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Ultime notizie dal mondo

di redazionale - 06/10/2008



a)   Crisi finanziaria. Quando il neoliberismo riscopre l'importanza dello Stato e ne esige l'intervento. Uno sguardo a Germania (26), USA (26), Gran Bretagna (28), Unione Europea (28) e Russia (28). Pure da questa vicenda emerge di riflesso cosa significhi una politica di in-dipendenza e sovranità.

 

b)  Russia. Gli antefatti geopolitici del conflitto con la Georgia (1) e ricostruzione sullo scoppio, l'8 agosto, della guerra (Georgia 18). La mano USA a Tbilisi (USA / Georgia 7). Sul conflitto nel Caucaso, Medvedev accusa la NATO e traccia un'alternativa di scenario (Russia 20). Per il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, il mondo è cambiato e l’unipolarismo statunitense ha fatto il suo tempo (Russia 28). Il conflitto energetico tra Washington e Mosca (USA / Russia 4) e ruolo dell'Iran (Russia / Iran 6 e Iran 17). Mosca guarda ad Oriente, all’Organizzazione di Shanghai, tra aspettative e delusioni (Russia 2, 12). La virata tagika verso Mosca (Tagikistan 1). Per altro, vedi 18, 20 e 24.

 

c)   USA. Per Washington, un nuovo fronte in Pakistan? Cfr. USA / Pakistan 3. Nuovi scenari strategici per gli Stati Uniti, secondo George Friedman (2). Con Obama, l'aggressività militare USA crescerà. Parla il suo vice (USA 8). Lo schiaffo azero a Washington. Effetto del conflitto georgiano/russo? Vedi USA / Azerbaigian. 5.

Sparse ma significative:

Resistenza nazionalitaria. In Euskal Herria si continua ad illegalizzare partiti (14, 22, 23); in Corsica nuovo passo, con la Consulta, per la nascita di "Corsica Libera"; in Irlanda del Nord crisi politica (20) e ricordo della "Grande Fuga" (25).

  • Turchia / Armenia. Svolta epocale nei rapporti tra Armenia e Turchia. Ragioni ed importanza sugli scenari geopolitici dell'area (9).

  • Siria. L'Aiea: il bombardamento di Israele in Siria, nel settembre dell'anno scorso, era ingiustificato. Un nuovo capitolo di impunità e connivenza. Di cui si tace. Cfr. Siria (23).

  • Centro e sud America. In Messico nasce il "Movimento di Liberazione Nazionale". In Venezuela la geopolitica attraverso l'oceano e guarda a Mosca, senza voler perdere indipendenza e sovranità (Russia / Venezuela 23). Chavez sulla crisi finanziaria di Wall Street (28). In Ecuador i "beni comuni" della Natura si fanno collettivi e nazionali ed entrano di diritto nella Costituzione (30). In Colombia la repressione del regime filo-USA continua. Un rapporto denuncia (30). In Cile i mapuche annunciano l'inizio della lotta armata. Per non scomparire (24).

 

Tra l’altro:

Unione Europea (26 settembre).
Serbia / USA (30 settembre).
Israele (15, 26, 27, 29 settembre).
Turchia / Kurdistan
(17 settembre).
Afghanistan
(3, 9, 30 settembre).
Corea del Nord
(23 settembre).
Giappone / USA
(19 settembre).

 

  • Russia / Georgia. 1 settembre. Kosovo ed Ossezia costituiscono dei passaggi importanti nel conflitto geopolitico globale –la Grande Scacchiera di Zbigniew Brezwinski– per il controllo dell’Asia Centrale e delle sue risorse energetiche. Quanto è accaduto e sta ancora accadendo nel Caucaso dopo l’aggressione georgiana in Ossezia è la conseguenza dell’attacco NATO contro la Serbia nel 1999 per imporre la secessione del Kosovo con la forza delle armi, e ancor più della sciagurata decisione (febbraio di quest’anno) di riconoscere formalmente –per i propri interessi geopolitici– la separazione del Kosovo in aperta e flagrante violazione delle modalità previste dal diritto internazionale ed anche degli impegni assunti con la Russia alla fine del conflitto. L’Ossezia del Sud è l’immagine speculare del Kosovo, e la pretesa russa di definire la propria azione militare come un ‘intervento di mantenimento della pace’ a favore delle popolazioni locali minacciate dal ‘genocidio’ georgiano è molto più veritiera della pretesa NATO, nove anni fa, di spacciare le otto settimane di bombardamenti sulla Serbia come un ‘intervento umanitario’ per salvare i Kosovari minacciati dal ‘genocidio’ di Milosevic.

 

  • Russia / Georgia. 1 settembre. Nel corso dell’ultimo decennio gli Stati Uniti hanno perseguito una politica volta ad accerchiare progressivamente la Russia e a mutilarla delle sue tradizionali aree di influenza, senza che Mosca potesse opporre resistenza. La Jugoslavia è stata smembrata e la Russia non ha potuto fare nulla. Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia, Bulgaria e Romania sono entrate a far parte della NATO –in flagrante violazione delle solenni promesse di due presidenti statunitensi– e la Russia non ha potuto fare nulla. I servizi segreti ed alcune ONG hanno organizzato e finanziato le ‘rivoluzioni colorate’ che hanno portato al potere regimi filo-USA in Georgia e in Ucraina e la Russia non ha potuto fare nulla. Sembrava che gli USA potessero muoversi agevolmente nel vuoto di potere lasciato dal collasso dell’Unione Sovietica. Ma adesso, per la prima volta dai giorni lontani dell’URSS, la Russia ha voluto e potuto puntare i piedi. È la spiacevole percezione di una Russia ritornata capace di fare il muso duro quando serve, e non certo la preoccupazione per l’integrità territoriale della ‘povera piccola Georgia democratica’, che ha scatenato le rabbiose, isteriche reazioni di Washington. La Russia ha mandato un messaggio della massima chiarezza circa la sua volontà e capacità di difendere quelli che Mosca vede come gli interessi vitali del paese. Insomma, i tempi in cui Washington poteva trattare la Russia come una qualsiasi repubblica delle banane sono finiti.

 

  • Russia / Georgia. 1 settembre. Gli obiettivi strategici della Russia sono ora due: arrivare ad un cambio di regime a Tbilisi ed impedire che la Georgia e l’Ucraina entrino nella NATO. Per quanto riguarda l’Alleanza, si direbbe che questa crisi, e il ruolo che il (a dir poco) controverso Saakashvili vi ha giocato, con la sua presentazione in Tv fiancheggiato dalle bandiere della EU e della NATO per invocare un intervento contro Mosca, rendano l’ingresso della Georgia nella NATO una eventualità remota. Non si vede proprio come i paesi della NATO potrebbero mai decidere all’unanimità di estendere alla Georgia di Saakashvili la protezione automatica garantita dall’Articolo 5, affidando così a un uomo politico irresponsabile e propenso ai colpi di testa (incapace di controllare i propri nervi al punto di mangiarsi la cravatta davanti alla Tv) il potere di decidere se, come e quando debba scoppiare un conflitto globale. A meno che l’idea non sia appunto questa: posto che si vuole arrivare a un conflitto con la Russia, trovare lo squilibrato che la scateni ‘obbligandoci’ a intervenire.

