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Carlo Michelstaedter e la filosofia greca

di Giovanni Sessa* - 16/10/2008

Fonte: politicamente

La filosofia della persuasione di Carlo Michelstaedter è stata una delle esperienze filosofico-esistenziali più significative del panorama europeo di inizio secolo. Negli ultimi anni si è registrato un considerevole interesse attorno alla figura di questo intellettuale, e ciò ha dilatato, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, la letteratura critica relativa alla sua opera. Fino alla metà del secolo scorso, il suo nome era, per lo più, conosciuto solo dagli studiosi, oggi, dopo l’attenta ricostruzione filologica dei testi e la pubblicazione dell’opera omnia, curata da Sergio Campailla, egli ha conseguito la considerazione che meritava (1).

Gli sforzi ermeneutici sono pervenuti ad individuare, nel suo interesse per la filosofia e la cultura greca, il vero e proprio laboratorio teoretico della persuasione. Del resto, il motivo ispiratore della sua opera, è da rintracciarsi nell’episodio che occasionò la scelta dell’argomento della sua tesi di laurea, La persuasione e la rettorica: cioè la lettura della Pro Quinto Ligario di Cicerone, nella traduzione di Brunetto Latini. Le riflessioni su questo tema, durante gli anni universitari, dettero luogo a una tesina nella quale Michelstaedter abbozzò, per la prima volta, il concetto di persuasione, che, però,  giungerà a vero sviluppo teoretico nel biennio 1908/10 (2). L’intera riflessione michelstaedteriana è, quindi, motivata dall’analisi della decadenza della retorica nel mondo antico. Attraverso la critica del linguaggio, Michelstaedter mette capo ad uno dei primi e più radicali superamenti della metafisica occidentale. Lungo questo percorso egli elaborò una lettura dualistica della storia della filosofia greca che, in questa sede, ci proponiamo di presentare nei suoi tratti più significativi. Compareremo, allo scopo, le sue posizioni con altre interpretazioni della filosofia ellenica: quelle di Heidegger e di Voegelin, veri snodi cruciali della filosofia novecentesca.

Rettorica e persuasione

Lo sforzo di Michelstaedter di descrivere le condizioni esistenziali reificate della rettorica, divinità negativa che presiede alla vita dei più, lo porta a individuare nella filosofia di Aristotele, l’origine di tale processo. Chi vive rettoricamente non possiede la propria vita, ma la disperde nella correlatività di coscienza, rincorrendo i fatui bagliori del piacere e del desiderio, accesi dal dio della filopsuchia, finchè, l’incidente della morte, non ponga fine a questo vano inseguimento di se stessi. Nelle pagine di Michelstaedter, opposta alla rettorica, si erge la dimensione della persuasione. Per definirla, il filosofo si richiama all’eleatismo, ma in un quadro diverso da quello della metafisica tradizionale. Per dirla con G. Carchia: “esso è manifestato nei termini rigorosi di una metacritica linguistica indirizzata ai fondamenti medesimi di quella metafisica, al concetto del logos quale emerge nella dialettica del tardo Platone e trionfa nella speculazione aristotelica”(3).                                                                                                                                                

Michelstaedter elabora una sorta di eleatismo della pratica, per cui l’essere non viene semplicemente contemplato, ma realizzato: il suo obiettivo è quello di superare la dicotomia vita-pensiero, soggetto-oggetto (4).

