionista e una nazione piccola e democratica che stava cercando di soggiogare? E la Georgia non è stata attaccata semplicemente “perché vogliamo essere liberi”, come ripeteva quasi ogni ora davanti alle telecamere della CNN il presidente Mikhail Saakashvili?

“Oggi siamo tutti georgiani”, ha dichiarato il candidato repubblicano alla presidenza John McCain. L'editorialista neo-conservatore Robert Kagan ha paragonato l'azione russa all'invasione nazista dei Sudeti. E durante un incontro con il vice presidente degli Stati Uniti Richard Cheney a Saakashvili è stato assicurato il sostegno di Washington per il suo più fervido desiderio: l'ammissione nella NATO.

Ma ora, a cinque settimane dalla guerra nel Caucaso in America il vento ha cambiato direzione. Perfino Washington comincia a sospettare che Saakashvili, amico e alleato, abbia in effetti giocato d'azzardo, cioè abbia scatenato quella sanguinosa e breve guerra e poi vergognosamente mentito all'Occidente. “Le preoccupazioni che riguardano la Russia permangono”, dice Paul Sanders, esperto di Russia e direttore del conservatore Nixon Center di Washington. Le sue parole continuano a riflettere la valutazione occidentale secondo la quale la ritorsione militare russa contro la piccola Georgia sarebbe stata sproporzionata, Mosca avrebbe violato il diritto internazionale riconoscendo le repubbliche separatiste dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud e infine avrebbe usato la Georgia per sfoggiare la propria rinascita imperiale.

Ma poi Saunders precisa: “Un numero sempre maggiore di persone si rende conto che in questo conflitto ci sono due parti, e che la Georgia non è stata tanto una vittima, ma ha partecipato di sua volontà”. Anche alcuni membri dell'amministrazione presidenziale di George W. Bush stanno riconsiderando la propria posizione. La Georgia “ha mosso contro la capitale dell'Ossezia del Sud” dopo una serie di provocazioni, dice l'assistente segretario di stato per l'Europa e l'Eurasia Daniel Fried.

Tutto questo suggerisce forse che le dichiarazioni americane di solidarietà con Saakashvili erano premature quanto quelle europee? Il primo ministro britannico Gordon Brown ha chiesto una revisione “radicale” delle relazioni con Mosca, il ministro degli esteri svedese Carl Bildt ha deprecato quella che ha definito una violazione del diritto internazionale e il cancelliere tedesco Angela Merkel ha promesso alla Georgia che prima o poi potrà “diventare membro della NATO, se lo vorrà”.

Ma il volume della retorica anti-Mosca si sta abbassando. La scorsa settimana il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha chiesto pubblicamente un chiarimento su chi sia responsabile della guerra nel Caucaso. “Abbiamo bisogno di maggiori informazioni su chi abbia quale parte di responsabilità per l'escalation militare e fino a che punto”, ha detto Steinmeier a un incontro degli ambasciatori tedeschi, più di 200, convenuti a Berlino. L'Unione Europea, ha affermato, deve ora “definire le nostre relazioni con le parti del conflitto nel medio e lungo termine”, ed è giunto il momento di ottenere informazioni concrete.

Chi ha attaccato per primo?

Molto dipende dal chiarimento di questa responsabilità. Dopo questa guerra l'Occidente deve chiedersi se voglia davvero accettare un paese come la Georgia nella NATO, soprattutto se ciò significa dover intervenire militarmente nel Caucaso nell'eventualità di un conflitto analogo. E quale genere di rapporto di collaborazione vorrà avere con la Russia, che per la prima volta è diventata insistente quanto gli Stati Uniti nel proteggere le proprie sfere di influenza?

Il tentativo di ricostruire la guerra dei cinque giorni continua a girare attorno a una domanda principale: chi ha cominciato per primo l'attacco militare? Le informazioni che giungono dalla NATO e dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) adesso forniscono un quadro diverso da quello emerso durante i primi giorni della battaglia per Tskhinvali, e stanno alimentando i dubbi dei politici europei.

Il governo georgiano continua a sostenere che la guerra è cominciata giovedì 7 agosto alle 23.30. Secondo questa versione, in quel momento ha ricevuto diversi rapporti dei servizi segreti secondo i quali circa 150 mezzi dell'esercito russo erano entrati in territorio georgiano, nella repubblica separatista dell'Ossezia del Sud, attraverso il tunnel di Roki, che passa sotto la principale catena montuosa caucasica. Il loro obiettivo, dicono i georgiani, era Tskhinvali, e alle 3 del mattino sono stati seguiti da altre colonne militari.