 

  • Russia. 1 settembre. «Voi potete aver bisogno di noi, ma noi non abbiamo bisogno di voi». Così lo scorso agosto si è presentato alla stampa russa il presidente Medvedev. Lo stesso primo ministro Putin ha annunziato l’intenzione russa di ritirare la sua adesione alla World Trade Organization. Il riconoscimento di Ossezia del Sud ed Abkhazia (che ha loro volta hanno espresso il desiderio di entrare nella federazione russa) ha costituito la risposta di Mosca alla dichiarazione di “indipendenza” del Kosovo sostenuta dagli USA. A prescindere dal riconoscimento di Mosca, le due regioni sono di fatto indipendenti. Queste hanno infrastrutture economiche separate da quelle georgiane. Tbilisi è invece legata ad alcune infrastrutture dei due paesi, come il porto di Sukhumi in Abkhazia per le proprie importazioni. Se la città di Gori dovesse inoltre diventare parte della Russia o dell’Ossezia del Sud, la Georgia rischia di spaccarsi in quattro parti.

 

  • Russia. 1 settembre. Un duro colpo per l’Occidente è stata la spedizione via mare dello scorso agosto di 200mila barili di greggio dall'Azerbaigian all’Iran. Baku è stata costretta a vendere greggio all’Iran, contravvenendo all’embargo statunitense, in quanto l’azione militare russa in Georgia, combinata con una recente esplosione, ha messo fuori uso l’oleodotto Baku-Tbilis-Ceyhan. Ma la Russia non è invincibile. Il Mar Nero è il suo punto debole. Lo scorso agosto nove Stati, tra cui USA, Polonia, Turchia, Bulgaria e Romania, hanno inviato le loro navi nel Mar Nero sotto forma di aiuti umanitari alla Georgia, incrementando la presenza della NATO nell’area. Da qui le accuse di Mosca volte all’“Occidente” di voler sostenere un gruppo armato per minacciare gli interessi russi nel Caucaso, la cui difesa è anche vitale per i rifornimenti delle truppe russe in Georgia. La Russia ha risposto schierando la nave ammiraglia della propria flotta nel Mar Nero. Ma per difendere la propria presenza nel Caucaso, Mosca non ha altra scelta che distogliere l’attenzione statunitense dal Mar Nero, investendo parte delle sue risorse economiche per sostenere quei gruppi che in America Latina, Africa, Europa e Medio Oriente mettono i bastoni fra le ruote del dominio USA.

 

  • Tagikistan. 1 settembre. Dushanbe vira politicamente verso Mosca. Il presidente russo Medvedev ed il suo omologo tagiko Rakhmon hanno siglato lo scorso agosto un accordo per consentire al Ministero della Difesa russo di usare l’aeroporto di Gissar e per un trasferimento di armi al Tagikistan per il valore di 1 miliardo di dollari, che permetterebbe alle forze armate del Paese di disporre di uno dei più grandi arsenali della regione. La nuova base aerea è destinata a cambiare l’equilibrio delle forze nell’Asia Centrale. La base di Gissar, risalente all’epoca sovietica, e la base russa di Kant nel vicino Kirgizistan possono ricevere elicotteri, aerei d’attacco al suolo e velivoli da trasporto militare. L’aeronautica militare russa attualmente usa tre aeroporti tagiki a Kulyab, Dushanbe e Kurgan-Tyube. Grazie alla base di Gissar, la Russia sarà in grado di condurre operazioni di ricognizione più efficaci e di posizionare le proprie forze più rapidamente. Gissar potrebbe addirittura accogliere i bombardieri strategici russi se venissero allungate le piste e aggiunti altri depositi di carburante. L’accordo sarebbe stato negoziato faccia a faccia all’ultimo summit della Shanghai Cooperation Organization. Il leader tagiko aveva in precedenza espresso appoggio alle azioni russe nel Caucaso.

 

  • Tagikistan. 1 settembre. La mossa di Dushambe è uno degli effetti della reazione russa in Georgia. Paese dalla posizione strategica (è collocato tra Afghanistan e Cina), è stato oggetto delle attenzioni di Washington –interessata a conquistare spazi nell’Asia Centrale ed alla ricerca di una base d’accesso al vicino Afghanistan, soprattutto da quando l’Uzbekistan nel 2005 ha chiuso la base USA nel proprio territorio– e di Mosca, ben attenta al controllo del proprio “cortile di casa”. La forza politica e militare mostrata dalle classi dirigenti russe sta ora spingendo tutti gli Stati dell’ex Unione Sovietica a riconsiderare la propria posizione, in virtù del fatto che la Russia mostra di avere in Asia Centrale una “credibilità” maggiore degli USA. Il governo tagiko teme che scegliere la “protezione” degli USA possa metterla seriamente in pericolo e portare ad una crisi politica interna, visti i numerosi interessi che la Russia gestisce nell’area. La Russia possiede già una base militare in Tagikistan, investe in infrastutture energetiche nel paese e vanta forti interessi nella lavorazione dell’alluminio, una delle principali risorse economiche del Paese. Inoltre Mosca, con migliaia di sentinelle sparse ai confini, potrebbe seriamente ostacolare i traffici di droga con l’Afghanistan, mentre sul commercio interno nel Paese la criminalità organizzata russa vorrebbe mettere le mani, non accontentandosi più di controllarlo quando raggiunge la Russia o l’Europa. Insomma, sarebbe facile per la Russia destabilizzare la vita economica, politica e la sicurezza interna del paese.

 

  • Russia. 2 settembre. Mosca guarda ad Oriente. È una delle opzioni politiche russe (l’altra concerne un’alternativa al G8 imperniato su Brasile, Russia, India e Cina) descritte dal The Moscow Times, che in particolare analizza le evoluzioni dell’Organizzazione di Shanghai (SCO), organizzazione intergovernativa per la cooperazione fondata nel 2001 da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan. L'ultimo vertice il 28 agosto a Dushanbe (Tagikistan). L’attenzione dei media si è concentrata sul mancato riconoscimento formale dell’indipendenza di Ossezia del sud e Abkhazia, senza però evidenziare che Mosca –pronta ad usare petrolio e gas come carte importanti per continuare a tenere separati gli interessi USA da quelli di alcuni Stati europei– si era ben guardata dal chiederlo, visti i problemi che gli altri Paesi (Cina in testa) hanno con proprie minoranze nazionali interne. Più interessante geopoliticamente è la prospettiva di un possibile ingresso nella SCO del Pakistan, che attualmente ha lo status di osservatore insieme a India, Mongolia e Iran. Il che “allungherebbe” la SCO dal centro verso il sud dell’Asia, forse addirittura passando per Kabul, il cui presidente Karzai ha partecipato al vertice come ospite, manifestando nuovamente il suo disappunto per la recente strage di civili causata da un bombardamento della coalizione a guida USA che conduce l’operazione Enduring Freedom. Secondo The Moscow Times, Karzai sarebbe addirittura disponibile ad accettare un supporto più consistente della SCO qualora gli sforzi dell’Occidente non riuscissero a riportare alla normalità il suo Paese, eventualità prospettata come molto probabile con le parole «impending failure».