La sapienza presocratica

Attraverso questa prospettiva speculativa egli rintracciò nella “compattezza” della sofia presocratica, nella sua tematizzazione della fysis come ciò che implica in sé l’unità di soggetto- oggetto e nella verità intesa come aletheia, disvelamento, il proprio fondamentale referente teoretico. Ciò è dimostrato da una recente pubblicazione, quella dei manoscritti del filosofo relativi a Parmenide, Eraclito, Empledocle conservati presso il Fondo Michelstaedter della biblioteca di Gorizia, contrassegnati dalla segnatura FCM II 6 (5). Di fatto, Michelstaedter, superando le chiusure accademiche di certa filologia, ha anticipato, rispetto ai primi sapienti greci, le analisi ermeneutiche e i giudizi più originali, prodotti dalle ricerche degli ultimi anni. La sua lettura eterodossa di Parmenide, prende avvio dal frammento D.K. 8 decretante l’identità di pensiero ed essere. Egli interpretò le parole dell’Eleate in termini etico realizzativi, secondo i canoni propri del neoplatonismo, come notò G. Calogero (6). Ciò, naturalmente, lo portò: “a trasporre la questione dell’essere da una dimensione teoretico-conoscitiva, a una dimensione etico-pratica” (7). La persuasione si configura, pertanto, come unità di conoscenza e azione, come cosmizzazione dell’individuo che dà luogo ad una comunicazione aperta al sacro. Essa ripropone senso e valore dell’antica Peitho (8). Anche Eraclito è attentamente letto e ripensato da Michelstaedter. Ciò che colpì il giovane filosofo, nei frammenti del saggio di Efeso, fu il rinvio all’unità di fondo della fysis. Questa posizione di Michelsaedter ricorda quella di G. Colli. Non solo i risultati delle loro esegesi si richiamano, ma anche l’obiettivo che li stimolò alla ricerca è il medesimo: il tentativo di riattualizzare una comunicazione filosofica persuasiva, oltre il con-vincimento retorico (9).

Il medesimo aspetto speculativo, è stato rilevato in Eraclito, da E. Di Terlizzi (10). Questi sostiene che in Eraclito: “la molteplicità è del tutto risolta in una unità originaria, tale unità originaria costituisce, per le cose stesse, un vero e proprio valore ontologico…..Ciò che al saggio appare è, in definitiva, la giustezza delle cose stesse…l’essere delle cose è assolutamente immanente” (11). Il saggio, per Eraclito, vede ciò che i dormienti non possono vedere, grazie ad una sorta di streben filosofico: un cambiamento di stato propedeutico al conseguimento del sapere. La persuasione di Michelstaedter, come fuoriuscita dalla rettorica, è molto simile a questo cambiamento ontologico. Attenti lettori delle pagine michelstaedteriane hanno visto, in questo dualismo, il retaggio della tradizione d’origine dell’autore, quella ebraica. La rettorica risulterebbe una traduzione filosofica dello Sheol, il regno della morte, e la persuasione, una sorta di dominio regale, il Mamlakah (12).

E’ possibile, così, spiegare la persuasione, nel suo carattere di beneficio, come la testimonianza di un ordine conseguito dall’individuo, un ordine che dalla coscienza si irradia nella comunità, in armonia con le potenze del cosmo (13). Quindi, quella di Michelstaedter, si presenta, oltre che come filosofia della liberazione, come una filosofia dell’ordine, definizione questa che E.Voegelin ha utilizzato anche a proposito di Eraclito (14). Il riferimento a Voegelin ci consente di sviluppare in modo più approfondito il problema della filosofia greca in Michelstaedter. Infatti se nelle pagine  de La persuasione e la rettorica è presente una valorizzazione della sofia presocratica, nelle appendici della stessa opera, Michelstaedter presenta una critica stringente e partecipata della filosofia platonico-aristotelica.

La Grecia di Heidegger

Questa prospettiva storico-filosofica di Michelstaedter anticipa la visione heideggeriana del pensiero greco. Anche il tedesco, nell’elaborazione della sua ontologia anti e post metafisica, guarda alla sapienza originaria e aurorale dei presocratici con interesse, mentre individua in Platone l’affermarsi di un atteggiamento teoretico che inaugura il soggettivismo della veritas, cancellando il senso greco dell’aletheia. Conseguenza ineluttabile di questo percorso sarà la dimenticanza del senso dell’essere e l’affermarsi delle indagini ontiche (15).