“Volevamo fermare le truppe russe prima che potessero raggiungere i villaggi georgiani”, ha dichiarato recentemente Saakashvili a Der Spiegel, spiegando gli ordini dati al suo esercito. “Quando i nostri carri armati si sono diretti a Tskhinvali i russi hanno bombardato la città. Sono stati loro, non noi, a distruggere la città”. Ma i rapporti dell'OSCE descrivono una situazione diversa in quelle ore critiche.

In Ossezia del Sud è presente una missione OSCE, che si è trovata tra i due fronti quando è scoppiata la guerra. Secondo il cosiddetto spot report, un rapporto immediato che gli ufficiali OSCE hanno compilato alle 11 dell'8 agosto (ora georgiana), “Poco prima della mezzanotte, il centro di Tskhinvali è stato sottoposto a fuoco d'artiglieria pesante, parte del quale presumibilmente veniva da sistemi di lancio posizionati all'esterno della zona del conflitto. La sede della missione a Tskhinvali è stata colpita, e i tre restanti membri del personale internazionale hanno cercato rifugio nel seminterrato”.

Gli spot report vengono regolarmente mandati alle sedi di Vienna dei 56 paesi membri dell'OSCE. Il rapporto dell'8 agosto si mantiene neutrale, visto che sia la Georgia che la Russia fanno parte dell'organizzazione: dunque le informazioni contenute sono inizialmente prive di giudizi di valore. Il rapporto si limita a identificare dove i russi abbiano violato lo spazio aereo georgiano o dove i georgiani abbiano occupato villaggi sudosseti, per esempio.

Come è stato appreso da Der Spiegel, la NATO a quel punto aveva già azzardato una conclusione ben più definitiva. Il suo International Military Staff (IMS), che svolge il lavoro preparatorio per il Comitato Militare, la più alta autorità militare dell'alleanza, ha rapidamente valutato il materiale a disposizione. Il Comitato Militare comprende ufficiali di tutti i 26 paesi membri.

L'8 agosto, a mezzogiorno, gli esperti della NATO non potevano già aver dedotto l'intera portata dell'avanzata russa, descritta in seguito da Saakashvili come un attacco mentre Mosca l'ha definita un'operazione per “assicurare la pace”. Tuttavia stavano già emettendo comunicazioni interne sul fatto che, alla luce degli attacchi iniziali russi con aerei militari e missili a breve raggio, non ci si poteva aspettare che Mosca rimanesse passiva.

La calcolata offensiva georgiana

Una cosa era già chiara agli ufficiali del quartier generale della NATO a Bruxelles: pensavano che i georgiani avessero scatenato il conflitto e che le loro azioni fossero più calcolate di una semplice autodifesa o di una reazione alla provocazione russa. Di fatto, gli ufficiali della NATO ritenevano che l'attacco georgiano fosse una calcolata offensiva contro le posizioni sudossete e consideravano le schermaglie dei giorni precedenti come eventi minori. Ancora più chiaramente, gli ufficiali della NATO pensavano, retrospettivamente, che in nessun modo queste schermaglie potessero essere viste come una giustificazione per i preparativi di guerra georgiani.

Gli esperti della NATO non hanno messo in dubbio l'affermazione dei georgiani che i russi li avessero provocati mandando le loro truppe attraverso il tunnel di Roki. Ma nella loro valutazione dei fatti predomina lo scetticismo sul fatto che queste fossero le vere ragioni delle azioni di Saakashvili.

I dati raccolti dai servizi segreti occidentali concordano con le valutazioni della NATO. Secondo queste informazioni, la mattina del 7 agosto i georgiani hanno ammassato circa 12.000 soldati al confine con l'Ossezia del Sud. Settantacinque carri armati e veicoli corazzati per il trasporto truppe – un terzo dell'arsenale militare georgiano – sono stati posizionati nei pressi di Gori. Il piano di Saakashvili, a quanto pare, era di avanzare verso il tunnel di Roki con un blitz di 15 ore e chiudere il collegamento tra le regioni del Caucaso settentrionale e meridionale, separando efficacemente l'Ossezia del Sud dalla Russia.

Alle 22.35 del 7 agosto, meno di un'ora prima che i carri armati russi entrassero nel tunnel di Roki, secondo Saakashvili, le forze georgiane hanno cominciato ad attaccare Tskhinvali con l'artiglieria. I georgiani hanno usato 27 sistemi lanciarazzi, cannoni da 152 millimetri e bombe a grappolo. L'assalto notturno è stato condotto da tre brigate.

I servizi segreti controllavano le richieste russe d'aiuto via radio. La 58ª Armata, parte della quale stazionava nell'Ossezia del Nord, non era apparentemente pronta a combattere, almeno non durante quella prima notte.

