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La nostra sorte dipende da quella dei "mascalzoni" di Wall Street

di Carlo Gambescia - 30/09/2008


 
WASHINGTON - La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha bocciato il pacchetto da 700 miliardi di dollari approntato dal Tesoro per salvare il sistema finanziario americano. E' mancato il quorum per un pugno di voti. I contrari sono stati 228, i favoreli 205. Per far passare il provvedimento erano necessari 218 voti favorevoli. La notizia ha fatto sprofondare Wall Street: il Dow Jones ha chiuso in calo del 5,8% a quota 10.486,43 mentre il Nasdaq ha lasciato sul terreno il 9,14% a 1.983,73 punti e lo S&P500 è arretrato del 7,34% a 1.123,94 (…). La debolezza di Bush. Il clamoroso 'no' della Camera è stato innescato da un ripensamento in extremis di una dozzina di deputati repubblicani e dalla incapacità del leader democratico Nancy Pelosi di controllare il voto dei suoi deputati. Ma si è trasformato in uno schiaffo anche per il capo della Casa Bianca, confermando la perdita quasi totale da parte di Bush del potere di influenzare gli eventi (…). Ma il fatto che la maggiore opposizione al piano è venuta dai deputati repubblicani, cioè dal partito del presidente, è un'altra fonte di frustrazione per Bush. I deputati repubblicani sono preoccupati dal voto imminente di novembre: tutti i membri della Camera devono sottoporsi al giudizio degli elettori e sono quindi molto sensibili agli umori dei loro collegi elettorali, umori che sono chiaramente contrari al piano. Gran parte degli elettori sono convinti che il piano, che costerà 700 miliardi di dollari ai contribuenti, miri infatti a salvare le grandi compagnie di Wall Street ma faccia ben poco per i piccoli risparmiatori e per chi non è più in grado di pagare i mutui delle case. Subito dopo la bocciatura del piano, un Bush "molto contrariato", ha convocato il suo staff nello Studio Ovale. E il segretario al Tesoro Henry Paulson, che ha incontrato il presidente della Fed Ben Bernanke, si è immediatamente detto pronto "a usare tutti gli strumenti a disposizione per proteggere i mercati e l'economia". I candidati alla presidenza. Il candidato democratico Barak Obama ha chiesto ai mercati "fiducia" e "calma". Il piano da 700 miliardi appena bocciato dalla Camera "non è morto" e adesso "è importante che tutti, gli americani e i mercati finanziari, abbiano nervi saldi". Ma il suo avversario ha attaccato a testa bassa lo stesso Obama e i democratici. McCain ha affidato al proprio consigliere economico, Douglas Holtz-Eakin, il compito di diffondere una dichiarazione al veleno, affermando che il fallimento è legato al fatto che "Barack Obama e i democratici hanno messo la politica di fronte agli interessi del paese" (…). Cosi facendo, secondo McCain, i democratici "hanno messo a rischio le case, le condizioni di vita e i risparmi di milioni di famiglie americane"(…). Nuovo voto non prima di giovedì. Dopo la picchiata dei mercati la Camera si è riconvocata per giovedì. Oggi i deputati dovevano votare e andare a casa fino alla fine dell'anno per la pausa elettorale: i sostenitori in entrambi i partiti del piano da 700 miliardi - la speaker della camera Nancy Pelosi e (a malincuore) il capo della minoranza repubblicana John Boehner - si sono ripromessi invece di riportare in riga le truppe smarrite e rimettere ai voti il piano. Domani il Congresso osserva la festa ebraica di Rosh Hashanah e i lavori parlamentari erano in ogni caso sospesi (…). (29 settembre 2008) http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/economia/crisi-mutui-6/camer-usa-bocca/camer-usa-bocca.html


Siamo davanti a un errore per ora grave, ma che potrebbe diventare fatale qualora il piano di salvataggio ideato da Bush venisse respinto definitivamente dal Congresso. Del resto c’era da aspettarselo. Negli Stati Uniti non esiste tuttora alcuna cultura sociale diffusa dell’intervento pubblico. Qualsiasi aiuto statale, anche indiretto e non solo alle banche, viene subito interpretato, anche dal cittadino medio, come un attentato "comunista" alla libertà economica. Esemplare, sul piano politico, la reazione, e il voto contrario, dei repubblicani conservatori, da sempre legati a rigidi principi liberisti. Ma anche quella, tutto sommato ambigua, dei democratici, fermi alla troppo generica promessa di fare comunque qualcosa, soprattutto considerata la gravità del momento.
Non abbiamo mai condiviso la politica di Bush in tutti i campi, ma riteniamo che il piano debba essere approvato, pena l’ espandersi della crisi finanziaria, e in misura gravissima, anche all’Europa e al mondo intero.
Il problema del momento, se si vuole evitare una crisi economica internazionale lacrime e sangue, è intervenire rifinanziando le banche per impedire che il loro crollo si porti dietro l’economia mondiale. In Europa si dovrebbe subito cominciare a studiare un piano simile a quello di Bush.
Le polemiche, spesso moralistiche, sul fatto che dietro la speculazione vi sono, tuttora, dei "mascalzoni", sono assolutamente inutili. Se ci si passa la movie-espressione, è il capitalismo bellezza: da Francis Drake in poi il destino dei "mascalzoni" è sempre stato legato, e a filo doppio, a quello di miliardi di onesti cittadini-investitori. Magari solo desiderosi di guadagnare in fretta... Quasi, ma non proprio, come i "mascalzoni"...
Come è del tutto inutile qualsiasi atto di fede nel mercato, legato al ragionamento che il ciclo economico debba fare il suo corso. Se si “lascia fare” al ciclo economico, corriamo il rischio di ritrovarci, tutti, con centinaia di milioni di disoccupati.
Ovviamente ogni intervento, sulla falsariga di quello proposto da Bush, implica una crescita del tasso d’inflazione. Ma fra inflazione e recessione è preferibile la prima. Anche perché alla politica di intervento creditizio andrebbe affiancata una politica di opere pubbliche e di promozione dell’occupazione. Allo scopo di favorire il rilancio dei consumi privati e pubblici. E dunque la crescita dei salari e l' avvio di un nuovo ciclo economico, questa volta virtuoso. Il che ovviamente, per andare a regime, potrebbe richiedere almeno cinque, se non dieci anni. E si spera nessuna nuova guerra.
E’ perciò l’ora di attuare una “globalizzazione” non più del mercato, ma dell’intervento pubblico. Dal momento che non esistono alternative, se non quella di una crisi, dalla quale uscirebbero rafforzati solo quei gruppi sociali che detengono il potere militare. Il capitalismo, e in particolare quello Usa, allo stato attuale non ha oppositori capaci di coalizzarsi “globalmente” e trasformare la crisi economica in crisi rivoluzionaria.
Certo, resta la possibilità, di una “compartimentalizzazione” della crisi mondiale per grande aree geopolitiche. Ma anche qui mancano le classi politiche, soprattutto in Europa, capaci di sganciarsi e muoversi autonomamente rispetto alle classi economiche. L’Europa finirebbe ( o resterebbe) perciò nell’orbita di altre grandi potenze. Almeno per ora.
In conclusione, ripetiamo, è giunta l’ora di “globalizzare” l’ intervento pubblico, comune e concordato tra tutti i paesi. E questo, sul piano dei principi, non per salvare il capitalismo - non lo meriterebbe - ma per salvare il futuro dei nostri figli e nipoti. Purtroppo legato, almeno per ora, alla sorte dei "mascalzoni" di Wall Street.