 

  • USA. 2 settembre. «Abbandonare rapidamente Iraq e Afghanistan e utilizzare le forze residue per arginare l’espansione russa». George Friedman, prestigiosa firma dell’agenzia di analisi geopolitica Stratfor, vicina agli ambienti “neoconservatori”, asserisce che «per gli interessi strategici statunitensi la cosiddetta “dottrina Medvedev” è un ostacolo molto più pericoloso dell’Islam». La prossima amministrazione USA è comunque chiamata a compiere una non facile scelta strategica, tenuto conto dell'impossibilità delle forze militari USA di sostenere contemporaneamente i due “fronti” «Iraq-Afghanistan da un lato, Russia dall’altro». Il geopolitico statunitense si sofferma sulle importanti dichiarazioni di Medvedev rilasciate dopo la conclusione dell’aggressione georgiana all’Ossezia dell'8 agosto scorso, definita dal presidente russo “l'11 settembre di Mosca”. Due sono i punti enunciati da Medvedev che preoccupano Friedman: l’affermazione che la Russia assume tra le proprie priorità strategiche la difesa della «vita e la dignità dei nostri cittadini, dovunque essi siano», e soprattutto «la proclamazione di "interessi speciali" nei confronti di alcune regioni, alle quali è legata geograficamente o storicamente».

 

  • USA. 2 settembre. Sono affermazioni che Friedman commenta con queste parole: «La Russia sostiene che proteggerà gli interessi dei propri cittadini ovunque essi vivano, così dicendo pone le basi per futuri interventi armati in qualunque Stato (anche in Georgia o nel Baltico) in cui vivono i suoi concittadini». L’altro punto è considerato ancor più critico: «La Russia sottolinea che esistono delle zone verso le quali nutre "interessi speciali". Tali regioni sono quelle dell'ex Unione Sovietica, con le quali è interessata ad intraprendere rapporti o alleanze. Intrusioni di altri paesi in queste regioni saranno considerate una minaccia per gli interessi moscoviti (quindi l'America non può intervenire nella questione della Georgia)». Per il geopolitico statunitense, anche se queste dichiarazioni non annunciano una rinascita dell’Impero Russo, sono però da accogliere con preoccupazione: comunicano che Mosca intende promuovere «una generale ridefinizione del sistema di relazioni globali» che gli riconosca maggior peso, a spese della «supremazia americana» nel mondo.

 

  • USA. 2 settembre. Quale strategia di risposta deve allora seguire Washington? Friedman parte dal constatare la situazione estremamente difficile per i progetti di dominio globale degli USA. La macchina da guerra del Pentagono si trova infatti impantanata in Iraq ma soprattutto in Afghanistan, «logorante per le forze americane e per la NATO», con le truppe USA insufficienti a fronteggiare una resistenza talebana sempre più forte, e con un Pakistan sempre più vacillante. Washington, sostiene Friedman, non dispone delle forze sufficienti per bloccare l’egemonia russa nell’ex Unione Sovietica. E qualora volesse farlo, deve tenere conto che i russi reagirebbero fornendo armi e aiuti economici agli avversari statunitensi. Ad esempio Siria e Iran –«non è un caso che il primo presidente incontrato dopo la Georgia sia stato il premier siriano»– e non escludendo addirittura nemmeno la vendita di armi ai taliban o progetti di destabilizzazione del Pakistan.

 

  • USA. 2 settembre. Per Friedman, Washington dovrà scegliere tra quattro opzioni strategiche, ognuna con i suoi pro e contro. 1) Accordarsi con Teheran, che «garantirebbe la neutralità dell'Iraq ed un rapido ritiro delle forze statunitensi». È però molto probabile che Teheran si accordi con i Russi. «Il rischio è che l'Iran potrebbe non volere o non rispettare tale accordo». 2) Stringere un compromesso con Mosca, garantendole «un'influenza limitata all'ex Unione Sovietica. I Russi sarebbero impegnati a consolidare il loro potere e l'America potrebbe rinforzare la NATO». Ciò assicurerebbe vita maggiormente facile in Medioriente, ma la controindicazione è il sorgere di «una potenza euro-asiatica difficile da contenere». 3) Lasciare al vassallo Unione Europea il compito di occuparsi dei russi. Ipotesi piuttosto azzardata, considerata la dipendenza dalle forniture energetiche in particolare di gas da Mosca. «La Russia può vivere senza venderlo, ma l’Europa non può andare avanti senza acquistarlo». 4) «Lasciare poche forze residue in Iraq ed Afghanistan, creando delle forze di riserva per rinforzare il Baltico e l’Ucraina. Così si riuscirebbe a contenere la Russia all'interno dell’ex Unione Sovietica, ma rischiano di esserci ripercussioni sul terrorismo internazionale». In ogni caso, per le ambizioni di dominio globale di Washington la partita si annuncia piuttosto impegnativa.

 

  • Afghanistan. 3 settembre. Gli Stati Uniti non stanno vincendo la guerra in Afghanistan, ma sarebbe ancora possibile vincerla. Questo richiederebbe però un cambiamento radicale di strategia, perché «we can’t kill our way to victory», non possiamo aprirci la strada per la vittoria ammazzando. A sostenerlo è l’ammiraglio USA Mullen, l’ufficiale più alto in grado di tutte le forze armate USA. L’ammiraglio ha infatti dichiarato che sarebbe invece essenziale una maggiore cooperazione tra gli interventi militari e quelli civili, per ricostruire completamente l’Afghanistan su tutti i piani: commercio, agricoltura, governo, giustizia, istruzione, società civile.

 

  • USA / Pakistan. 3 settembre. Washington allarga il conflitto in Afghanistan alle cosidette Fata (Federally administered tribal areas), cioè le provincie del Waziristan sul confine del Pakistan. Oggi, dopo una serie di attacchi aerei e missilistici, il primo impiego di truppe terrestri: un raid di forze speciali che, come troppi degli attacchi aerei che lo hanno preceduto, ha mancato il suo obiettivo (una riunione di capi locali taliban) ma lasciato dietro la solita triste scia di donne e bambini assassinati. Gravissime ed estremamente preoccupanti sono giudicate dagli analisti le implicazioni politiche di questa decisione. Il Pakistan è il maggiore alleato non-NATO degli USA ed un elemento chiave nella cosiddetta "Guerra Globale al Terrorismo". Per Washington sarebbe preferibile che il Pakistan riportasse le Fata sotto il suo controllo per eliminarvi i taliban o al minimo ributtarli in Afghanistan. Ma se la dittatura del generale Musharraf non ha potuto/voluto farlo, nonostante le pressioni di Washington, come potrebbe riuscirci il nuovo debole governo civile? Agli Stati Uniti farebbe comodo una richiesta ufficiale di aiuto da parte del governo pakistano, ipotesi ritenuta remota, per ragioni interne, dagli analisti. Le azioni offensive USA in Pakistan, sul piano formale, restano quindi un atto di guerra contro uno Stato sovrano. Senza considerare la gravità del messaggio che viene lanciato sul piano globale: gli Stati Uniti si arrogano il diritto di violare la sovranità e l’integrità territoriale anche di un paese loro alleato, se quest’ultimo non si dimostra abbastanza pronto ed efficiente nell’ubbidire agli ordini che gli vengono impartiti.

