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Liberomercato "sovietizzato"

di Giovanni Petrosillo - 02/10/2008

 

 

Le nostre grandi imprese hanno fama, a livello internazionale, di essere “dopate” e di non stare alle regole del gioco economico. E’ cosa questa che certo non si può smentire, ma le innumerevoli denuncie e sanzioni comminateci dalle istituzioni europee, fortemente sollecitate da imprese internazionali concorrenti  (dietro le quali ci sono altrettanti sistemi-paese), sono sempre state pretestuose o, almeno, dis-equilibrate, stando a quanto avveniva in casa d’altri.

La verità è che l’Italia si trova, da un quindicennio a questa parte, sotto il fuoco incrociato di chi, a livello internazionale, punta ad accaparrarsi fette sempre più consistenti di risorse nazionali, sfruttando la complessiva debolezza politica del nostro sistema-nazione. Spessissimo il nostro capitalismo accattone, il vero responsabile della decadenza italica, ha allungato la mano nelle tasche dei contribuenti per coprire la propria mala gestione (quel capitalismo parassitario che abbiamo chiamato Gf&ID), tentando di socializzare le perdite dopo aver abbondantemente privatizzato i profitti.

Resta inteso che queste “manovre di rapina” (il che non significa affatto che la rapina sia la sostanza stessa del modo di produzione capitalistico) sono state rese possibili dalla debolezza degli agenti politici, i quali hanno permesso, tanto alle imprese decotte del nostro capitalismo assistito che alla finanza nostrana, collegata alla più potente finanza americana ed europea, di godere della massima impunità e della più vasta libertà d’azione.

Così, ad esempio, per la Fiat che ha ottenuto in passato - e che continua ad ottenere anche oggi - nelle forme più disparate, milioni di euro di sovvenzioni statali, con il ricatto delle maestranze alle quali “offre” paternalisticamente la propria protezione (ma non erano le imprese a domandare forza-lavoro sul mercato, come insegnatoci nelle lunghe lezioni di economia da professori zelanti e “tecnicamente” corretti?), solo dopo aver abbondantemente succhiato alle mammelle delle casse pubbliche.

E così anche per le grandi banche del Bel Paese, le quali hanno goduto di una legislazione sbilanciata a loro favore e dell’inefficienza, nonché compiacenza (evidentemente non è un difetto solo americano), delle autorità di controllo le quali, soventemente, hanno chiuso tutti e due gli occhi dinanzi a trucchi e malefatte di ogni tipo.

La Comunità Europea, per tali ragioni, ha più volte condannato l’Italia, con l’accusa di aver fatto uso ed abuso di misure perturbatrici della libera concorrenza nel mercato comunitario, contravvenendo alle "Sacre Scritture Mercatiste" divulgate dalla tecnocrazia economica che appesta gli organismi comunitari e che fa gli interessi dei poteri forti transanazionali.

All’improvviso però sopraggiunge il terremoto finanziario e in Europa tutti si riscoprono sostenitori dell’intervento pubblico in economia, dettato dall’eccezionalità della congiuntura. Le leggi del capitalismo ideologico restano allora come sospese, ma sempre valevoli nella testa di questi imbonitori, in attesa che i “correttivi” statali possano fare piazza pulita, con mezzi del tutto "straordinari", dei parassiti e degli usurpatori affetti da ipomania individualistica e accumulativa. Sarà, ma eccezione dopo eccezione ci si avvicina sempre di più alla regola.

Dopo aver ascoltato per anni i giannizzeri incravattati di “eurolandia” spararle grosse sulle virtù taumaturgiche della mano invisibile che crea e distrugge ma che alla fine riequilibra con maggiore perfezione, il nuovo messaggio è una vera e propria retromarcia. Oggi, difatti, siamo in presenza di una debacle sistemica che ha ben poco di fisiologico (almeno nel senso che sono letteralmente saltati gli stessi fondamenti sui quali aveva sin qui poggiato il castello finanziario occidentale) ed è per questo che gli indefessi liberisti, grandi esperti del piffero, rilasciano dichiarazioni sempre più vaghe e ambigue. Obiettivamente, questi tecnici sopravvalutati e pluripremiati non ci stanno capendo un’acca, proprio come noi poveri mortali, non potendo minimamente prevedere, con gli strumenti categoriali a disposizione, quale sbocco prenderà questa crisi e a quali sconvolgimenti porterà. Per questo vi propongo qui sotto un articolo, tratto dal Foglio, dove vengono denunciate, più o meno, le cose che avevo precedentemente detto nel pezzo sull’Alitalia e che mi trovano pienamente d'accordo.

 

Da "Il Foglio"

GLI AIUTI DI STATO NON ERANO ILLEGALI?

 

Il governo inglese statalizza la banca Bradford & Bingley, impegnata nel credito immobiliare britannico, che rischiava l'insolvenza. Questa operazione, decisa con rapidità, dopo che potenziali acquirenti privati si erano ritirati, punta alla salvaguardia dei depositanti, in preda al panico. Ma è evidente che l'esigenza di difendere i risparmiatori da diseconomie esterne causate da condotte bancarie imprudenti non vale a cancellare il fatto che si è, verosimilmente, in presenza di un aiuto di stato, contrario alle regole europee sulla concorrenza. I regolatori britannici non sembrano preoccuparsene.

 

E tacciono, finora, i commissari europei competenti per la concorrenza e i mercati finanziari, che in altri casi furono solleciti ad ammonire i governi a non violare tali regole (vedi caso Alitalia e, con riguardo al settore del credito, al trattamento preferenziale con-cesso a Banca Popolare Italiana nella scalata ad Antonveneta che attirò critiche sulla Banca d'Italia). Ma il caso più imponente è quello di Fortis, un colosso banco-assicurativo, numero uno nella rete bancaria belga, con una posizione di primaria importanza anche in Olanda e in Lussemburgo.

 

I governi dei tre paesi hanno erogato, complessivamente, 11,2 miliardi di euro per l'acquisto del 49 per cento delle azioni, rispettivamente di Fortis Belgio, Fortis Olanda e Fortis Lussemburgo. Anche questa statalizzazione (che implica il controllo governativo di Fortis, visto che il restante 51 per cento è frazionato) è un salvataggio, perché decisa dopo che i privati hanno declinato l'interesse a rilevare il gruppo.

 

La Commissione di Bruxelles sostiene che non si tratta "necessariamente" di aiuto di stato: lo sarebbe solo se i governi comprassero le azioni a un prezzo inferiore al valore di mercato. Ma si potrebbe argomentare che se i privati hanno declinato quell'operazione che invece i governi realizzano l'aiuto di stato c'è. Nel perimetro di Fortis ci sono alcune attività acquisite da Abn Amro, un'operazione che dovrebbe essere completata in ottobre.

 

I tre governi, quindi, si prendono in carico anche questi asset che poi dovranno rivendere. Sorgono così pure domande sul comportamento dei regolatori finanziari quando Fortis chiuse quell'operazione. E' da dubitare che Fortis avesse allora i parametri patrimoniali per quell'acquisizione. Che dicono i regolatori? C'è una crisi di credibilità, nel centro dell'Europa.