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La Rete ci salverà? Boh…

di Carlo Gambescia - 16/10/2008


Oggi vogliamo fare alcune osservazioni, per così dire, di sociologia della comunicazione sulla Rete, prendendo spunto dalle reazioni al famoso “Appello” ("Quattro misure, eccetera”) apparso sabato scorso su questo e altri blog amici.
Non entreremo nel merito dei contenuti. La nostra sarà un’analisi formale sulla difficoltà “oggettiva” di comunicazione sulla Rete.
Tra le componenti psicologiche dello scrivere, inteso come “pubblicare”, va ricordata anche quella narcisista: si scrive per influenzare gli altri e in certa misura manipolarli. Finendo così per "godere" - ecco qui affiorare il narcisismo - dell’ autorevolezza e della “fama” che lo scrivere porta con sé, anche quando non si superino i proverbiali dieci lettori...
Insomma, lo scrivere, anche per la causa più nobile, implica strutturalmente lo sviluppo di una posizione di potere personale. Una situazione che può essere messa al servizio, e per varie ragioni, di altre posizioni di potere. E così via, lungo la scala micro-macro.
Ora, sotto questo aspetto, chi scrive su un blog è sicuramente più libero di chi pubblica su un giornale. Dal momento che il potere che il singolo blogger sviluppa non è al servizio di altri poteri. Mentre lo scrivere, diciamo così, in conto terzi, di regola, implica sempre forme di censura e autocensura. Ma anche l’accettazione di regole circa i contenuti e il linguaggio. E questo spiega anche la notevole differenza di stile e tono che si nota tra un post e un editoriale giornalistico. In genere il linguaggio blogger è decisamente più esplicito. Ma anche i contenuti sono decisamente non ortodossi.
E qui veniamo al punto dolente.
Naturalmente, il linguaggio e i contenuti sono decisamente più espliciti anche sul piano delle reazioni. E purtroppo, visto che sulla Rete non c’è il velo del parlare fisicamente in pubblico (mi devo alzare in piedi, devo formulare una domanda in pubblico, mantenere il contegno, eccetera), come pure il velo di dover sottoporre quel che si scrive a un caposervizio, eccetera (come nei giornali, riviste, eccetera), finiscono per allentarsi o cedere del tutto i freni sociali e psicologici, capaci di tenere a bada, per così dire, gli istinti meno simpatici dell’uomo.
Inoltre l’età media degli "utenti" è molto bassa (per circa tre quarti sotto i trent’anni, se ricordiamo bene, mentre i cinquantenni, sono meno del 5 per cento, sempre se rammentiamo bene). Di conseguenza, salvo alcune eccezioni, e stante i guasti decennali della scuola italiana che ha formato e va formando studenti privi delle necessarie conoscenze storiche e linguistiche di base, nonché di articolazione argomentativa), prevale spesso l’assoluta superficialità. Nonché, e questo probabilmente è un portato del berlusconismo, ma anche di certo individualismo-familismo amorale tipicamente italiano, una incapacità di ascoltare l’Altro da sé. Per farla breve si interviene nel quadro di un dibattito, sulla base di un semplicissimo e barbaro assioma: “Mo’ questo lo sistemo io…”. E, soprattutto facendo necessariamente riferimento - visto che manca qualsiasi preparazione storica, linguistica e argomentativa di base - alle proprie esperienze personali, condizionate, ovviamente dalle antipatie e simpatie, che proviamo verso questo o quello. Il che aiuta nella vita di tutti giorni - come insegna l’etnometodologia – ma rende il confronto intellettuale superficiale e inconcludente. Certo, la Rete è anche libero confronto, eccetera. Ma per ora, dispiace dirlo, a un livello medio-basso. Più basso che medio…
Vanno poi segnalate altre due questioni.
La prima: quanto più un blogger sceglie di andare controcorrente tanto più aumenta il rischio di isolarsi dal punto di vista societario e politico. Ma anche all’interno della Rete
La seconda: quanto più il blogger si uniforma al mainstream giornalistico e “retistico”, tanto più rischia di scivolare nel conformismo. E di trasformarsi in un imbonitore ( il vecchio Ortega, diceva ironicamente, il conferenziere più “bravo” è quello che dice le cose che la gente vuole sentirsi dire…). Alcuni però sostengono che la blogosfera potrebbe costituirsi in contro-società. E dunque sostituirsi, fornendo nuovi strumenti politici, a una società che "ci" piace sempre meno. Va però detto che all’interno della blogosfera (come spazio micro), sembrano prevalere le stesse divisioni presenti nella società (lo spazio macro) che si combatte. Frutto di quelle linee di separazione prodotte dalle battaglie ideologiche novecentesche.
Di qui, sul piano organizzativo, quella logica del beduino, largamente applicata dai blogger nei termini di una coazione a ripetere: il nemico del mio amico è mio nemico; l’amico del mio nemico è mio amico, eccetera. Una logica priva però di quella compattezza, circa gli ideali di fondo (“Cambiare un mondo che non piace”), che invece contraddistingue, rendendola fortissima, la società che si combatte basata invece sull'idea opposta (“Conservare un mondo che piace”).
Ma c’è dell’altro. La blogosfera sembra potenziare a velocità esponenziale certo narcisismo insito nella natura umana, cui abbiamo accennato all'inizio, grazie alla autoreferenzialità dello strumento-blog. Il che però rende strutturalmente difficili i rapporti tra blogger-narcisi, attenti a solo coltivare il proprio piccolo orticello di lettori adoranti. Una sciocca vanità, che in alcuni casi teratologici, si nutre di un finto atteggiamento blasé, perché in realtà fermo soltanto alla lettura dei titoli del catalogo Adelphi, e non degli intriganti libri pubblicati da Roberto Calasso. Magari utile per compensare profonde frustrazioni esistenziali. Ma non per confrontarsi, senza pregiudizi, con l'Altro da sé.
In conclusione, e scusateci per la battuta, che però fa molto blogosfera: la Rete ci salverà? Boh…