 

  • USA / Pakistan. 3 settembre. La decisione unilaterale statunitense ha messo le autorità civili e militari del Pakistan in una posizione difficilissima, soprattutto poi in questo delicato momento di transizione delle strutture politiche interne, ed è quindi ben poco sorprendente che esse abbiano reagito con estrema durezza. Il capo di stato maggiore dell’Esercito, generale Ashfaq Parvez Kayani, ha negato con la massima fermezza l’esistenza di un qualsiasi accordo segreto che consentirebbe alle forze della coalizione di operare in territorio pakistano, e ha dichiarato: «La sovranità e l’integrità territoriale del nostro paese saranno difese a tutti i costi». Il primo ministro, Syed Yousuf Raza Gilani, si è dichiarato completamente d’accordo con i militari a questo proposito, e si è impegnato a difendere i confini della nazione.

 

  • USA / Russia. 4 settembre. Georgia, Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan: questi sono i Paesi oggetto della lotta tra Mosca e Washington per il trasporto delle risorse energetiche. Gli USA hanno infatti sostenuto con forza, per il trasporto di petrolio e gas nella vassalla Europa, la costruzione dell’oleodotto BTC (Baku-Tblisi-Ceyan, da proseguire in Europa con il progetto Nabucco) e del gasdotto SCP (South Caspian Pipeline). Condutture che costituiscono la spina dorsale di un sistema energetico impostato negli anni della presidenza democratica di Clinton, da cui gli USA intendono far guadagnare profitti alle proprie multinazionali di riferimento e togliere un’importante fonte di denaro e potere ai russi. In questo contesto la Georgia è particolarmente importante in quanto il suo territorio costituisce l’unica possibile via di passaggio per degli oleodotti che portino il petrolio e il gas naturale dal bacino del Caspio senza passare né per la Russia né per l’Iran. Se Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan (questi ultimi dotati di cospicue riserve) accettassero di convogliare le proprie risorse energetiche in tali condutture, escludendo quelle passanti in territorio russo, l’Europa potrebbe essere rifornita di petrolio e gas senza le forniture di Russia e Algeria.

 

  • USA / Russia. 4 settembre. L’SCP, completato nel 2006, è la conduttura gemella del BTC: stesso tracciato, fornitori quasi identici, stessa valenza geopolitica. È posseduto da una joint venture tra l’inglese British Petroleum (25,5%), la norvegese Statoil Hidro (25,5%), la statale azera Socar (10%), la privata (ma non troppo, e per di più partecipata al 20% dalla statunitense Conoco-Phillips) russa LUKoil (10%), l’iraniana NICO (10%), l’internazionalissima Total (10%), e la turca TPAO (9%). Già dall’azionariato saltano all’occhio due cose di questo gasdotto: manca Gazprom e ci sono tutti gli altri. L’azionariato del BTC è ancora più complesso: Bp (30,1%), AzBtc (compagnia azera messa in piedi proprio per costruire la conduttura, 25%), Statoil (8,71%), la statunitense Chevron (8,9%), TPAO (6,53%), Eni (5%), la giapponese Itochu (3,4%), l’altra giapponese Impex (2,5%), la statunitense Conoco-Phillips (2,5%) e infine Amerada Hess (2,36%), sempre statunitense.

 

  • USA / Russia. 4 settembre. In questo contesto si inserisce l’Iran a scompigliare le carte tanto a Washington che a Mosca. Anch’essa ricca di gas e petrolio, la Repubblica Islamica sogna di aggregare il suo gas a quello turkmeno in un condotto Turkmenistan-Iran da proseguire sul fondo del Mar Arabo fino all’India. Un progetto che per la sua realizzazione necessita del consenso del Pakistan, perché i tubi attraverserebbero le acque territoriali di tale paese. L’alternativa a questa rotta la fornirebbero, guarda caso, gli Stati Uniti che propongono la rotta Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India. A queste linee tracciate sulle carte geografiche dell’Asia centrale i russi propongono alternative diciamo già collaudate: instradare tutto il gas e il petrolio della zona nei gasdotti gazpromiani, in larga parte già esistenti e funzionanti, per poi dirigerli in Europa o, in un futuro non lontanissimo, in Cina. La Russia, in questo scenario, farebbe da Paese fornitore del gas dell’Asia centrale. Non dimentichiamo che la soluzione alla crisi del gas ucraina fu trovata proprio inserendo nel paniere del gas, inviato in Europa via Ucraina, una buona dose di gas turkmeno.

 

  • USA / Russia. 4 settembre. La Russia, piena di gas naturale e (anche se assai meno) petrolio, ha infatti bisogno delle risorse dei paesi rivieraschi del Mar Caspio per portare avanti il proprio progetto di egemonia energetica dall’Atlantico orientale al Pacifico occidentale. In Russia fa molto freddo, e il mercato interno del gas per usi civili è capillare, raggiunge i russi casa per casa e li riscalda a prezzi imposti dal Governo che non raggiungono nemmeno il 10% di quanto pagano il gas gli Europei. Serve quindi tanto gas a basso costo per mantenere contemporaneamente il mercato interno russo e l’export, anche in considerazione del cattivo stato delle condutture dispiegate sul territorio della Federazione (milioni e milioni di chilometri). In tale ottica va giudicato il viaggio di Putin il 2 settembre in Uzbekistan. Russia e Uzbekistan hanno infatti trovato l’accordo sul prezzo del gas e deciso di costruire un gasdotto tra i due Paesi. Non è stato ancora deciso se questo gasdotto russo-uzbeko debba passare per il Kazakistan o per il Turkmenistan e il Mar Caspio.

 

  • USA / Russia. 4 settembre. Il disegno energetico internazionale della Russia vede come piloni fondamentali i gasdotti già esistenti (in particolare il gasdotto della fratellanza via Ucraina, Yamal-Europe Pipeline via Bielorussia e Polonia, Blue Stream via Mar Nero e Turchia), i gasdotti in costruzione (North e South Stream) e lo strapotere di Gazprom nelle reti nazionali est-europee del gas. Basta citare alcuni esempi: in Moldova c’è Gaz Snab Tranzit (Gazprom al 50%), in Lituania Stella Vitae (Gazprom al 30%), in Lettonia Latvias Gaze (Gazprom al 25%) e addirittura in Polonia il 50% delle condutture è direttamente in mano a Gazprom e il 46% possedute da EuropolGaz, che a sua volta è controllata da Gazprom. Anche l’Eni è socio al 50% della Gazprom nel progetto South Stream, una condotta sul fondo del Mar Nero da Baku alla Bulgaria e da lì alla Grecia e all’Ungheria e poi al resto d’Europa.

