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Premio Nobel per l’ipocrisia alla commissione dei Nobel

di Lorenzo Salimbeni - 16/10/2008

Se già prima potevano esserci dei sospetti, ormai ci troviamo davanti a una certezza: il Premio Nobel per al Pace rientra a buon diritto negli strumenti del cosiddetto soft power a disposizione delle elite atlantiste, le quali attraverso l’assegnazione di questo premio buonista intendono portare alla ribalta i fedeli esecutori delle loro strategie antinazionali. Martti Ahtisaari, paladino dell’indipendenza del Kosovo ed ennesimo affossatore della dignità del popolo serbo, è l’ultimo beneficiario di questo ricco premio: l’ex presidente finlandese ha lavorato come mediatore anche in altri scenari, cogliendo pure significative soluzioni a crisi locali (ad esempio l’indipendenza della Namibia dal Sudafrica), ma il suo nome resta indissolubilmente legato alla fallita mediazione fra Belgrado e Pristina. Il generale russo Ivashov non ha dubbi: "Ha aiutato i bombardamenti della Nato in Serbia e ha ottenuto il Nobel con un fine politico: sostenere gli interessi degli Usa e della Nato" ha affermato il direttore dell’Accademia di problemi geopolitici di Mosca. Altrettanto interessato è stato a suo tempo il Nobel a Michail Gorbaciov nel 1990 "per il suo ruolo di primo piano nel processo di pace che oggi caratterizza parti importanti della comunità internazionale": trattavasi di un processo di pace che avrebbe sgretolato l’URSS ed i suoi Stati satelliti, destinati a venire assorbiti dal mondo “occidentale”, che allora iniziava la sua prodigiosa opera di esportazione di democrazia e di libero mercato.

Altri insigniti illustri andando a ritroso nel tempo: nel 1953 il Generale Marshall, bravo a proiettare l’Europa al cospetto dei miraggi consumistici dopo che i bombardieri del suo paese l’avevano rasa al suolo e devastata, piuttosto che il presidente statunitense Wilson, puntuale nel fare intervenire gli USA nella Grande Guerra in seguito all’affondamento del Lusitania (un episodio che per alcuni risvolti solleva alcuni dubbi paragonabili a quelli degli scettici sulle dinamiche ufficiali dell’11 Settembre) in tempo per portare al successo il fronte democratico e in seguito architetto di un piano di pace che avrebbe gettato nel caos il Vecchio Continente. Dulcis in fundo un altro inquilino della Casa Bianca, Theodor Roosevelt, propugnatore di quel corollario Roosevelt alla Dottrina Monroe (altrimenti noto come la politica del grande bastone) che rafforzava l’interventismo statunitense in America latina, adeguatamente esemplificato dalla secessione eterodiretta di Panama dalla Colombia e dalla conseguente apertura del lucroso canale, per non parlare del ruolo di primo piano svolto nella guerra ispanoamericana del 1898 (scoppiata in seguito ad un episodio che sa molto di false flag, vale a dire l’affondamento del Maine a L’Avana).

In questi tempi di recessione è interessante andarsi a leggere pure i vincitori del Premio Nobel per l’Economia, fra i quali spiccano i teorici di questo sistema economico che sta finalmente giungendo al capolinea, ma con gran nocumento di tutti. Fra i primi insigniti figura Paul Samuelson, economista autore fra l’altro di uno dei manuali di economia politica più diffusi al mondo, sulle cui pagine hanno acquisito la forma mentis legioni di futuri finanzieri e soloni del libero mercato: una delle prime cose che il nostro si peritava di insegnare era il cosiddetto paradosso del risparmio, una diabolica equazione che va  a minare la tradizionale parsimonia delle persone dotate di buon senso per portare invece avanti politiche di consumismo estremo basate al limite pure su indebitamenti sconsiderati. Il canadese Mundell, d’altro canto, ha incassato il premio nel 1999 dopo aver preconizzato la necessità e l’imminenza di una moneta unica sulla faccia della terra: se già l’Euro imposto dall’alto si è rivelata una mazzata per gli europei, figuriamoci cosa potrebbe succedere applicando le teorie di siffatto luminare. Certo, ha vinto pure una voce moderatamente fuori dal coro come quella dell’indiano Amartya Sen, però la stragrande maggioranza dei premiati appartiene ad una scuola di pensiero ben determinata, quella che sta portandoci a una recessione catastrofica.