Michelstaedter  presentò la propria visione storico-filosofica della Grecia nella seconda Appendice critica, laddove, dopo aver evidenziato lo sdoppiamento che caratterizza l’esistenza dell’uomo della rettorica, ne individua le lontane origini in quella che, a suo giudizio, è stata la degenerazione del filosofare da Socrate ad Aristotele.

La degenerazione del filosofare in Grecia

Socrate è l’ultimo persuaso che testimonia, con la vita e con la morte, la realizzazione del delfico “conosci te stesso”. Tutto il pensiero di Socrate tendeva a chiedere: “il valore per se stesso persuasivo, libero, buono… il valore razionale” (16). Al contrario, Platone rinuncia a consistere e si pone in posizione conoscitiva. Si finge sufficiente la propria deficienza, al fine di rideterminarsi attraverso il sapere, in modo assoluto: “questo sistema che non dà le cose ma parla a proposito delle cose, egli sostituisce come scopo alla persuasione nella vita” (17). Anche la città giusta è fondata su questo presupposto: “lo stato trova la sua origine nel fatto che ciascuno di noi non è autosufficiente, ma anzi bisognoso di molte cose”(18). Per questo la Politeia platonica risulta fondata sulla doxa e non sul valore epistemico-persuasivo della giustizia. La paideia platonica, prevalentemente mimetica, bandisce originalità e creatività dalla città, unici strumenti in grado di condurre alla “anima nuda”.Per Michelstaedter, il demiurgo del Timeo svolge, a livello cosmologico, la stessa funzione, connettiva e vitalizzante, del filosofo nella Repubblica. L’uno rende possibile la vita dal punto di vista cosmico, l’altro rende possibile la vita civile. Ciò che in entrambi trionfa, è la legge del “bisogna vivere”. Il pensiero platonico fonda la rettorica filosofica coprendo la realtà della vita e indicando “la stabilità dell’instabile”. Ciò avviene nel Sofista con il “ parmenicidio”: l’essere eleatico è ora declinato nei generi sommi, l’essere è confuso con l’ente. Così, come è stato notato: “ciò che è trova la sua consistenza attraverso un sistema di relazioni che supplisce all’inconsistenza degli enti, anziché nella forza individuale di ciascuno che sia capace di consistere di fronte al nulla” (19). La retorica platonica è il “diritto di dire”, anche se niente ha più valore: “e per questa via nei templi sereni dell’assoluto si diffonde la nebbia delle mutazioni correlative…l’uno è morto per sempre e con lui il postulato dell’onestà filosofica” (20). Aristotele, continuatore di Platone, vive dello stesso errore ontologico perché: “il lavoro del logismos(ragionamento) diventa l’istituzione del sillogismo” (21). Usando la metafora coniata da Michelstaedter, possiamo dire che Aristotele riporta “l’areostato” delle idee platoniche sulla terra. Ma, nonostante ciò, il soggetto di cui si serve, lo ricava dal bisogna vivere, dal abios bios.La legge di questo soggetto è l’esperienza che si è formata nella memoria; da questo soggetto egli è risalito alla prima sostanza. Aristotele ha radicalizzato i limiti rettorici del sistema platonico, privilegiando l’accidentalità nella predicazione dell’essere (poiché di quest’ultimo possiamo parlare da diversi punti di vista) e ponendo la fysis come dicibile e conoscibile in maniere molteplici. Ma ciò che, per Michelstaedter, è più grave è che “nella sua memoria il cumulo degli orizzonti, le notizie congegnate, il sistema delle parole è sempre un diverso dall’attualità” (22).