 

  • USA / Azerbaigian. 5 settembre. Un fallimento il viaggio di Cheney in Azerbaigian. Lo riferisce il quotidiano russo Kommersant. La cruciale tappa azera del tour di Cheney è iniziata male già all’arrivo all'aeroporto di Baku, dove il vice presidente degli Stati Uniti non ha trovato ad accoglierlo né il presidente Aliev né il primo ministro Rasizade: c’erano solo il vice primo ministro e il ministro degli Esteri. L’incontro con Aliev sarebbe stato teso, benché tra i due ci fossero rapporti piuttosto cordiali che risalgono ai tempi in cui Cheney era all’Halliburton e Aliev era vice presidente della compagnia petrolifera dell'Azerbaigian (SOCAR). Aliev ha messo in chiaro che non intende mettersi contro Mosca (esprimendo apprezzamento alla Russia per aver risparmiato l’oleodotto BTC, sul cui bombardamento si è molto speculato) ed ha espresso riluttanza a proposito del progetto Nabucco, per il quale il gas azero è fondamentale. Cheney, alquanto indispettito, si è perfino rifiutato di presenziare alla cena in suo onore.

 

  • Russia / Iran. 6 settembre. Come reagirà Mosca ai piani ostili di Washington per far entrare Georgia e Ucraina nella NATO? Secondo Radžab Safarov, direttore del Centro Russo per gli Studi Iraniani, la Russia rafforzerà i legami con tutti quei paesi che si oppongono concretamente all’espansione degli Stati Uniti e dei paesi satelliti come Israele (che ha fornito armi ed addestramento militare alla Georgia). Per esempio, approfondire i legami tecnico-militari con la Siria, avviare colloqui per ristabilire la propria presenza militare a Cuba e soprattutto stringere un’alleanza strategica con l’Iran. La firma di un trattato politico-militare rivolterebbe l’intero quadro geopolitico del mondo contemporaneo. Nuovi rapporti d'alleanza possono portare al posizionamento di almeno due basi militari in regioni strategiche dell’Iran. Una potrebbe essere collocata nel nord del paese, nella provincia iraniana dell'Azerbaigian Orientale, e l'altra a sud, sull'Isola di Qeshm, nel Golfo Persico.

 

  • Russia / Iran. 6 settembre. Grazie alla base nell'Azerbaigian Orientale, la Russia sarebbe in grado di sorvegliare le attività nella Repubblica dell'Azerbaigian, in Georgia e in Turchia e condividere queste informazioni con l'Iran. La creazione di una base militare sull'Isola di Qeshm permetterebbe alla Russia di controllare le attività della NATO e degli Stati Uniti nella zona del Golfo Persico, in Iraq e in altri Stati Arabi. Per mezzo di speciali strumentazioni, la Russia potrebbe efficacemente individuare le navi in entrata o in uscita per lo Stretto di Hormuz, la loro provenienza ed il carico a bordo. La Russia avrà la possibilità di fermare imbarcazioni sospette per ispezionarne il carico, come fanno gli USA in quella zona da molti decenni. In cambio del posizionamento delle sue basi militari, la Russia potrebbe aiutare gli iraniani a dispiegare sistemi di difesa aerea e difesa anti-missile lungo i loro confini. Teheran, per esempio, ha bisogno del moderno sistema missilistico di fabbricazione russa S-400.

 

  • Russia / Iran. 6 settembre. La leadership iraniana segue con attenzione le notizie secondo cui il governo georgiano, con una risoluzione segreta, avrebbe dato agli Stati Uniti e a Israele carta bianca per l'uso, in caso di necessità, del territorio georgiano e delle basi militari locali per condurre attacchi missilistici e bombardamenti contro bersagli iraniani. Gli iraniani sono preoccupati anche per i progetti di Baku di concedere ai capitali statunitensi l'accesso al cosiddetto settore azero del Mar Caspio, gravido di nuovi conflitti perché lo status giuridico del Mar Caspio non è stato ancora definito. La Russia e l'Iran possono anche accelerare il processo di creazione di un cartello dei principali produttori di gas (con paesi come il Qatar e l’Algeria), che i giornalisti già chiamano “OPEC del gas”. In termini di riserve di gas naturali mondiali la Russia è al primo posto, l'Iran al secondo. Insieme possiedono più del 60% dei giacimenti di gas mondiali, ed un loro accordo si rivelerebbe un forte strumento di pressione per i consumatori, come gli Stati d’Europa. La cooperazione con l'Iran si espanderebbe anche a settori come quello dell’energia nucleare. La Russia può guadagnare decine di miliardi di dollari solo con la costruzione di impianti nucleari in Iran. Teheran può ricevere dalla Russia un aiuto non solo economico ma anche politico nello sviluppo del proprio settore dell'energia atomica. Oltre a ciò, la Russia potrebbe accelerare il processo di ammissione dell'Iran nella Shanghai Cooperation Organization (SCO, Gruppo di Shanghai) come membro a tutti gli effetti. L'Iran, come membro della SCO, si troverà sotto la protezione di Stati nucleari come la Russia e la Cina. Questo getterà le basi per un potente asse Russia-Iran-Cina, la cui creazione tanto spaventa gli Stati Uniti e i loro alleati.

 

  • USA / Georgia. 7 settembre. Come gli Stati Uniti hanno armato e addestrato i reparti speciali georgiani: lo descrive il Financial Times di ieri. Ad occuparsene sono state due società mercenarie, una delle quali, la Mpri (Military Professional Resources Incorporated), nel 1994 aveva firmato (grazie alla mediazione del Pentagono) un contratto con la Croazia per addestrare l’esercito croato in vista dell'invasione della Krajina e della massiccia pulizia etnica –200mila profughi– ai danni della popolazione serba nell'estate del 1995 (Operacija Oluja, Operazione Tempesta). L’esercito USA ha fornito addestramento ai reparti speciali georgiani solo pochi mesi prima dell'attacco contro l'Ossezia del Sud. Secondo il quotidiano inglese non ci sono comunque prove che i contractor o il Pentagono che li ha assoldati sapessero della probabilità che i reparti che stavano addestrando potessero essere impiegati nell'aggressione contro l'Ossezia del Sud.

 

  • USA / Georgia. 7 settembre. Un portavoce dell'esercito degli Stati Uniti ha dichiarato che l'obiettivo del programma era di addestrare i commando in vista del loro impiego in Afghanistan, come parte dell'International Security Assist­ance Force NATO. Il programma, tuttavia, mette in luce le conseguenze spesso involontarie dei programmi train and equip degli Stati Uniti in paesi stranieri. I contractor –MPRI e American Systems, entrambi con sede in Virginia– avevano reclutato una squadra composta da 15 ex-soldati delle forze speciali per addestrare i georgiani nella base di Vashlijvari (dintorni di Tbilisi), nell’ambito di un programma del ministero della difesa degli Stati Uniti. La prima fase dell'addestramento dei reparti speciali si è svolta tra gennaio e aprile di quest'anno e si è concentrata sulle «competenze base delle forze speciali», ha detto un dipendente di American Systems contattato telefonicamente. La seconda fase, di 70 giorni, doveva cominciare l'11 agosto, pochi giorni dopo l'inizio della guerra in Ossezia del Sud. Gli addestratori sono arrivati il 3 agosto, quattro giorni prima dello scoppio del conflitto.

 

  • USA. 8 settembre. Fermare l’ascesa di Russia, Cina ed India. Joseph Biden, candidato a vicepresidente del democratico Obama, il 27 agosto 2008, alla Convenzione Democratica di Denver, ha presentato il piano strategico dell’eventuale presidenza democratica. Biden, ribadendo alcuni punti geopolitici chiave sostenuti da Zbigniew Brzezinski e lasciando intendere una politica più “guerrafondaia” dell’amministrazione repubblicana, ha affermato che il più grande errore di Bush è stato quello di aver trascurato «di affrontare le maggiori forze che che hanno preso piede in questo secolo. L'emergere delle grandi potenze di Russia, Cina ed India».

