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Il cibo offeso

di Carlo Petrini - 15/10/2008

 
 

Mi ha sempre incuriosito sapere che fine fanno le mozzarelle, le ricottine e i formaggi freschi che, sugli scaffali di un supermercato, campeggiano con la data di scadenza imminente. Sono sempre venduti in tempo? Immagino di no: lo san no tutti che per portarsi a casa un prodotto che duri un po’ di più nel frigorifero basta pescare in fondo alla fila di prodotti sullo scaffale, dove posizionano quelli con la scadenza più lontana.  

 

Dunque dove vanno a finire quelli con poca vita? Non è un segreto che molti, direttamente dalla fabbrica, regolarmente finiscono nei cassoni per rifiuti del supermercato.

 

Mi indignavo per quanto cibo viene buttato via ogni giorno nei Paesi come il nostro, ben inseriti nel sistema agro-alimentare industriale. Mi chiedevo come sia possibile che a causa del sistema di produrre e distribuire il cibo si debba tollerare un simile schiaffo alla povertà e questo sonoro attentato alla salute degli ecosistemi.

 

Ma non mi indignavo abbastanza, perché evidentemente qualcuno più interessato si è posto le mie stesse domande, ed era inevitabile, con questa sorta di bolla di produzione intensiva tra le mani, che facesse un pensierino per rientrare della perdita: era sufficiente allungare la data di scadenza.

 

Il peggior cattivo pensiero che poteva venirmi in mente ora sembra concretizzarsi: illegale, criminale nei confronti di ignari cittadini. Troppo facile indignarsi. Voglio invece sottolineare come ce la dovevamo aspettare, prima o poi. E’ il sistema di come il cibo è fatto, trattato e distribuito che ha creato l’occasione per l’uomo ladro. La mamma dei furbetti, del resto, è sempre incinta.

 

Il cibo, mentre perde il suo portato di identità e cultura una volta trattato a livello intensivo e seriale, si trasforma in una cosa soltanto da vendere comprare, si svuota di sostanza, diventa effimero, virtuale e impalpabile come quei soldi che transitano alla velocità della luce sui mercati internazionali, fino a diventare un debito che non si può più pagare. Un debito che si può spingere fino alla contraffazione più vigliacca, che però in questo caso non attentale tasche dei cittadini, ma la loro salute.

 

Il cibo rimane il bandolo per capire il mondo in cui viviamo e mai come ora mi viene da dire che è ora di ripensare questo sistema alimentare globale. Serve un new deal del cibo, per combattere la fame ma anche per riportarlo alla terra, e al territorio; per una produzione che sia espressione degli uomini e che non sia vittima delle fregole produttivistiche, capitaliste e del "denaro a tutti i costi".

 

Farne di meno ma dappertutto, farlo viaggiare meno, che sia di maggiore qualità e a prezzi giusti per chi lo coltiva e per chi lo compra. Ridarlo in mano ai contadini.

 

Oggi in certi supermercati non troverete più i prodotti di certe marche. Poco male: per fortuna in Italia, nel territorio di ognuno di voi, ci sono dei produttori di formaggi sensazionali, tutti diversi tra di loro, uno più buono dell’altro, molti a prezzi concorrenziali. Quella è la produzione reale, l’economia locale che si può toccare e vi rappresenta, che ha facce riconoscibili, con le quali potrete prendervela direttamente se qualcosa, ma è ben più difficile, al limite dovesse andare storto.