L'esercito georgiano, d'altra parte, consisteva soprattutto di gruppi di fanteria, che sono stati costretti a muoversi lungo le strade principali: si è presto impantanato e non è stato in grado di andare oltre Tskhinvali. I servizi occidentali hanno appreso che i georgiani avevano problemi “a maneggiare” le armi. Se ne è dedotto che i georgiani non combattevano bene.

I servizi segreti concludono che l'esercito russo non ha cominciato a sparare prima delle 7.30 dell'8 agosto, quando ha lanciato un missile balistico a corto raggio SS-21 sulla città di Borzhomi, a sud-ovest di Gori. Apparentemente il missile ha colpito postazioni militari. Gli aerei militari russi hanno cominciato ad attaccare l'esercito georgiano poco dopo. All'improvviso le onde radio si sono animate, così come l'esercito russo.

Le truppe russe provenienti dall'Ossezia del Nord non hanno cominciato a marciare attraverso il tunnel di Roki prima delle 11 circa. Questa sequenza temporale è ora vista come prova del fatto che quella di Mosca non è stata un'offensiva, ma una semplice reazione. In seguito sono stati spostati a sud altri SS-21. I russi hanno posizionato 5500 soldati a Gori e 7000 al confine tra la Georgia e l'altra regione separatista, l'Abkhazia.

In Europa si chiede un'indagine internazionale

Wolfgang Richter, colonnello dello Stato Maggiore della Germania e consigliere militare presso la missione OSCE tedesca, è un altro esperto della situazione. Richter, che in quei giorni si trovava a Tbilisi, conferma che già a luglio i georgiani avevano ammassato truppe al confine con l'Ossezia del Sud. In una seduta a porte chiuse svoltasi mercoledì scorso a Berlino, ha detto al ministro della Difesa Franz-Josef Jung e ai rappresentanti delle commissioni per gli esteri e la difesa del parlamento tedesco che i georgiani avevano, in una certa misura, “mentito” sui movimenti di truppe. Richter ha detto che non era riuscito a trovare alcuna prova delle affermazioni di Saakashvili secondo cui i russi avevano marciato nel tunnel di Roki prima che Tbilisi lanciasse l'attacco, ma che non poteva escluderle. Ad alcuni membri del parlamento è parso che le sue affermazioni assecondassero la versione russa. “Non ha lasciato spazio all'interpretazione”, ha concluso uno dei membri delle commissioni. “È chiaro che la responsabilità sta più dalla parte della Georgia che da quella della Russia”, ha aggiunto un altro membro.

Sulla base di questi rapporti, agli osservatori occidentali è apparso evidente chi avesse dato fuoco alla polveriera dell'Ossezia del Sud. Nell'infuriare della battaglia gli analisti, comprensibilmente, non hanno tenuto conto dei precedenti del conflitto, che comprendono anni di provocazioni russe nei confronti di Tbilisi.

Ma è giunto il momento che l'Unione Europea concentri l'attenzione sulle ragioni di questa guerra. Mosca è rimasta sconcertata e delusa dal rifiuto europeo di condannare l'attacco di Saakashvili contro Tskhinvali e dall'insistenza a incolpare la Russia. Gli europei, come ha lamentato un diplomatico del ministero degli Esteri russo, apparentemente non hanno il “coraggio di tener testa a Washington e ai suoi alleati a Tbilisi”.

Durante un incontro informale svoltosi un paio di settimane fa ad Avignone, nel sud della Francia, i ministri degli esteri europei hanno chiesto “un'indagine internazionale” sul conflitto. La logica di questa decisione è che chiunque speri di fare da mediatore non debba peccare di parzialità nel valutare ciò che è accaduto nel Caucaso. Pare che perfino i ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Svezia, Stati baltici e altri paesi dell'Europa Orientale si siano detti d'accordo. Prima dell'incontro di Avignone erano stati fautori della linea dura con Mosca e di una maggiore solidarietà con Tbilisi, malgrado i fatti parlassero chiaro.

I 27 ministri degli esteri prevedono di adottare all'inizio di questa settimana una risoluzione formale per chiedere un'indagine internazionale. Ma rimane del tutto senza risposta la questione di chi debba ricevere questo delicato incarico: le Nazioni Unite, l'OSCE, organizzazioni non governative, accademici, o un insieme di tutti questi gruppi? Una cosa sola è chiara: l'Unione Europea non intende accollarsi la questione. Gli europei temono che non farebbe che allargare il divario tra i fautori della linea dura e coloro che sono favorevoli a una cauta riconciliazione con Mosca.

Saakashvili, il collerico presidente georgiano, segue questo cambiamento di prospettiva dell'Occidente con crescente disagio. Ribadisce la propria versione tutti i giorni alla televisione, una società internazionale di pubbliche relazioni inonda costantemente i media occidentali di materiale attentamente selezionato e Tbilisi sta già portando il proprio caso al Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra dell'Aia, accusando i russi di “pulizia etnica”.