 

  • USA. 8 settembre. «Signore e signori, in anni recenti ed in giorni recenti vediamo ancora una volta le conseguenze della negligenza, di questa negligenza, vediamo la Russia opporsi proprio alla libertà di un nuovo paese democratico, la Georgia. Barack (Obama, ndr) ed io porremo fine a questa negligenza. Considereremo la Russia responsabile delle sue azioni ed aiuteremo la Georgia a ricostruire. Sono stato sul territorio in Georgia, Iraq, Pakistan, Afghanistan e posso dirvi chiaramente e fortemente che la politica di questa amministrazione è stata un fallimento abissale. L'America non può permettersi altri quattro anni di questo fallimento. Ed ora, adesso, nonostante sia stato compiacente verso tale catastrofica politica estera, John McCain dice che Barack Obama, Barack Obama non è pronto per proteggere la nostra sicurezza nazionale. Ora lasciate che vi chieda questo. Del giudizio di chi vi fidate? Dovreste fidarvi del giudizio di John McCain quando solamente tre anni fa ha detto che "L'Afghanistan non ne leggiamo più nei giornali, perché è stato un successo"? O credete a Barack Obama, che un anno fa ha detto che "dobbiamo inviare altri due battaglioni da combattimento in Afghanistan"? La sostanza dell'argomento è che al Qaeda ed i talebani la gente che ci ha attaccato davvero l'11/9 si è riorganizzata nelle montagne tra Afghanistan e Pakistan e sta tramando nuovi attacchi. Ed il Capo degli Stati Maggiori Riuniti ha fatto eco alla richiesta di altre truppe da parte di Obama e ha detto che John McCain aveva torto e Barack Obama aveva ragione».

 

  • Turchia / Armenia. 9 settembre. Svolta epocale nei rapporti tra Armenia e Turchia: per la prima volta un capo di Stato turco è andato in visita a Erevan. Il 6 settembre il presidente turco Abdullah Gul ha trascorso circa sei ore sul suolo armeno, per lo più in compagnia della sua controparte armena, Serzh Sargsyan. Un evento clamoroso, considerata la questione del mancato riconoscimento della responsabilità della Turchia Ottomana per il genocidio del 1915. «Credo che la mia visita abbia distrutto una barriera psicologica nel Caucaso», ha dichiarato Gul all'agenzia di informazione di Stato turca. Il quotidiano turco Hurriyet ha riferito ieri che i ministri degli esteri dei due paesi hanno concordato le fasi iniziali di negoziati che prevedono la normalizzazione dei rapporti diplomatici e l'instaurazione di relazioni bilaterali. Le due parti hanno anche cercato un accordo su una risoluzione politica del conflitto del Nagorno-Karabakh (l'enclave armena nel territorio dell'Azerbaigian). L'ufficio del presidente turco ha rivelato che il 10 settembre Gul andrà in Azerbaigian a discutere la mutata situazione diplomatica.

 

  • Turchia / Armenia. 9 settembre. Quali sono le ragioni della svolta? Secondo Ruben Safrastian, direttore dell'Istituto di Studi Orientali all'Accademia delle Scienze armena, Ankara vuole rafforzare il proprio ruolo nel Caucaso meridionale e risolvere le dispute con Erevan per poter entrare nell'Unione Europea. Il Kommersant aggiunge altri interessanti particolari sull'incontro. La Turchia avrebbe proposto all’Armenia la creazione di una “Piattaforma di sicurezza e stabilità nel Caucaso” per promuovere i legami politici ed economici tra i Paesi dell’area. Un progetto –e questo è il nodo geopolitico di rilievo– che è stato anche al centro della visita a Mosca del ministro degli Esteri azero Mamedyarov. L’alleanza permetterebbe ad Ankara e a Mosca di rafforzare la propria posizione nella regione del Caucaso, indebolendo quella degli Stati Uniti. La proposta di Ankara è stata salutata con favore da Erevan, che la vede anche come un mezzo per tenere a bada un’Azerbagian che, forte dei proventi petroliferi, aspetta il momento giusto per riconquistare il controllo del Nagorno-Karabakh.

 

  • Turchia / Armenia. 9 settembre. Non a caso, a Baku, l’incontro turco-armeno è stato accolto senza particolare entusiasmo. Vari politici hanno addirittura accusato Ankara di aver tradito l'Azerbaigian. L’Azerbaigian negli ultimi anni è entrato sempre più in orbita NATO. Eppure, il risveglio russo nel Caucaso è un messaggio anche per Baku. La Russia, anche in riferimento al conflitto del Nagorno-Karabach, può ricordare all’Azerbiagian il fallimento georgiano nel risolvere la questione in Ossezia del Sud e Abkhazia malgrado l'assistenza degli Stati Uniti e le evoluzioni in Moldavia. La Transnistria, la regione separatista della Moldavia a maggioranza russa, ha posto fine alla moratoria dei colloqui con Chisinau dopo i contatti tra il presidente della Transnistria Smirnov ed il presidente russo Medvedev. Si attende ora un incontro tra i presidenti della Russia e dell'Azerbaigian. Secondo una fonte vicina al Cremlino, durante questo incontro si potrebbe parlare di un futuro summit Armenia-Azerbaigian, con la mediazione del presidente russo. E se l’Azerbaigian dovesse virare verso est, per la geopolitica di dominio degli Stati Uniti, basata anche sul controllo del trasporto delle risorse energetiche, saranno guai seri…

 

  • Afghanistan. 9 settembre. Triplicate in un solo anno le vittime civili dei bombardamenti USA e NATO-ISAF. Lo denuncia l'organizzazione per la tutela dei diritti umani Human Rights Watch (HRW), lanciando un atto d'accusa contro le operazioni militari condotte dalla coalizione occidentale nel Paese. In un rapporto titolato “Truppe a contatto”, l’organizzazione indica che raid contro presunti taliban, come quello del 6 luglio 2008 nella provincia di Nangarhar durante un matrimonio (20 morti), o quello più recente del 22 agosto a Azizabad (90 morti, molti donne e bambini, secondo testimoni e operatori ONU), stanno gravemente minando il già esiguo sostegno dellle popolazioni locali all’occupazione USA. Secondo Human Rights Watch, gli attacchi in cui muore il maggior numero di civili sono quelli compiuti durante operazioni di 'rapid response', che a differenza degli attacchi 'pianificati', sono condotti senza preavviso, in condizioni di emergenza durante le quali, ad esempio, è necessario fornire una risposta rapida e “efficace” alla mancanza di truppe sul terreno. Le stime di HRW sono comunque calcolate per difetto. L'organizzazione ha criticato i comandi statunitensi per la scarsità di informazioni relative alle morti civili, evidenziando che gli ufficiali USA, prima di avviare un'inchiesta su eventuali errori, negano subito ogni responsabilità, addebitando la colpa ai taliban. Le inchieste da parte delle autorità USA –sostiene sempre HRW– sono unilaterali, ponderose, poco trasparenti, e hanno spesso come conseguenza l'erosione dei rapporti con le popolazioni locali. Un'inchiesta del governo afgano, condotta per tre giorni dopo la distruzione di alcune case poco prima del 30 aprile 2007, ha evidenziato come numerosi civili siano in seguito fuggiti a causa di danni alle loro abitazioni o di timori di nuovi attacchi. Stessa cosa per gli abitanti dei villaggi vicini. Ciò ha prodotto un elevato numero di sfollati interni.