Per Aristotele diventa fondamentale che la cosa venga detta, non vissuta: “ma essa sarà un mondo per sé” (23). Ciò che sta alla base del sistema dello Stagirita è la necessità dei principi, per se stessi indimostrabili, che fondano le dimostrazioni sillogistiche: senza essi tutto crollerebbe. Questa situazione ha costretto Aristotele, secondo Michelstaedter, ad introdurre la definitiva distinzione tra teoretico e pratico. L’etica diviene: un catalogo di fini diversi costituiti” (24), alla quale il goriziano contrappone la prassi imperativa della cessazione della insufficienza umana. L’etica aristotelica è codificazione della vox populi: “il regno delle parole in Aristotele è così ben costituito che ogni ribellione rientra anch’essa nelle istituzioni preparate. A ogni obiezione è opposto un topos (argomento). Le negazioni, i dubbi dei filosofi anteriori, dove vive la loro richiesta della persuasione, egli ha tacitati” (25). E’ comunque nella Retorica che si compie la corruzione definitiva della dialettica persuasiva di Socrate: “il termine retorica diviene così sinonimo di violenza mascherata che attiene a tutto il dominio dell’umano…in essa viene a conclusione quel processo di laicizzazione della parola divina dei sapienti che aveva dato origine, nella polis, alla nascita del logos” (26). Da quanto affermato riteniamo si evinca, con sufficiente chiarezza, la prossimità fra la lettura della grecità di Heidegger e quella di Michelstaedter (27).

La Grecia di Voegelin

Diversa da quelle ora esposte è l’interpretazione del pensiero greco che emerge dall’opera di E.Voegelin (28). Questo studioso individua un unico blocco speculativo, quello socratico-platonico-aristotelico, nel quale sarebbe apparsa la psiche personale, il sensorio della trascendenza. A differenza di Michelstaedter, il pensatore tedesco, legge Socrate come il primo testimone di questa scoperta e non come l’ultimo persuaso della sofia arcaica. Ciò ha consentito a Voegelin di sviluppare una visione dell’opera platonico-aristotelica non condizionata dal segno negativo dell’attribuir loro l’introduzione della differenza ontologica. Voegelin ritiene che, i due pensatori greci, abbiano trasposto, nei loro sistemi, le medesime verità della sofia presocratica, servendosi di strumenti teoretici e logico linguistici diversi. In ciò furono sollecitati dalla nuova realtà storico esistenziale nella quale si trovarono a vivere.

Le stesse differenze tra i due pensatori furono indotte dalle diverse condizioni storiche con le quali si confrontarono. Ciò che ha effettivamente consentito a Voegelin di cogliere la continuità, piuttosto che le differenze, nello sviluppo della storia della filosofia greca, è stata l’individuazione della filosofia del mito in Platone: “dove il mito mantiene la serietà della sua verità ma nello stesso tempo è consapevolmente un gioco dell’immaginazione” (29). Platone ha sviluppato, per Voegelin, il quarto livello del mito (successivo al rito, al mito popolare, alla tragedia di Eschilo) e, perciò, egli sa che un mito: “può e deve prendere il posto di un altro, ma sa anche che nessun’altra umana funzione, per esempio la ragione o la scienza, può prendere il posto del mito” (30). Il mito rimane la legittima espressione dei moti fondamentali dell’anima che preserva la nostra coscienza nell’apertura del suo fondamento cosmico. Ciò fornisce: “all’anima la sua dimensione più che umana” (31). La rilettura platonica del mito non esclude la realtà delle esperienze arcaiche (gli dei), semplicemente tende a collocarle in una dimensione rappresentativa più modesta e defilata. Il mito nella sua essenza costitutiva è, così, preservato anche in Platone. Si presenta come una sorta di gioco con i simboli che via via si danno e che scaturiscono dagli strati non-consci dell’anima, dal mundus imaginalis. Per questo, secondo Voegelin, la filosofia del mito implica un mito dell’anima che mira a non ridurlo mai a: “ conoscenza costituita da atti di coscienza che intendono i propri oggetti” (32). Anche Aristotele intende la filosofia come movimento dell’anima che si adegua e rispecchia la dinamicità del reale.Le sue risposte teoretiche rimasero all’interno delle problematiche sollevate dell’Accademia (33).

