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Le bancarotte ignorate

di Marinella Correggia - 04/10/2008


 

L'ipotetico marziano in visita sul pianeta Terra sarebbe perplesso: ma come, si è pronti a salvare con denaro pubblico banche e compagnie finanziarie «vittime» di se stesse e non si trova il denaro per salvare il pianeta muovendo passi decisi verso un'economia a basso contenuto di carbonio e dunque meno nemica del clima? O per salvare dal fallimento milioni di piccole e piccolissime unità agricole i cui titolari campano alla fame, o si suicidano per debiti a decine di migliaia come in India? Terry Barker, direttore del Centro per la mitigazione dei cambiamenti climatici presso la Cambridge University e collaboratore dell'Ipcc (l'organismo dell'Onu per gli studi sul clima, vincitore del Premio Nobel per la pace nel 2007), ha detto di temere che i problemi bancario-finanziari possano stornare i già scarsi investimenti in settori vitali come la lotta al caos climatico.
Barker, riferisce il quotidiano inglese The Guardian, vede molte affinità fra la mancanza di trasparenza e l'eccesso di temerarietà che hanno fatto esplodere la «comunità bancaria», e i pericoli contenuti nella mancanza di azione sul clima da parte del mondo politico ed economico. Entrambi i problemi minacciano di collasso l'economia. E i governi e il mondo degli affari continuano a sottostimare i rischi dell'innalzamento del livello dei mari e dei cambiamenti climatici; eppure, «qualunque sia il costo richiesto dall'avvio di un'economia a basso contenuto di carbonio, è trascurabile rispetto ai costi del non far nulla». Nulla sarà oneroso quanto i 300 miliardi di dollari di sussidi tuttora elargiti ai combustibili fossili, o i trilioni di dollari che il rapporto dell'economista inglese Stern nel 2006 indicò come costo prossimo futuro dell'inazione rispetto al problema clima.
Come la crisi bancaria ha costretto i governi a cambiare rotta, così la stessa forza maggiore dovrebbe indurli a introdurre pesanti ecotasse. In passato, per giustificare il non fare si tirava in ballo l'analisi costi-benefici, che però non è affatto appropriata alle minacce sociali e ambientali che abbiamo alle porte: «La foresta amazzonica non può essere sostituita dal denaro. E' ovvio, ma giova ripeterlo». Quanto alla bancarotta dei contadini, ne ha parlato all'Onu Ndiogou Fall, presidente del Roppa (Rete di organizzazioni contadine e dei produttori agricoli dell'Africa occidentale), per la prima volta invitato il 25 settembre scorso a New York all'incontro ad Alto livello sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, sull'argomento «povertà e fame», due problemi che colpiscono prima di tutto le popolazioni rurali. Fall ha detto fra l'altro: «L'agricoltura è il motore dell'economia africana, rappresenta il 60% della forza lavoro e produce il 30% del Pil, eppure l'Africa non stanzia per il settore nemmeno il 10% del prodotto interno lordo. I servizi di finanziamento rurale praticamente non esistono.
Così sarà molto difficile raggiungere gli «obiettivi del Millennio» fissati per il 2015. Le nostre vite nei villaggi non sono cambiate affatto. Incertezze, insicurezze, rischi climatici, agronomici, ecologici, economici e sociali. Le famiglie di contadini sono costantemente a rischio di bancarotta e fallimento. Senza il sostegno dei migrantialcuni dei quali non hanno altra scelta se non quella di sfidare l'oceano Atlantico - la vita nelle aree rurali sarebbe estremamente difficile». È difficile anche per i piccoli coltivatori in Europa: dove, sottolinea un recente appello del Foro contadino toscano - Soccorso contadino toscano, per impossibilità economica chiude un'azienda agricola ogni minuto.