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Incubo di plastica

di Alessandro Marmiroli - 20/10/2008

     
 
 

 
India, Tamil Nadu, città di Chennai. Tra i poveri è sempre esistita la cultura del risparmio, nulla viene gettato, tutto viene riusato e riciclato. I grandi quartieri operai sorti nella rivoluzione industriale così come i villaggi medievali, pur essendo malsani, non erano enormi immondezzai, le vie erano piene di resti di cibo, rottami di vasellame, legno: cose che o si decomponevano o potevano essere riusate in qualche modo.
I bassi redditi impedivano l’acquisto del superfluo (e spesso anche del necessario), ma del resto erano ben pochi anche i beni prodotti dal sistema economico, e anche ciò contribuiva a tener basso il volume dei rifiuti.
Nelle bidonville dell’India, ma cosi anche in Africa e sud America, questa legge non scritta non funziona più, eppure qui vivono i più miseri emarginati del mondo, come possono produrre la montagna di spazzatura da cui sono stato travolto durante la visita ad alcune di esse?
Montagne di immondizia ai lati delle strade, campi e acquitrini soffocati da strati di feccia, case circondate da mura di schifi d’ogni tipo prodotti all'interno e buttati dalla finestra per anni, villaggetti di pescatori con discariche grosse come campi da calcio.
I poveri del XXI secolo producono più rifiuti che in ogni altra epoca: cosa ha inceppato il meccanismo virtuoso di risparmio e recupero che da sempre appartiene a questa classe? Perché i loro quartieri, oltre che poveri, sono diventati fogne a cielo aperto?
È dilagato l’uso della plastica, feticcio dell’era moderna e materia prima d’elezione del consumismo dilagante, qui tutto è di plastica, più che nell'opulento Occidente i paria qui confinati ne sono succubi.
Flaconi, bottiglie, pettinini, grucce, confezioni d’alimenti, mobili rotti, buste, borsine e quant’altro di plastica possiamo immaginare, qui lo troviamo.
La plastica è economica, e anche questo fa sì che  purei poveri possono acquistare in massa beni che prima o non esistevano o erano per loro inaccessibili perché fatti di materiali più costosi.
Tutto rigorosamente usa&getta, tutto rigorosamente gettato dove capita (si calcola che qui il 75% degli oggetti comprati venga buttato entro una settimana), così le bidonville odierne sono scoppiate.
Perché la plastica ha molti grandi difetti: riutilizzare oggetti appositamente progettati per essere usa e getta è difficile e non si decompone che in migliaia di anni, cosi nel frattempo rimane li dove viene gettata, inutile ed eterna.
I lavori stradali sulla via Emilia a Reggio Emilia hanno portato alla luce le stratificazioni dell’antica strada romana succedutesi nel corso dei secoli.  Ebbene, i miei stessi occhi hanno visto risorgere con essa strati di plastica buttata negli anni precedenti e ricoperti ad ogni rifacimento del manto stradale, qui molto frequenti dato il tumultuoso aumento del traffico.
Ci chiediamo spesso che impressione avranno gli archeologi del futuro scavando nei ruderi della nostra epoca, ma anche qui abbiamo bruciato le tappe e siamo diventati gli archeologi di noi stessi, che scavando ritroviamo i rifiuti che credevamo scomparsi anni prima.
La plastica che da anni stava sotto metri di terra sotto le strade è riemersa a ricordare che, nonostante si finga di essercene dimenticati, lei è sempre lì dove è stata gettata, pronta a tornare.
Così come i veleni e i danni ambientali che l’uomo ha creato sono lì, che cominciano a riemergere dall’indifferenza in cui li avevamo nascosti, per ricordarci il prezzo che dobbiamo pagare per il perpetuarsi della civiltà della crescita a tutti i costi.