Conclusioni: Michelstaedter e Voegelin

La lettura voegeliniana del pensiero greco diverge, quindi, da quella di Michelstaedter sotto il profilo storico; dal punto di vista delle conclusioni speculative, invece, entrambi giungono a posizioni conciliabili. Di fronte alla riduzione del ruolo e dell’autonomia del filosofare operato, agli inizi del secolo scorso, dal neo-positivismo, dalla sociologia e dalle diverse scuole dell’analitica linguistica, essi rivendicano una funzione forte, centrale, ordinante della filosofia. Probabilmente la radicalità dell’epoca, nonché la personale “equazione esistenziale” di Michelstaedter contribuirono a fargli maturare, non solo una proposta speculativa assoluta, ma anche una visione della storia della filosofia greca fondata su un dualismo irriducibile, quello che contrappone la sofia originaria a Platone e Aristotele. Se egli fosse riuscito ad individuare nel pensiero platonico-aristotelico quella continuità-contiguità di mythos e di logos, probabilmente avrebbe trovato soluzioni diverse alla sua stessa crisi esistenziale. Un’integrazione, secondo le direttrici della filosofia di Voegelin, alla persuasione, sarebbe in grado di innestare, nei germi positivi di questa originale esperienza di pensiero, quell’ancoraggio alla storia che, al momento della sua formulazione, le mancò. A nostro parere, la prospettiva ermeneutica ora presentata, sarebbe in grado di attualizzare quanto sostenuto da Heidegger: “herkunft aber bleibt stets zukunft” (ciò che è all’origine resta sempre un avvenire, resta costantemente sotto l’influenza di ciò che è da venire) (34).

Per le opere del filosofo rinviamo a: C.Michelstaedter, La persuasione e la rettorica,Adelphi, Milano 1995.      C.Michelstaedter,Poesie,Adelphi,Milano1987-C.Michelstaedter, Dialogo della salute, Adelphi, Milano1988.             C.Michelstaedter, Epistolario, Adelphi, Milano 1983- Per l’opera pittorica si veda: C.Michelstaedter, L’immagine irragiungibile, Laguna, Gorizia 1992.

2) Al riguardo rinviamo a C.Michelsaedter, Scritti scolastici, BSI, Gorizia 1976, pp 171/200, a cura di S.Campailla.

3) G.Carchia, “Linguaggio e mistica in C.Michelstaedter”, in Rivista di Estetica,9, 1981, pag.127.

4) Per l’approfondimento di questi aspetti rinviamo a: F.Fratta, Il dovere dell’essere in Michelstaedter, Unicopoli, Milano 1986- M.Recalcati “Etica dell’essere e del dover essere in C.Michelstaedter”, in Nuova corrente, XXXV, 1988, pp.21/36.

5) C.Michelstaedter, Parmenide, Eraclito, Empedocle, SE, Milano 2003, a cura di A.Cariolato e E.Fongaro.

6) Diels-Kranz, I presocratici. Testimonianze e frammenti, Laterza, Bari 1969, a cura di G.Giannantoni – G.Calogero, Storia della logica antica: l’età arcaica, Laterza, Bari 1967.

7) F.Fratta, Op.cit., pp.50/51. A questa interpretazione si è opposto E.Severino che parla, a proposito di questo primato della pratica nella lettura parmenidea di Michelsaedter, di vera e propria equivocazione soggettivistico-nietzschiana. Dello stesso parere è G.Brianese. Al riguardo rinviamo a: E.Severino, La strada ,Rizzoli, Milano 1983, pp.244/247 e a G.Brianese, L’Arco e il destino, Francisci, Abano Terme 1985.

8) E’ proprio il tema della cosmizzazione che rende la persuasione assonante con l’esperienza filosofica e esistenziale di J.Evola, che ha portato a più compiuti sviluppi teoretici la filosofia dell’autoliberazione del goriziano. Per il tema dell’antica Peitho rinviamo a G.Carchia, Retorica del sublime, Laterza, Bari 1990, in cui, tra l’altro, si sostiene che Michelstaedter: “ritrova il cammino delle antiche religioni misteriche presocratiche,nelle quali la scoperta del vero sé coincide con l’atto dell’indiarsi, è quello stato dell’essere che apre la comunicazione con il divino”. Op.cit,pag. 24.

