Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il crollo di Wall Street

Il crollo di Wall Street

di Lucio Caracciolo - 17/10/2008

Quando Barack Obama incitava, il 24 luglio scorso aBerlino, ad abbattere "i nuovi muri che ci dividono gli uni dagli altri", non immaginava che due mesi dopo a crollare sarebbe stata Via del Muro, a Manhattan.

Fino a quest`autunno era anche sinonimo della supremazia globale degli Stati Uniti d`America, fondata sulla religione del dollaro. Non più oggi. Il collasso dello shadow bankingè molto più di una catastrofe finanziaria. E` la pietra tombale sul grandioso progetto di centrare il mondo su un polo unico. (...) Per gli ottimisti, la sconsacrazione dei templi della finanza e la recessione economica all`orizzonte si riveleranno una pioggia purificatrice, da cui il capitalismo uscirà più bello e più forte di prima.

Perle Cassandre, siamo al diluvio universale o giù di lì. Perora, limitiamoci ad osservare che la recessione geopolitica americana sembra avvitarsi su se stessa. Fino a mettere in questione le regole del gioco -meglio, l`assenza di regole- su cui poggia l`egemonia degli Stati Uniti nel mondo. (...) Stiamo vivendo la crisi dell`impero a credito.

Formula con cui Limes descriveva quattro anni fa ilparadosso della massima potenzamondiale che è insieme il massimo debitore globale. "Reaganha provato che i deficit non contano", proclamava DickCheney,spiritus recto rdell`amministrazione Bush, almeno nella sua fase propulsiva. L`America poteva permettersi di convivere con il colossale debito estero e con il parallelo deficit pubblico in quanto paradossale espressione della sua egemonia mondiale. Retta dall`intreccio di potenza economica (soprattutto finanziaria), predominio militare (specie nell`aria, sui mari e nel cosmo) e soft power (seduzione culturalpolitica). Sotto lo shock della tempesta finanziaria, gli americani stanno cercando di adattarsi alle incognite del declino.

Sperando sia solo una parentesi in una parabola destinata a superiori mete. Sommando i costi delle guerre incorso a quelli derivanti dal salvataggio dei colossi finanziari in affanno, si arriva alla conclusione che le opzioni del prossimo presidente siano alquanto ristrette, se non inesistenti.

Per mancanza di fondi.

A meno di non cedere alla tentazione di aprire altri fronti bellici, la nuova amministrazione dovrà arrendersi all`ineluttabilità dell`austerità. Tagli al bilancio più che riforme sociali o grandi investimenti infrastrutturali. Sarà arduo per il Pentagono sfuggire alla cura dimagrante. Gli Stati Uniti non potranno né vorranno fare i poliziotti del mondo. L`opinione pubblica, piuttosto parrocchiale, non sembra soffrirne troppo. In quattro anni, la quota di chi non considera prioritario proiettare oltremare i ragazzi in divisa è passata dal 35 al 45%. Dunque, più attenzione ai casi propri e meno a quelli altrui. In parole povere, meno soldi agli"amicie alleati".Acominciare dallapioggia di aiuti diretti o indiretti alle "rivoluzioni colorate", visto che i loro leader passano con Putin (Timoshenko) o gli offrono impensabili occasioni di rivalsa (Saakashvili). La Nato, se sopravviverà al caos afghanolpakistano, dovrà completare il cambio di pelle, da Alleanza atlantica - uno zombie, dopo la guerra fredda- a serbatoio di risorse à la carte da spendere per calmierare la sovraesposizione militare degli Usa nelle aree di crisi.

In tale scenario, siccome la geopolitica aborrisce il vuoto, la ridotta pressione americana aprirà nuovi orizzonti alle potenze emergenti. In particolare agli Stati titolari di fondi sovrani, dalla Cina alla Russia, da Singapore alle petromonarchie islamiche. Fino a ieri Washington si preoccupava che governi stranieri profittassero della sete di dollari di banche e imprese strategiche americane per acquisirne quote rilevanti, finendo per controllarle.

Oggi il timore è rovesciato: che i fondi sovrani non vogliano accollarsi parte dei costi della crisi finanziaria americana. Non c`è segno più evidente della contraddizione implicita nell`impero a credito: le sue ragioni economiche confliggono con quelle geopolitiche. In tempi di emergenza finanziaria, prevalgono le prime. Un gioco a somma zero, in cui a scapitarne è l`influenza degli Stati Uniti nel mondo. Mentre il mondo diventa più influente negli Stati Uniti, molto più di quanto gli americani vorrebbero.