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Fenomenologia della donazione

di Marco Tedeschini - 30/09/2008

Giovanni Ferretti (a cura di), Fenomenologia della donazione

 

 

 

 

 

In occasione della pubblicazione italiana dell’importante saggio di Jean-Luc Marion, Étant donné. Essai d’une phénoménologie de la donation (Puf, Paris 1997; trad. it. R. Caldarone, Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, Sei, Torino 2001) è stato organizzato, presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane dell’Università degli studi di Macerata, un seminario nel quale si sono avvicendati diversi studiosi, per riflettere su un aspetto o un momento dell’opera e per far reagire gli spunti da essa offerti con la propria disciplina di provenienza. Si avranno così, nell’ordine, il saggio di Carla Canullo, che affronta il testo da una prospettiva squisitamente fenomenologica; la critica di Sergio Labate al concetto di dono proposto da Marion a partire da ricerche antropologiche condotte in proprio; l’indagine di Nicola Reali sull’efficacia della risposta teologica che una fenomenologia à la Marion è in grado di fornire; infine, Rosaria Caldarone, già traduttrice di Étant donné, interrogherà la questione dell’amore come ciò che rende ragione dello sforzo intellettuale di Marion. Il volume si apre con una presentazione di Giovanni Ferretti, in cui viene ricostruita per sommi capi la biografia intellettuale di Jean-Luc Marion, il dibattito aperto dalle sue ricerche filosofiche e il contesto immediato in cui si colloca Dato che – il ‘trittico’, del quale occupa la posizione centrale, composto da Reduction et donation. Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénoménologie (Puf, Paris 1989) e De surcroît. Études sur le phènomènes saturés (Puf, Paris 2001). L’introduzione di Ferretti ripercorre organicamente la struttura di Dato che e si conclude con una rapidissima illustrazione delle tematiche affrontate nei quattro saggi raccolti.

Il carattere specialistico dei quattro contributi è indice dell’intento innanzitutto filosofico di questa pubblicazione. Il lettore non si troverà, pertanto, di fronte a singole ricostruzioni di momenti differenti o a prospettive divergenti dello stesso Dato che, né sarà in grado di ricostruirne adeguatamente gli snodi concettuali; per chi invece abbia già avuto modo di confrontarsi con il testo di Marion, non sarà difficile riconoscere nella successione degli articoli, il percorso che lo stesso filosofo invita a seguire, dalla donazione all’apertura sulla questione dell’amore. Sarà altresì chiaro, che gli autori hanno voluto vagliare le tesi di Marion per farne emergere i limiti, i pericoli, le tensioni, per proporne sviluppi alternativi o per rifiutale.

Fatte le debite premesse, occorre innanzitutto comprendere che cosa vada inteso per ‘donazione’: questo concetto non è, infatti, in alcun modo neutrale, ma porta con se un ‘rovesciamento’ della fenomenologia e una ‘destituzione’ dell’ontologia. Carla Canullo mostra come le parole ‘rovesciamento’ e ‘destituzione’ non siano affatto casuali, ma comportino nel primo caso di mostrare il ‘rovescio’ della fenomenologia ovvero il suo «lato nascosto ma presente» (p. 27), che non è stato tematizzato, pensato, portato alla luce attraverso l’operazione del rovesciare, «il portare alla luce il rovescio» (ibidem); nel secondo caso, urge invece ampliare indefinitamente lo spazio del darsi dei fenomeni superando la limitazione imposta dall’ontologia. Pertanto, la ‘destituzione’ andrà intesa come un abbandono dell’ontologia e una deposizione dal suo primato, da attuare secondo il metodo fenomenologico messo a punto dal pensatore francese e da intendere come privazione del primato fondativo dell’ontologia. A tal fine, Marion ripropone brevemente, nel primo capitolo di Dato che, le complesse analisi, in cui si era impegnato nel precedente Reduction et donation. Per questa ragione, Canullo si sofferma con maggiore attenzione su quest’ultimo. La critica che muove è di carattere generale: la donazione, dispiegata senza alcun limite formale, perde sul piano del fatto qualunque controllo, qualunque presa; come garantire, dal punto di vista di Marion, il darsi effettivo dei fenomeni? Se, infatti, tutto ‘di diritto’ si dà, ‘di fatto’ il darsi rimane un problema cui non viene data soluzione e che, di contro, una prospettiva ontologica sembra garantire. L’uscita da tale impasse è ravvisata dalla Canullo (non senza difficoltà, ma d’altronde si tratta di brevi lineamenti di una teoria tutta da pensare) esattamente nel riconoscere detto ruolo dell’essere; ciò sarebbe possibile se, invece di neutralizzare l’essere, esso venisse riconsiderato come «momento insuperabile» (p. 62) del darsi concreto del fenomeno (nella visibilità), che tuttavia non ne diverrebbe il fondamento, ma ciò che «lo conduce» (p. 62) a manifestazione senza nulla togliere alla sua infinita possibilità di manifestazione.