9) Per l’approfondimento di questi aspetti rinviamo a G.Colli, La sapienza greca, III, Adelphi, Milano 1980 e a S.Barbera, “Una filosofia della comunicazione” , in AA.VV., G.Colli, Angeli, Milano 1983.

10) Studioso della scuola romana formatasi attorno al filosofo politico G.F.Lami. Tale scuola, richiamandosi al metodo analitico oxoniense, mira a una rivisitazione del pensiero antico, da compiersi attraverso puntali ricostruzioni filologiche-filosofiche, al fine di mostrare come il bios theoreticos trovi il proprio reale compimento nella dimensione pratico-politica.

11) E: Di Terlizzi, “Eraclito: ordine del giusto e armonia”, in Behemoth, n°34, XVIII, fas.3/4, luglio-dic.2003, pag.22.

12) Per l’ebraismo di Michelstaedter rinviamo a: P.Pieri, La differenza ebraica,Cappelli, Bologna 1984, e a E.Cecchi, “Recensione agli scritti di C.Michelstaedter”, in La Tribuna, 12 sett.1912, ristampato in La Fiera letteraria, VII, 1952, 13 luglio.

13) Il beneficio o dono, come carattere peculiare della persuasione, è evidenziato da G.Carchia nei contributi in precedenza citati.

14) E.Voegelin, “Heraclitos” in Order and History, II, Baton Rouge 1957, pp. 220/240, trad.it. in AA.VV., La scienza dell’ordine, Pellicani, Roma 1997, a cura di G.F.Lami e G.Franchi, pag.229.

15) Data la complessità e la vastità delle problematiche in questione, in questa sede non possiamo che rinviare, tra le altre, alle seguenti opere: M.Heidegger, “La dottrina platonica della verità”, in Segnavia, Adelphi, Milano,1987, pag.159 – M.Heidegger, “Hegel e i greci”, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, pag 375 – M.Heidegger, Seminari,Adelphi, Milano 1992 – M.Heidegger, Parmenide, Adelphi, Milano 1999. In questa ultima opera Heidegger sostiene, in particolare: “E’ proprio perché le epoche posteriori considerano il pensiero dei greci solamente in base ai successivi assunti fondamentali, cioè alla luce del platonismo e dell’aristotelismo, e perché nel far questo interpretano sia Platone sia Aristotele in termini o medievali, o moderni…o neo-kantiani, che per noi uomini d’oggi un ricordo dell’essenza iniziale dell’apparire nel senso dello schiudersi, insomma un pensiero dell’essenza della fysis, è quasi impossibile”. Op.cit,pag.250 Ciò da un lato conferma la prossimità di Michelstaedter e Heidegger, ma d’altro lato, rinvia, alla esigenza voegeliniana di far parlare, con la loro voce, Platone e Aristotele. Esigenza condivisa dalla scuola romana.

16) C.Michelstaedter, La persuasione e la rettorica,Adelphi, Milano 1995, pag.143.

17) C.Michelstaedter, Op.cit., pag.144.

18) Platone, La Repubblica, II 369 b, Laterza, Bari 1967, trad. F.Sartori.

19)M.A.Raschini, La disperata devozione,Cappelli, Bologna 1988, pag. 135.

20) C.Michelstaedter, Op.cit., pag.181.

21) C.Michelstaedter, Op.cit. ,pag.199.

22)C.Michelstaedter, Op.cit, pag.205.

 

 

23) C.Michelstaedter, Op.cit,pag.207.

24) C.Mchelstaedter, Op.cit,pag. 215.

25) C.Michelsaedter,Op.cit, pag.220.

26) G.Carchia, Art.cit, pag.127.