 

  • Russia. 12 settembre. Oggi la direzione della Asian Development Bank (Adb) ha approvato un prestito di 40 milioni di dollari alla Georgia a condizioni molto vantaggiose. Analisti leggono la decisione come l’ultimo di una serie di segnali che a Oriente (Pechino in testa) il blitzkrieg russo in Georgia ha suscitato più di qualche timore. L’istituzione finanziaria di Manila si è affrettata a precisare che la riunione per la concessione del prestito alla Georgia era stata programmata prima dell’esplosione del conflitto nel Caucaso, ma ha allo stesso tempo sottolineato che l’evoluzione della situazione ha impresso una accelerazione all’iter di approvazione. L’Adb sta valutando anche l’opportunità di emettere un ulteriore prestito di emergenza per far fronte alle mancate entrati fiscali georgiane nel mese di agosto. La Cina ricopre un ruolo centrale in questo organismo finanziario multilaterale (insieme a Giappone e USA nomina uno dei suoi 12 direttori) e per alcuni analisti Pechino non ha fatto altro che ricambiare l’atteggiamento distaccato che i russi hanno assunto nel marzo scorso a proposito della crisi nel Tibet, quando l’Occidente –e in particolare gli Stati Uniti– hanno condannato con forza la repressione cinese contro i rivoltosi tibetani.

 

  • Russia. 12 settembre. Un indizio dell’orientamento cinese sulla crisi in Georgia si era già avuto al vertice annuale della Shanghai Cooperation Organization (Sco), svoltosi il 28 agosto scorso a Dushanbe (Tagikistan). Nell’occasione, Dmitry Medvedev si è speso molto per incassare il sostegno degli altri Stati membri (Cina, Tagikistan, Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan) all’intervento militare del suo Paese in Ossezia del Sud e Abkhazia, e al successivo riconoscimento diplomatico di queste due province separatiste georgiane. Ai suoi interlocutori, però, il presidente russo è riuscito solo a strappare un timido appoggio ai sei punti del discusso piano di pace mediato dall’Unione Europea e un vago riconoscimento del ruolo attivo della Russia nel promuovere pace e cooperazione nella regione del Caucaso. L’espresso riferimento al rispetto della sovranità e integrità territoriale di ogni Stato, secondo i principi della legge internazionale, ha segnato la distanza tra gli altri membri della Sco e Mosca. Una neutralità che si spiega con la crescente influenza di Pechino in Asia Centrale e il timore delle ex repubbliche sovietiche della regione –abitate da comunità di origine russa– di subire lo stesso trattamento riservato dalla Russia alla Georgia. Il Cremlino ha infatti giustificato il suo intervento armato contro Tblisi come una operazione umanitaria a difesa di cittadini russi in Ossezia del Sud e Abkhazia.

 

  • Russia. 12 settembre. Pechino, d'altro canto, teme le spinte separatiste e autonomiste in Tibet e nello Xinjiang, come il nodo sullo status di Taiwan, e non poteva in alcun modo avallare la secessione di due territori che la comunità internazionale considera formalmente parti integranti di uno Stato sovrano: una posizione coerente con quella assunta lo scorso marzo in occasione della dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Per la Cina, poi, la crisi russo-georgiana ha rappresentato un elemento di instabilità. Paese economicamente orientato alle esportazioni, la Cina ricerca mercati aperti e un clima pacifico per garantirsi altri anni di sviluppo a due cifre. Una guerra su scala planetaria –fredda o calda che sia– tra Russia e Occidente costituisce una minaccia alla cornice geopolitica in cui prospera il suo ‘soft-power’: anche Pechino lavora per chiudere l’epopea dell’unipolarismo USA, ma non a detrimento del suo interesse nazionale. E ad oggi l’armonioso mondo della Cina significa ancora stabilità dell’attuale sistema internazionale, dal quale ha tratto negli ultimi anni enormi benefici, nonostante sia stato congegnato dagli USA alla fine della seconda guerra mondiale.

 

  • Euskal Herria. 14 settembre. «Prove prefabbricate», senza fondamento quindi, per illegalizzare Ehak. E' la denuncia dei legali di questo partito basco. In mancanza di elementi oggettivi che portino a Batasuna o a ETA, le richieste di illegalizzazione si basano su rapporti di polizia privi di addebiti e di riscontri probanti. La difesa ha posto all'attenzione, ad esempio, le intercettazioni telefoniche addotte come prova, che si riferiscono però al periodo 2004-2005 e che per giunta non fanno emergere punti «interessanti». Per giunta, queste registrazioni sono state effettuate senza controllo giudiziario alcuno, in modo che, ad esempio, «è la polizia che sceglie ciò che le interessa ed il giudice ascolta un'estrapolazione di quel che viene inviato». Secondo la difesa «si è ricorso sistematicamente a rapporti di polizia perché non esisteva altra prova possibile. Questi rapporti sono stati predisposti perché dicessero quel che in sede di requisizione si voleva che dicessero. Sono stati predisposti prescindendo dai dati oggettivi, interpretando gli elementi probatori sino alla manipolazione e arrivando a conclusioni stabilite in anticipo, nonostante che dati e fatti conducessero a conclusioni differenti».

 

  • Euskal Herria. 14 settembre. Come evidenza, la più palmare, dell'inesistenza di prove che legano EHAK a Batasuna o ETA, la difesa ha posto il caso dei flussi economici. La Guardia Civil ha ammesso di aver analizzato 12mila documenti, 122.018 appunti bancari e 594 conti correnti di questo partito e di aver constatato che nemmeno un euro era stato trasferito ad un'organizzazione illegalizzata. «Nonostante l'evidenza, si continua a sostenere a questi livelli che questi finanziamenti sono esistiti», denuncia la difesa che, in sede dibattimentale, è stata esercitata da Kepa Landa e Jone Goirizelaia. Il giudice Baltasar Garzón è arrivato ad interrogare persone assunte con contratto da Ehak sulla questione, nel quadro di un procedimento parallelo per via penale. La difesa aggiunge che non ci sono prove che quel partito, con rappresentanza nel Parlamento di Gasteiz, «abbia indurito» le sue posizioni dopo la fine della tregua su mandato di ETA, né che fosse subordinato a Batasuna, né che fosse stato creato al suo interno, né che ci fosse una «cassa unica» con ANV e Batasuna, né che ci fosse un'unità d'azione per il fatto che suoi membri si siano trovati in locali o riunioni con persone collegate ai partiti già illegalizzati. Secondo gli avvocati di EHAK c'è allarme per la «persecuzione» ai danni di queste persone «non per le loro condotte, ma per la loro ascrizione politica». Analogo processo di illegalizzazione è in corso per un altro partito basco, ANV.

