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Da Monaco al Kosovo

di John Laughland - 03/10/2008



Il 70° Anniversario dell'accordo di Monaco, che venne concluso il 30 settembre 1938, apre quelli che saranno indubbiamente molti anni di rievocazioni formali della Seconda Guerra Mondiale.
Se gli eventi degli anni Trenta e Quaranta si allontanano nel tempo, le ombre che gettano sul presente sembrano farsi invece sempre più lunghe. La politica contemporanea è ora dominata da un solo (e negativo) principio guida: il buco nero del nazismo.

Ricordare Monaco è dunque molto importante. L'accordo stretto tra la Gran Bretagna, la Francia e l'Italia fascista per consentire alla Germania nazista di annettersi il territorio dei Sudeti (le zone occidentali, a maggioranza tedesca, della Cecoslovacchia) era frutto della politica nota come appeasement, per mezzo della quale Londra e Parigi cercarono di placare Hitler. Il fallimento di questa politica risultò di un'ovvietà spettacolare quando Hitler nel marzo 1939 occupò tutte le terre ceche e il 1° settembre 1939 attaccò la Polonia.

Dunque Monaco è giunto a simboleggiare una vergognosa capitolazione davanti all'aggressione. Di fronte alla minaccia hitleriana dell'uso della forza le potenze occidentali concordarono di distruggere quello stesso Stato che avevano creato a Versailles solo vent'anni prima. I vicini della Cecoslovacchia non si comportarono meglio: la Polonia, che poi riuscì nell'intento di presentarsi come la vittima suprema della Seconda Guerra Mondiale, si annesse il territorio di Těšín, mentre l'Ungheria occupò parti della Slovacchia meridionale e orientale.

Monaco viene dunque spesso chiamato in causa, specialmente negli ambienti neo-conservatori americani, per giustificare guerre contemporanee che, si dice, sono anche delle risposte ad aggressioni. Che si tratti della Jugoslavia di Slobodan Milošević nel 1999, dell'Iraq di Saddam Hussein nel 2003 o di qualsiasi altro paese o situazione al mondo, il mantra è che non bisogna ripetere gli errori del 1938.

Strano, dunque, che in occasione del 70° Anniversario di Monaco le potenze occidentali abbiano invece ripetuto esattamente quell'errore. Nel febbraio del 2008, di fronte alla minaccia dell'uso della forza da parte dei separatisti albanesi in Serbia, gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo. Avevano fortemente incoraggiato l'originaria proclamazione di indipendenza, e anzi anche l'uso della forza, al punto da attaccare la Jugoslavia nel 1999 in sostegno alla causa albanese. Distrussero dunque unilateralmente l'integrità territoriale della Serbia, esattamente come 70 anni fa fu distrutta l'integrità della Cecoslovacchia.

L'Unione Europea ha immediatamente affidato a una squadra di 2000 persone il compito di amministrare la provincia, che in ogni caso è già sede di una gigantesca base militare degli Stati Uniti che ospita migliaia di soldati. Dunque l'“indipendenza” del Kosovo ricorda l'“indipendenza” fasulla della Slovacchia sotto il regime fantoccio di Monsignor Tiso, incoraggiato a proclamarla nel marzo 1939 da Hitler che la usò come pretesto per la simultanea occupazione tedesca delle terre ceche.

Entrambi i riconoscimenti hanno distrutto i governi dei paesi interessati. Nel 1938 Monaco produsse il crollo immediato del governo patriottico del Presidente Edvard Beneš; nel 2008 il riconoscimento del Kosovo ha distrutto immediatamente il governo di Vojislav Kostunica, proprio colui che nel 2000, quando depose Slobodan Milošević, fu salutato dall'Occidente come un grande democratico. Nel 1938 a Praga salì al potere il governo collaborazionista di Emil Hácha, che promise di cercare di proteggere la posizione della Cecoslovacchia nel Nuovo Ordine Europeo che stava emergendo. (Nel 1946 molti suoi ministri furono condannati come criminali di guerra). Nel 2008 il nuovo governo di Belgrado guidato dal presidente del Partito Democratico, Boris Tadić, ha similmente confermato che il “principale obiettivo strategico” della Serbia è diventare membro dell'Unione Europa: la stessa organizzazione che adesso amministra illegalmente il Kosovo. (L'amministrazione dell'Unione Europea in Kosovo è illegale perché la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, passata dopo l'attacco della NATO contro la Jugoslavia, ha riaffermato che il Kosovo è parte della Serbia e che è amministrato dalle Nazioni Unite; la sua esistenza evidenzia che la cosiddetta “indipendenza” del Kosovo è in realtà una sorta di annessione).

Il parallelismo si applica perfino ai tentativi disperati compiuti rispettivamente da Praga e Belgrado per conservare i loro territori. Il Presidente Beneš negoziò con Konrad Henlein, il leader tedesco dei Sudeti, promettendo una sostanziale autonomia per le zone del paese a maggioranza tedesca e un incarico di governo per lo stesso Henlein. Il governo di Vojislav Kostunica era pronto a concedere una così grande autonomia al Kosovo che la provincia sarebbe stata più libera all'interno della Serbia di quanto lo sia ora come protettorato degli Stati Uniti e dell'Unione Europea. Ma soprattutto sia nel 1938 che nel 2008 i negoziati interni furono deliberatamente fatti naufragare da un intervento esterno. L'occupazione hitleriana della Cecoslovacchia nel marzo 1939, con la giustificazione che lo “stato artificiale” della Cecoslovacchia era crollato e che la Germania doveva mantenere la pace e la stabilità, fece appello alla stessa logica che giustifica oggi gli interventi occidentali nell'ex Jugoslavia.

È ovvio che l'Unione Europea e gli Stati Uniti, diversamente dalla Germania nazista, non covano piani di genocidio. Il male che hanno perpetrato non è dunque pari a quello di Hitler. Ma di male comunque si tratta, soprattutto perché rappresenta un'abrogazione unilaterale, con l'appoggio della forza militare, delle norme del diritto internazionale (i principi giuridici generali e le risoluzioni delle Nazioni Unite) sottoscritte da queste stesse potenze. È qui che le analogie con Monaco sono più evidenti. Per quanto riguarda le conseguenze del riconoscimento del Kosovo, pare che, ancora una volta come Monaco, esso abbia innescato un pericoloso effetto a catena nel Caucaso. Dobbiamo sperare ardentemente che i parallelismi si fermino qui.

John Laughland, storico e giornalista britannico, è Director of Studies all'Istituto per la Democrazia e la Cooperazione a Parigi.

Fonte: RIA Novosti