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Crisi. La decrescita? Piano B

di Massimo Corbucci - 16/10/2008

Fonte: partitodecrescita

 

Quando negli anni ‘90, alcuni, come il sottoscritto, scrivevano che un sistema

economico basato sulla crescita continua era un meccanismo perverso che avrebbe prodotto risultati terribili, eravamo considerati delle cassandre con una paranoica propensione verso il catastrofismo.

Eppure era semplice buon senso presupporre che un sistema al quale non sono concesse pause nel processo di crescita sia come un elastico sempre più tirato che accumula un enorme tensione di ritorno.

Ci è sempre sembrato ovvio che l’economia si basa su tre colonne portanti: la produzione, il mercato ed il risparmio. Quando abbiamo visto una delle tre, il risparmio, sistematicamente demolita per spingere il consumo, abbiamo percepito che si era perso il senso della realtà..

Non vi è stato nessuno spazio per esprimere questa preoccupazione. Nessuno ne voleva sentire parlare né tanto meno legare il suo nome a qualcosa di così “sfigato”.

Nel 2007 frustrati da questo isolamento culturale abbiamo deciso di fondare un partito per uscire dal privato ed ufficializzare una posizione affinché quanto meno non si potesse dire che ciò che stava per accadere non fosse prevedibile.

Temevamo due cose: una grave crisi ambientale ed una crisi economica. Siamo lieti che quest’ultima sia la prima a manifestarsi, perché meno irreparabile tra le due, e perché consente a noi tutti di aggiustare il tiro sullo sviluppo futuro.

Forti degli avvenimenti di questi giorni che sembrano darci ragione ci pare giusto ricordare alcune cose:

La decrescita si caratterizza come una teoria che ritiene la produzione delle merci uno dei fattori funzionali al benessere della gente. Se ne prevedono altri tuttavia, altrettanto importanti quali la salvaguardia dell’ambiente e la qualità della vita.

Essendo libera dall’assillo della crescita a tutti i costi considera la produzione di merci inutili ed indotte una degenerazione del mercato. Andrebbe prodotto fondamentalmente ciò che è  necessario al soddisfacimento dei bisogni.

 

Niente di nuovo: esattamente come funzionavano le cose fino a 50 anni fa. Anche allora si produceva ricchezza. Se ne  produceva di meno ma su basi più sostanziali. Sicuramente se si fosse continuato in quel modo  la qualità della vita e dell’ambiente sarebbe ora migliore.

Ma nella realtà le cose hanno preso un verso differente: si è premuto a fondo sull’acceleratore per poter spingere il mercato alla massima velocità. Si sono creati una sequela di bisogni indotti (ad es. usa e getta) e si è messa in circolazione una massa enorme di denaro per permetterci di soddisfarli. Questo denaro, come ormai tutti sanno, è stato “inventato”tramite  un debito immenso.

E siccome la crescita, anche se pompata non era sufficiente, si è provveduto tramite leve finanziarie a mettere in gioco gli utili immaginari delle future generazioni.

Risultato: il sistema non si può più fermare; deve crescere continuamente con aspettative di guadagno sempre maggiori che giustifichino il rischio di un indebitamento colossale.

Ora, che è scoppiata la crisi, anche la casalinga di Voghera sa che tutto sta accadendo perchè le banche sono piene di crediti ”farlocchi “. Nonostante ciò l’ipotesi d’intervento rimane quella di immettere ancor più liquidità.

In parole povere frustare il cavallo per farlo correre ancora di più.

Ma se il povero cavallo non ce la facesse ad accelerar ancora, se altra liquidità altri debiti non sortissero l’effetto sperato…. è possibile che a nessuno venga in mente l’idea che è necessario approntare un piano B? Crescita o morte sembra essere il motto che ispira le nostre istituzioni, i nostri esperti.

 

Ora se è pur vero che la Decrescita và considerata come una teoria a tutto campo che auspica la riappropriazione della qualità della vita, tuttavia in termini economici ed ambientali ha una valenza molto pratica.

E’ una ritirata strategica per evitare una rotta disastrosa:

ridimensionare le aspettative, guidare l’economia verso un atterraggio morbido dove è contemplato un minor consumo, un minore inquinamento, una minor liquidità, una maggiore possibilità di risparmiare, una economia più sostanziale.

 

Ci saremmo immaginati che il buon senso, la gravità e la complessità della questione, per non parlare della crisi ambientale incipiente, avrebbero motivato fior di economisti , sociologhi e scienziati, a prendere in considerazione quello che stiamo dicendo da tanto tempo. Niente da fare.

Nessun ha ritenuto di dover legare il proprio nome ad una ipotesi d’impoverimento, anche se pilotato.

Il desiderio di non “pagare il conto” è più forte di ogni timore. Non viene accettata l’idea che 50 anni di economia distorta hanno bisogno di una catarsi per potersi liberare delle tossine acquisite. Si tenta di salvare il sistema così com’è perdendo l’occasione di ridisegnare una economia più sana.

E allora in questo clima di irresponsabilità dove gli esperti si danno alla latitanza ci sentiamo autorizzati ad esprimerci, ipotizzando alcune forme d intervento di fronte alla crisi in atto:

 

- Lasciamo che gli istituti finanziari più compromessi falliscano e che un po’ di ricchezza falsa, creata per alimentare il consumo, evapori. 

- Creiamo, per il tempo necessario, un istituto finanziario pubblico che eroghi il credito alle imprese che devono continuare a produrre, e parimenti garantisca i depositi e le forme di risparmio non speculative dei privati cittadini.

- Ridimensioniamo il credito al consumo.

- Modifichiamo la normativa fiscale che attualmente,in maniera perversa, induce all’indebitamento, consentendo alle aziende ed ai professionisti di dichiarare gli incassi realizzati invece delle fatture emesse.

- Aboliamo i canoni e le spese fisse per permettere a chiunque di risparmiare secondo le proprie esigenze.

- Forniamo aiuto  economico ai ceti deboli.

- Garantiamo i servizi.

E poi: che il libero mercato, quello vero, dalla parte del cittadino, quindi non condizionato dalle grandi aziende e dalla finanza, faccia il proprio corso trovando una dimensione di realtà.

Ringraziamo coloro che hanno avuto la pazienza di leggerci.