 

  • Israele. 15 settembre. Aumentano i pogrom dei coloni contro la popolazione palestinese. Incendi dei terreni agricoli, atti di vandalismo ed aggressioni fisiche e armate contro i palestinesi sono cresciuti nelle ultime settimane a fronte dell'indifferenza dell'esercito israeliano. Sempre più testimoni segnalano questo. L'ultima incursione è costata la vita di un palestinese. Il gruppo israeliano Peace Now, tramite il suo segretario Yariv Oppenheimer, ha denunciato l'ultima delle incursioni di coloni, fortemente armati, nei pressi di Nablus, sabato. Bilancio: un morto e diversi feriti. Decine di coloni hanno fatto irruzione nella località cisgiordana di Asira (Nablus) «sparando all'impazzata». Distrutte anche abitazioni e proprietà dei palestinesi. I militari israeliani, pur presenti, non sono intervenuti e non hanno proceduto ad alcun arresto. Di fronte alle critiche e alle proteste palestinesi e di isolati gruppi di ebrei, il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, ha assicurato pubblicamente che «non ci saranno più pogrom contro i non ebrei».

 

  • Turchia / Kurdistan. 17 settembre. Il DTP teme la sua possibile illegalizzazione. Il Partito per una Società Democratica (DTP), formazione kurda con 21 seggi nel Parlamento di Ankara (2 milioni di voti alle ultime elezioni), si è rivolto ieri alla Corte Costituzionale turca contro la sua possibile illegalizzazione. La procura accusa il partito di pregiudicare «l'unità indivisibile» della Turchia e la Corte sta decidendo in questi giorni sulla possibile illegalizzazione. Non potendo provare legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), si accusa il DTP di essere «un focolaio di attività pregiudizievoli dell'indipendenza dello Stato e della sua unità indivisibile». Il DTP potrebbe aggiungersi alla lunga lista di partiti kurdi dissolti, tra i quali il Partito Democratico (DEP). Il verdetto è atteso nelle prossime settimane.

 

  • Iran. 17 settembre. L'Iran rafforza il suo controllo sullo Stretto di Ormuz, dove transita il 40% del petrolio mondiale. L'ordine alla Guardia Rivoluzionaria, corpo d'élite della Repubblica Islamica, è venuto dalla guida suprema, l'ayatollah Ali-Khamenei. E' la risposta di Teheran alle crescenti informazioni su un possibile attacco di Israele, appoggiato dagli Stati Uniti, contro le installazioni nucleari iraniane. In tal senso, il Pentagono ha notificato al Congresso statunitense l'approvazione della vendita ad Israele di 1.000 missili antibunker di piccolo calibro, un tipo di armamento che serve per questo tipo di attacchi, secondo quanto scrive, nella sua edizione di domenica, The Jerusalem Post. Questo dispiegamento coincide allo stesso tempo con un nuovo giro di vite dell'Occidente contro l'Iran per il suo programma nucleare. L'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) insiste sul fatto che Teheran si sottoponga di nuovo al protocollo addizionale del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), che permetterrebbe un'ispezione più esaustiva del suo programma. Il governo iraniano ha deciso di sospendere nel 2006 questo protocollo addizionale come protesta per il trasferimento del dossier del suo programma nucleare al Consiglio di Sicurezza.

 

  • Iran / Francia. 17 settembre. La Francia si è aggregata ieri agli Stati Uniti per nuove sanzioni –il quarto pacchetto– contro Teheran «per il suo atteggiamento negativo a collaborare». Il governo iraniano ha dichiarato che non risponderà alle nuove richieste dell'AIEA e insiste che proseguirà nell'arricchimento dell'uranio.

 

  • Georgia. 18 settembre. Saakashvili è politicamente morto? Se lo chiede il settimanale Der Spiegel, secondo cui negli Stati Uniti, a cinque settimane dall’aggressione in Ossezia, si levano voci contro il presidente georgiano, che avrebbe giocato d'azzardo innescando la miccia del conflitto con la Russia. Al Senato degli USA Hillary Clinton chiede se l’amministrazione Bush abbia davvero incoraggiato i georgiani a usare la forza militare e com'è potuto accadere che gli Stati Uniti siano stati colti di sorpresa dallo scoppio delle ostilità. Decisivo è l’accertamento delle responsabilità su chi abbia attaccato per primo. Le informazioni che giungono dalla NATO e dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) forniscono un quadro diverso da quello sostenuto dal governo georgiano e starebbero alimentando i dubbi dei politici europei, alcuni dei quali chiedono un’indagine internazionale. Il governo georgiano continua a sostenere che la guerra è cominciata giovedì 7 agosto alle 23.30. Secondo questa versione, in quel momento ha ricevuto diversi rapporti dei servizi segreti secondo i quali circa 150 mezzi dell'esercito russo erano entrati in territorio georgiano, nella repubblica separatista dell'Ossezia del Sud, attraverso il tunnel di Roki, che passa sotto la principale catena montuosa caucasica. Il loro obiettivo, dicono i georgiani, era Tskhinvali, e alle 3 del mattino sono stati seguiti da altre colonne militari. «Volevamo fermare le truppe russe prima che potessero raggiungere i villaggi georgiani», ha dichiarato recentemente Saakashvili a Der Spiegel, spiegando gli ordini dati al suo esercito. «Quando i nostri carri armati si sono diretti a Tskhinvali i russi hanno bombardato la città. Sono stati loro, non noi, a distruggere la città». Ma i rapporti dell'OSCE, presente da prima del conflitto con una missione in Ossezia, descrivono una situazione diversa in quelle ore critiche.

 

  • Georgia. 18 settembre. Anche i dati raccolti dai servizi segreti occidentali e dalla NATO contestano lo svolgimento dei fatti presentato da Saakashvili. Secondo queste informazioni, la mattina del 7 agosto i georgiani hanno ammassato circa 12mila soldati al confine con l'Ossezia del Sud. Settantacinque carri armati e veicoli corazzati per il trasporto truppe –un terzo dell'arsenale militare georgiano– sono stati posizionati nei pressi di Gori. Il piano di Saakashvili, a quanto pare, era di avanzare verso il tunnel di Roki con un blitz di 15 ore e chiudere il collegamento tra le regioni del Caucaso settentrionale e meridionale, separando efficacemente l'Ossezia del Sud dalla Russia. Alle 22.35 del 7 agosto, meno di un'ora prima che i carri armati russi entrassero nel tunnel di Roki, secondo Saakashvili, le forze georgiane hanno cominciato ad attaccare Tskhinvali con l'artiglieria. I georgiani hanno usato 27 sistemi lanciarazzi, cannoni da 152 millimetri e bombe a grappolo. L'assalto notturno è stato condotto da tre brigate. I servizi segreti controllavano le richieste russe d'aiuto via radio. La 58ª Armata, parte della quale stazionava nell'Ossezia del Nord, non era apparentemente pronta a combattere, almeno non durante quella prima notte. L'esercito georgiano, d'altra parte, consisteva soprattutto di gruppi di fanteria, che sono stati costretti a muoversi lungo le strade principali: si è presto impantanato e non è stato in grado di andare oltre Tskhinvali. I servizi occidentali hanno appreso che i georgiani avevano problemi «a maneggiare