Sergio Labate nota che il passaggio dal concetto di ‘donazione’ a quello di ‘dato’ è mediato dal concetto di ‘dono’. Questo viene inteso come un fenomeno privilegiato per intendere il rapporto tra i primi due, in quanto non c’è nulla che si mostri che, innanzitutto, non sia donato. Ora, la retta comprensione del dono, dunque di ciò che viene donato, esula dai modelli abituali che Marion definisce ‘metafisici’, ovvero sottoposti alla relazione di causalità efficiente – sicché, una retta comprensione del concetto dovrebbe rendere la fenomenologia della donazione impermeabile a qualunque accusa di “teologizzazione” della filosofia. Nel suo intervento, Labate ripercorre per buona parte il tête-à-tête tra Marion e Mauss e tra Marion e il Derrida lettore di Mauss; sottolinea come valga, e per Marion e per Derrida, l’opinione che il circuito entro il quale si iscrive il dono è del tutto esteriore a quello economico dello scambio; riconosce, infine, forzando «la posizione di Derrida (e l’interpretazione di Marion)» (p. 81), che «del dono non c’è conoscenza apofantica, ma soltanto apofatica. Non sappiamo ciò che il dono è, ma sappiamo ciò che non è: esso non è un oggetto economico» (p. 82). La posizione assunta da Marion conduce Labate ad alcune interessanti critiche di carattere antropologico. Innanzitutto, occorre constatare contro la rigorosa distinzione di logica economica e logica del dono, che se «ogni profitto è un ritorno, non ogni ritorno è un profitto» (ibidem); inoltre, il dono diventa inevitabilmente ciò che non può mai giungere alla presenza e non ha in alcun modo a che fare con l’esperienza. Se, in questo modo e attraverso ‘la triplice epoché’, Marion riesce a ridurre il dono al mostrarsi del fenomeno a partire dalla sua donazione, «e così perdendo ogni traccia dell’esperienza concreta del dono» (p. 96); dall’altra parte, il dono – inafferrabile – «mantiene una propria logica intrinseca, che non può essere misurata né dall’economia né dalla donazione» (ibidem). Labate sostiene, così, che la logica del dono non venga in alcun modo mostrata, ma ‘ricompresa’ all’interno di quella della donazione, scomparendo in tal modo il dono stesso. Di qui una critica ben più radicale: ‘riducendo’ Marion il dono, non riesce a ‘tradurlo’, a portare alla luce ciò che «l’evento del dono conduce» (p. 100), che non ha affatto un carattere epistemologico, ma riguarda l’esigenza intimamente umana di essere riconosciuto “per quel che è”, prima ancora di sapere chi è.