Ma Saakashvili non si fida più così tanto del sostegno dei suoi alleati. Prima della visita a Tbilisi del Segretario Generale della NATO Jaap de Hoop Scheffer, questa settimana, Saakashvili ha chiesto all'alleanza occidentale di mostrare la propria determinazione, osservando che un'esibizione di debolezza nei confronti di Mosca avrebbe portato a “una storia infinita di aggressioni russe”.

Saakashvili è già politicamente morto?

Il presidente georgiano deve anche subire pressioni all'interno del suo paese, giacché il fronte unanime che si era creato durante l'invasione russa si sta sbriciolando. Chi soleva criticare il “regime autoritario” di Saakashvili si sta facendo nuovamente sentire. Già nel dicembre 2007 Georgy Khaindrava, ex ministro per la risoluzione dei conflitti destituito nel 2006, aveva raccontato a Der Spiegel che Saakashvili e i suoi sono persone “per le quali il potere è tutto”. Poche settimane prima Saakashvili aveva spiegato a Tbilisi i corpi speciali per reprimere le proteste dell'opposizione e aveva dichiarato lo stato d'emergenza. Allora Khaindrava si era detto preoccupato che Saakashvili potesse presto cercare di ridare lustro alla propria immagine indebolita con una “piccola guerra vittoriosa”: quella contro l'Ossezia del Sud.

Già nel maggio 2006 l'ex ministro degli Esteri Salomé Surabishvili aveva espresso allarme per le intenzioni di Saakashvili. L'“enorme potenziamento militare” da lui intrapreso era “senza senso”, disse Surabishvili, aggiungendo che faceva pensare che intendesse risolvere militarmente i conflitti in Abkhazia e Ossezia del Sud.

La scorsa settimana i capi dei due maggiori partiti politici georgiani hanno chiesto le dimissioni di Saakashvili e la formazione di un “governo né pro-russo né pro-americano, ma pro-georgiano”. A Mosca l'ex vice ministro degli Interni georgiano Temur Khachishzili, che ha scontato anni di carcere per aver attentato alla vita del predecessore di Saakashvili, Eduard Shevardnadze, sta raccogliendo supporto per un cambio di regime in Georgia tra il milione e più di georgiani che vivono sul suolo russo.

Siamo già alla morte politica di Saakashvili, che solo cinque settimane fa si era conquistato la simpatia dell'Occidente come vittima dell'invasione russa? Lo scorso finesettimana il presidente georgiano ha ricevuto un aiuto inaspettato da Krasnaja Zvezda, giornale pubblicato dal ministero della Difesa russo. Il giornale ha pubblicato alcune dichiarazioni, finora smentite da Mosca, di un ufficiale della 58ª Armata. Ironicamente, l'ufficiale metteva in dubbio le conclusioni dei servizi occidentali e della NATO che i reparti dell'esercito russo non avessero raggiunto Tskhinvali prima del 9 agosto.

Su Krasnaja Zvezda il capitano Denis Sidristij, comandante di una compagnia del 135° reggimento di fanteria motorizzato, descrive come lui e il suo reparto si trovassero già nel tunnel di Roki, diretti a Tskhinvali, la notte precedente l'8 agosto. L'invasione di Mosca è forse cominciata prima di quando dicono i russi?

La scorsa settimana gli inquirenti moscoviti hanno anche ammesso per la prima volta che il numero delle vittime civili dell'assalto georgiano contro Tskhinvali non era 2000, come hanno affermato ripetutamente le autorità russe, ma 134.

Interrogato a proposito delle affermazioni su Krasnaja Zvezda, un portavoce del ministero della Difesa russo ha detto a Der Spiegel che erano il risultato di un errore tecnico. Inoltre, ha detto il portavoce, l'ufficiale in questione era rimasto ferito e dunque “non riusciva più a ricordare con chiarezza la situazione”.

Lo scorso venerdì il capitano Sidristij, da allora decorato dal ministero della Difesa russo, ha avuto una seconda possibilità di descrivere la sua versione dei fatti alla Krasnaja Zvezda. Il suo reparto, ha detto nella versione riveduta, si era diretto a Tskhinvali un po' più tardi di quello che aveva detto al giornale la prima volta.

Sembra che per quanto riguarda la breve guerra del Caucaso sia ancora difficile separare la verità dalle bugie.

Der Spiegel (Ralf Beste, Uwe Klussmann, Cordula Meyer, Christian Neef, Matthias Scheep, Hans-Jürgen Schlamp, Holger Stark)

Fonte: http://www.spiegel.de/international/world/0,1518,578273,00.html

 

Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e fonte.