27) A margine di questo exsursus storico filosofico è bene rammentare che anche E.Severino ha privilegiato un approccio teoretico alla Grecia in cui è centrale il riferimento alla filosofia parmenidea. Il filosofo imputa all’abbandono del “Sentiero del giorno” dell’Eleate la scoperta del divenire: il pensiero indicibile su cui si fonda l’intera storia dell’occidente. Anche Severino individua, dopo l’errore di Melisso, Platone come colui che ricondusse le determinazioni ontiche nell’essere, dividendole in due schiere: quelle degli enti divini e quelle degli enti sensibili. Alla luce di ciò, il pensiero ancor oggi dominante in occidente, è quello platonico. L’essere è esperito come instabile: è (ossia non è niente), Ma potrebbe non esser (e cioè tornerà ad essere un niente). Per l’approfondimento di questi temi rinviamo a: E.Severino “Il sentiero del giorno” in Giornale critico della  filosofia italiana, 1965, pp.12/65. E.Severino “Ritornare a Parmenide”, in Rivista di filosofia neo-scolastica, 1964, pp.137/175. Per le differenze rispetto ad Heidegger si veda: E.Severino, La  filosofia futura,Rizzoli, Milano 1989.

28) Rinviamo alla lettura di: E.Voegelin, Eraclito, in Op.cit, Roma 1997 – E.Voegelin, Ordine e storia. La  filosofia politica di Platone, Il mulino, Bologna 1986 , a cura di G.Zanetti – E.Voegelin, Ordine e storia. La filosofia politica di Aristotele, Pellicani, Roma 1999, a cura di G.F.Lami.

29) E.Voegelin, Ordine e storia. La  filosofia politica di Platone, Il Mulino, Bologna 1986, a cura di G.Zanetti, pag.256.In merito al problema del mito e alla lettura voegeliniana di Platone si veda: G.F.Lami, Introduzione a E.Voegelin, Giuffrè, Milano 1993. In particolare rinviamo al cap.III, I simboli nella storia politica, giuridica, religiosa delle civiltà, pp. 171/204, e alla appendice, Il Platone politico di E.Voegelin, pp.209/222.

30) E.Voegelin, Op.cit.,pag.257.

31) E.Voegelin, Op.cit., pag.258.

32) E.Voegelin, Op.cit., pag.265. Sulla centralità della coscienza in questo autore, rinviamo alla prefazione a E.Voegelin, Anni di guerra, Rubettino, Roma 2001, a cura di G.F.Lami.

33) Condividiamo, a proposito di Aristotele, quanto sostenuto da E.Di Terlizzi il quale ricorda: “come l’interpretazione tradizionale del pensiero aristotelico sia fortemente viziata dalla tradizione metafisica successiva a partire dalle traduzioni latine. Uno studio che si pone sempre più urgente è una pressoché totale rilettura del pensiero platonico-aristotelico alla luce dell’oltrepassamento della metafisica in atto oggi”. E Di Terlizzi, Art.cit. , pag.21. Sugli stessi temi rinviamo alla introduzione di G.F.Lami a E.Voegelin, Ordine e storia. La filosofia politica di Aristotele, Pellicani, Roma 1999. Una lettura non dissimile si evince dalle pagine di C.A.Viano Una intempestiva nostalgia di dialettica, Torino 2000. Qui la continuità platonica aristotelica è colta nella introduzione, nel sistema dello stagirita, della teoria dei principi. Ad essa egli sarebbe giunto attraverso la filosofia orale che pervase gli sviluppi dell’Accademia. Aristotele verrebbe così inserito in un percorso unitario che porta da Platone a Proclo. Tale tesi è presente anche in diverse opere. Tra esse rinviamo a Ph.Merlan, Da Platone al neoplatonismo, Milano 1990.

34) M.Heidegger, “Introduzione alla metafisica”, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, pag. 317. Su questo tema rinviamo anche a A.De Benoist, Come si  può essere pagani,  Basaia, Roma 1981.

*Giovanni Sessa, Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter, pp. 264, Settimo Sigillo, euro 26,00