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Moralisti immorali

di Alain de Benoist - 12/10/2008

Si lamenta l'assenza di morale, ma nella morale fino al collo! È ovunque, senza essere più la stessa. Vari contemporanei se ne credono immuni. E nega di «far la morale» e di giudicare moralmente perfino chi li esecra. Data la connotazione religiosa, alla «morale» molti preferiscono l'«etica»: suona più laica, benché l'etimologia sia la stessa (mores e ethos) e, a rigore, l'etica sia dei singoli.
Sì, la morale tradizionale declina. Ma un'altra la sostituisce. La vecchia morale dava regole individuali di comportamento: la società pareva migliore se i suoi membri si comportavano bene. La nuova morale vuol moralizzare la società, senza regolare gli individui. La vecchia morale diceva alle persone che cosa fare; la nuova morale dice alla società che cosa diventare. Non sono più gli individui a dover filar diritto: è la società che va resa più «giusta». La vecchia morale mirava al bene? La nuova mira al giusto. Il bene dipende dall'etica delle virtù, il giusto dal concetto di «giustizia», anch'esso moralmente connotatissimo. Le società moderne aderiscono alla nuova morale, ma pretendono di restare «neutrali» nella scelta dei valori: sono ultrapermissive e ipermorali.
La sostanza è la logica del dover-essere di Max Weber. L'antichità viveva nella comunione dell'Essere; la modernità nascente s'è richiamata al dover-essere. Che il mondo cambi, dunque: che diventi «più giusto» e sia ricostruito su un progetto nato della vecchia credenza o dalla ragione moderna. Giustizia e diritto non definiscono più l'equità fra persone, ma esprimono il dover-essere. Il sociale va reinterpretato col dover-essere, indifferente alla natura di cose ed esseri.
Alla base del dover-essere c'è il no al mondo com'è. In un certo modo questo è anche un no alla vita. Per sant'Agostino, «Mundus est immundus». Va corretto per le esigenze divine, secondo gli uni; per la necessità storica, secondo gli altri. La volontà di (ri)costruire il mondo, o «ripararlo» (tikkun), risale alla Bibbia, per la quale il mondo è imperfetto, afflitto da un minor-essere. L'ideologia del progresso, l'utopia illuminista, ne è la versione profana: in veste secolare (felicità anziché salvezza, avvenire anziché aldilà) agisce tuttora la vecchia fede messianica e chiliastica nell'irresistibile marcia della storia verso la fine (movimento che sfocia nell'autosoppressione). Il progresso è il lento miglioramento unitario del mondo. Pierre Legendre osserva: «Sostituite la salvezza cristiana con la fede nel progresso, avrete il credo commerciale dell'Occidente globalizzato».
La religione cristiana s'è voluta di colpo costitutiva d'una «comunità universale reale», scrive Pierre Manent. Per gli illuministi, gli uomini si salveranno con le loro forze, non con i precetti divini, fondando la società perfetta, o almeno definitiva. Ma l'idea di un tale movimento della storia deriva dalla religione, che credono abolita, quando agisce più che mai. Per John Gray, i Lumi riciclano la convinzione che la storia racconti la salvezza dell'umanità; convinzione che affiora dal comunismo staliniano come dal neoconservatorismo americano, certo che alla società perfetta s'arrivi «liberando la magia del mercato»: «Nonostante le pretese di razionalità scientifica, il neoliberalismo si radica come processo a scopo predeterminato, perciò - e per altro - somiglia al marxismo».
Fondata sui diritti soggettivi che ognuno avrebbe allo stato di natura, l'ideologia dei diritti dell'uomo è anzitutto dottrina morale. Per Marcel Gauchet, essa si radica «in ciò che è pietra di paragone fra legittimo e illegittimo in seno al mondo, traendone una griglia di lettura e un programma d'azione collettivo. L'ideologia dei diritti umani decifra la realtà sociale come dovrebbe essere ma l'imperialismo del dover-essere non spiega gli ostacoli che comporta, benché essi rispondano a forti necessità quanto all'esistenza in comune. Dice solo che non dovrebbero esistere . L'ideologia dei diritti umani porta all'invasione del moralismo, vieppiù inevitabile, perché mobilita le risorse intime dell'affettività».
Per Philippe Muray, il nuovo ordine morale è l'«impero del bene». Un bene derivato dalla priorità del giusto, un bene «oggetto del desiderio giusto». Oggi tale bene è degenerato nel nuovo moralismo. Parallelamente e simultaneamente, si nega il male come innato nell'uomo e lo si riconosce come negazione radicale del bene dei diritti umani, nella forma estrema del «male assoluto».
Spesso la destra ha una visione etica della politica e la sinistra una visione morale: di qui Excalibur, di là le Beatitudini. Due universi dai valori diversissimi, ma entrambi impolitici (inadatti per capire che cos'è la politica). Oggi domina la visione morale. E così la società, che molti giudicano senza morale, si scopre veicolo di un moralismo onnipresente, diffuso dai suoi devoti, dai suoi missionari, dalle sue leghe della temperanza. Libertini cercansi.

(Traduzione di Maurizio Cabona)