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La Coop NON sei tu

di Giorgio Ballario - 29/09/2008

 

Un’immensa libreria nel centro che più centro non si può, articolata su tre piani, con una sala incontri di 50 posti a sedere, 14 librai che vi lavorano e un vastissimo assortimento di 41 mila titoli e circa 85 mila volumi, provenienti da ben 600 sigle editoriali, inclusi piccoli marchi indipendenti. Benvenuti nella fiammante libreria Coop di Torino, aperta la scorsa settimana in piazza Castello proprio al di sotto della mussoliniana Torre Littoria, cioè a un tiro di schioppo da Palazzo Reale, dal teatro Regio, dalla Mole Antonelliana e dai caffè storici che ancora propongono il “bicerìn” tanto amato da Cavour.

Inaugurata in pompa magna alla presenza del sindaco Chiamparino, la mega-libreria è la prima che il colosso cooperativo apre nel centro storico di una grande città, dopo averne realizzate già 13 all’interno
di vari centri commerciali italiani. La prossima sarà a Bologna. Una grande novità per il pubblico dei bibliofili e per i tanti operatori del settore editoriale, che infatti nei primi giorni hanno affollato speranzosi i tre piani del bookstore torinese. Magari incuriositi nel voler constatare di persona in cosa consista la “via  cooperativa” alla cultura di massa, ma soprattutto con una domanda sulla punta della lingua: come faranno i librai cooperanti ad affrontare la concorrenza delle tante catene librarie già presenti nel centro di Torino e
concentrate nel raggio di poche centinaia di metri (un paio di Feltrinelli, Fnac, Mondadori)?

Risposta obbligata: per ora lo fanno con le stesse armi dei rivali (rivali?), cioè con una politica aggressiva su prezzi e sconti e cumuli di best-seller più o meno trash (alla Coop va molto forte il collaudato “Guinness dei primati”), ammonticchiati all’americana in tutte le sale. Uno scenario non troppo dissimile dai supermercati librari di stampo berlusconiano. E i piccoli editori indipendenti? Se vi dotate di un binocolo, forse riuscirete a scoprirli in cima agli scaffali a muro, dove solo i commessi forniti di scala possono arrivare. «Per scovare un paio di miei titoli ho dovuto cercarli con il lanternino - spiega rassegnato un piccolo editore torinese - senza contare che la Coop ti impone forniture a prezzi così ribassati che alla fine non conviene neppure distribuirli con loro».

Già, ma allora dove distribuire i prodotti editoriali che non escono con il marchio di fabbrica dei giganti dell’editoria? Nelle librerie, non sempre piccole, che ancora non appartengono alle catene commerciali, suggeriscono Ernesto Ferrero, direttore della Fiera del Libro di Torino, e altri compassati addetti ai lavori. Peccato che anche queste stiano rischiando il collasso, strangolate a tenaglia dai mega-store in centro città e dagli scaffali di libri nei supermercati di periferia. «Fino a un paio d’anni fa potevo contare sullo zoccolo duro dei best-seller più pubblicizzati - commenta un libraio che ha il negozio nell’area centrale - Vendevi quelle 20-30 copie di Grisham o della Fallaci che ti davano ossigeno per poter proporre anche titoli ed editori meno conosciuti. Quest’anno di libri della Fallaci non ne ho praticamente venduti, del resto non posso competere con le catene che li propongono scontati del 25-30 per cento perché li acquistano a metà prezzo dall’editore».

Risultato? I comuni librai sono in crisi e i mega-store fanno affari d’oro, spesso affiancando ai libri prodotti di grande richiamo quali musica, telefonia e hi-fi. Come consumatori in apparenza potremmo essere soddisfatti, perché ora è indubbiamente più facile trovare testi scontati, e con l’aria che tira risparmiare un paio di euro a volume fa sempre comodo. Ma come cittadini siamo sicuri che le sorti magnifiche e progressive delle maxi-librerie ci convengano poi tanto? Che non saranno l’ennesimo canale per veicolare solo i soliti libri politicamente e culturalmente corretti, che già adesso affollano l’80 per cento degli scaffali? Che con la scusa dei profitti e dell’economia di scala si toglieranno di mezzo gli autori scomodi? Si dice che ogni volta che scompare una lingua o si estingue una specie animale e vegetale, diventiamo tutti un po’ più poveri. E’ vero. Ma anche ogni volta che si abbassa la saracinesca di una libreria indipendente.

 

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