Il percorso di Marion conduce alla trattazione del ‘fenomeno saturo’, che Nicola Reali affronta nel suo grado più alto, il cosiddetto ‘paradosso dei paradossi’, cioè il Cristo. Che vi sia la possibilità di un fenomeno come quello del Cristo (indipendentemente da ogni fede o dall’affermazione che ciò sia già accaduto) significa «rovesciare la tradizionale subordinazione della fenomenalità ad una com-prensione a priori della stessa» (p. 110), privilegiare la possibilità sul fatto, non porle limiti. A detta dell’autore del ‘saggio per una fenomenologia della donazione’ (e sulla scorta di Heidegger), fenomenologia e teologia distinguono i loro ambiti proprio rispetto alla questione della possibilità o dell’effettività di una tale rivelazione. «La fenomenologia non saprebbe decidere se una rivelazione può o deve mai donarsi» (J-L. Marion, Dato che, op. cit. p. 327), solo la teologia potrebbe occuparsi dell’effettivo accadimento di essa. Nuovamente, “sdoganare le possibilità della possibilità” ampliando i confini cui la costringono i limiti stessi del soggetto conoscente, presenta un problema nel passaggio all’effettività; ma Reali vede bene il guadagno di una tale prospettiva, essa orienterebbe la costruzione del problema della rivelazione in modo alternativo a quella di una «impostazione aprioristica» (p. 124), «poiché l’assunzione dell’idea di possibilità negherebbe alla radice ogni predeterminazione antropologica ed ontologica dell’indeducibilità del fenomeno» (p. 125). Nondimeno, Marion ricadrebbe nello stesso errore, in quanto avrebbe la pretesa di predeterminare il darsi di un tale fenomeno e cioè di imporgli preventivamente la forma del ‘paradosso dei paradossi’. Inoltre, «non si può non notare che […] il modello prospettato potrebbe correre il rischio di annullare la dimensione storica dell’attuazione fenomenale» (p. 124), nella misura in cui il momento antropologico ‘concreto’ della libera decisione, nel quale l’uomo «riconosce l’alterità di Dio come ciò che autorizza efficacemente la sua libertà aprendole l’orizzonte ultimo dell’intenzionalità» (p. 125), venisse ridotto a semplice «momento necessario all’affermazione che di diritto (non di fatto) ha conferito alla donazione questa prerogativa» (p. 124). Senza entrare nel merito delle difficili questioni teologiche cui allude questa critica, Reali ne muove una seconda, evidentemente dello stesso carattere di quella di Carla Canullo, ma con argomentazioni e in contesti differenti: «la tensione irrisolta nella coppia effettività/possibilità» (p. 131). Sebbene, Marion abbia tentato di scioglierla, ricorrendo all’intuizione donatrice come garante della datità dei fenomeni, è rimasta irrisolta proprio in virtù del primato su quella del principio della donazione.

L’ultimo contributo in volume, di Rosaria Caldarone, verte sul tema dell’amore, che sembra poter offrire una «soluzione non trascendentale del problema dell’io e del suo rapporto con altri» (p. 138). Il destro per le proprie riflessioni è offerto alla Caldarone dalla conclusione del testo di Marion come apertura sulla questione dell’amore, la quale permette di interrogarsi adeguatamente anche sulla figura dell’‘Adonato’ ovvero  l’ “io”, né puro, né empirico, e che si riceve a partire da ciò che si dà, cui si perviene attraverso il metodo fenomenologico proposto in Dato che. L’amore è quanto potrà condurre a buon fine la destituzione dell’ontologia che è compiuta dall’amante «attraverso il semplice gesto di annoiata indifferenza verso tutto ciò che è, ma che non sarà mai l’amato» (p. 140). Se tale operazione va a buon fine attraverso il ‘semplice gesto’ che s’è visto, l’Io trova la sua dimensione non trascendentale nell’‘adonato’, in quanto ‘si scopre’ consegnato ad altri nel ricevere altri, dal quale, ‘dato/donato’, definito col nome di ‘Icona’, riceve la sua dimensione più propria. Nell’amore trova infine spazio un rapporto con l’altro che sia individuale, visibile e nondimeno asimmetrico, perdendo quei caratteri di violenza, invisibilità ed estrema generalità che Marion rifiutava alla caratterizzazione dell’‘Altro’ offerta da E. Levinas; questo è finalmente possibile nell’individuazione reciproca dell’Icona e dell’Adonato che si amano. Caldarone, riprendendo per sommi capi le trattazioni dell’icona e dei paradossi cui vanno incontro l’io trascendentale e quello empirico, giunge a mettere in luce come l’amore trovi il suo proprio terreno nel simbolico. «Ciò che nel simbolo lavora è la forza di una nuova associazione, capace di produrre un nuovo senso e di instaurare una comunità che non si iscrive e non si giustifica nell’ambito di ciò che è per natura, ma in un ordine che oltrepassa e riscrive l’ordine naturale» (pp. 151-152).

Saggi tanto diversi, per approccio e per fine, mettono bene in luce, al “rovescio”, l’ampiezza delle vedute offerte da Dato che; al “dritto”, i meriti e le difficoltà, indubbiamente fertili e degne di essere pensate – come ben fanno gli autori – che il testo solleva. Non v’è, dunque, dubbio sull’utilità di una tale pubblicazione, con una riserva quanto al suo carattere maggiormente specialistico che introduttivo.

 

Ferretti, Giovanni (a cura di), Fenomenologia della donazione. A proposito di "Dato che" di Jean-Luc Marion, Morlacchi editore, Perugia 2002, pp. 154, € 15,00