Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il “denaro di plastica” farà soccombere gli Usa di plastica

Il “denaro di plastica” farà soccombere gli Usa di plastica

di Eugenio Occorsio - 21/10/2008

 
 
Le cifre sono ancora una volta sconcertanti: l'esposizione creditizia in mano alle banche americane connessa con le carte di credito (o i debiti che gravano sui cittadini a seconda del lato da cui si guarda), ha raggiunto i 950 miliardi di dollari. E' più del sofferto e controverso piano Paulson, dal quale peraltro è esclusa. E questi crediti, «quasi tutti sono tossici», sentenzia un rapporto della Innovest Advisors. Per ora, le cifre ufficiali parlano di 41 miliardi di crediti in sofferenza, cifra che salirà a 96 nel 2009. Ma secondo gli esperti delle stesse banche, i numeri cresceranno in modo esponenziale.

Il problema è che come al solito questi crediti sono stati cartolarizzati, e ci sono in circolazione 365 miliardi di dollari di titoli "appoggiati" su di essi, diffusi a pioggia dalle banche negli hedge fund e nei fondi pensione. Si ricomincia. La prossima bolla, dopo le case, i mutui e le azioni, è pronta a scoppiare: quella delle carte di credito. Con un'aggravante: almeno i titoli basati sui mutui, quei 1.300 o più miliardi di dollari che usano i subprime come collateral, hanno qualcosa di solido su cui rifarsi, le case. Quelli basati sulle carte di credito, niente. Per trovare qualcuno che se li compri, i tassi su questi titoli sono alle stelle e ciò malgrado il mercato secondario è paralizzato.

Quella delle carte di credito è una storia tutta americana, anzi la più americana di tutte. Il mutuocasa esiste in tutto il mondo, ma nulla è comparabile alla diffusione negli Stati Uniti delle card, usate anche per prendersi un caffè o comprare il giornale. Le catene di negozi e grandi magazzini fanno a gara per proporre ai clienti "denaro di plastica" per incentivarli a spendere. Le banche fino all'altro giorno non guardavano tanto per il sottile e aprivano generose e illimitate linee di credito a chiunque ne facesse richiesta, e anzi spingevano i clienti a farlo, anche con campagne serrate con Internet e l'email delle quali non c'è più traccia.

Business Week ha raccolto le testimonianze di molti addetti ai callcenter che hanno ammesso che il loro lavoro era espressamente quello di stabilire un rapporto di fiducia con il cliente per potergli infine raccomandare caldamente di usare di più la carta, spesso senza alcun plafond. Il risultato è che giovedì scorso la JP Morgan (una banca che ha il 20% del proprio fatturato in questo business) ha comunicato che il numero delle sue carte di credito in default è aumentato del 45% nel terzo trimestre rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, e questo tasso di fallimenti è in accelerazione. Per ora la banca stima che il 7% dei suoi crediti per le card (totale attuale 155,4 miliardi di dollari) andrà perso e derubricato l'anno prossimo. Ma gli stessi dirigenti ammettono off records che è una stima molto prudenziale.

Negli stessi giorni la Bank of America ha reso noto che 3 dei suoi 184 miliardi di creditcard portfolio si sono volatilizzati. L'anno scorso in rapporto erano la metà. E stiamo parlando di grandi banche: ci sono decine di finanziarie, come la Discover (47 miliardi di crediti in carte) il cui business è totalmente dipendente da questo settore (97,8% in questo caso), che ora stanno tremando. L'American Express, la maggiore delle società specializzate, ha raddoppiato i fondi accantonati per far fronte alle perdite, da 810 milioni a 1,5 miliardi di dollari, e ha reso noto di aver avviato una revisione su larga scala delle procedure di apertura di posizioni, con una diffusa riduzione.

La Visa, altro colosso che fu tra i primi a sperimentare le tecniche del revolving credit quando nato da una costola della BankAmerica nel 1958 cercava spazio in California, sta ora tentando di diversificarsi territorialmente visto che il 75% dei suoi profitti (1,2 miliardi di dollari) viene dagli Usa, il mercato più a rischio. Ma la situazione in America è pericolosa per tutti, operatori e clienti (che oltretutto in questo caso non hanno nessuna assicurazione).

Come ha documentato la settimana scorsa la Federal Reserve, il 65% delle istituzioni finanziarie ha irrigidito gli standard per le aperture di credito: un anno fa la quota era del 5. La Fed ha anche reso noto che il numero dei crediti in sofferenza sulle carte è schizzato del 54% nel secondo trimestre del 2008 rispetto allo stesso periodo del 2007.
Master Card

Com'è comprensibile, l'allarme è scattato, probabilmente in ritardo. Il numero di nuove carte emesse, dopo anni di crescita a due e anche tre cifre, sta precipitosamente franando. Con una serie di risultati a catena. Intanto, l'abitudine degli americani di aprirsi una nuova carta di credito per pagarsi i debiti dei conti di quella vecchia, è sparita: i tassi richiesti sono tali da scoraggiare qualsiasi borrower, cioè chi ha bisogno di soldi. Le banche, in tempi di credit crunch, si tengono stretto il denaro e fanno pagare caro quello che prestano soprattutto ai clienti singoli.

La possibilità di avere un refinancing sul mutuocasa, in pratica i soldi cash erogati a fronte della rivalutazione dell'immobile (che era il metodo tradizionale degli americani di ripagare i debiti sui conti delle carte di credito) è di questi tempi ovviamente scomparsa. Conseguenza di tutto questo, ça va sans dire, è che i consumi hanno ricevuto un ennesimo scossone: senza il denaro di plastica, nessuno ha più soldi da spendere: in America il tasso di risparmio è ampiamente negativo e i debiti dei privati hanno superato il 100% del Pil (il debito pubblico, per la cronaca, dopo il piano Paulson si avvicinerà al 60, e quello estero è del 120).

Secondo uno studio di Capital One, una finanziaria essa stessa emettitrice di carte di credito, questo tipo di debiti degli americani è cresciuto del 75% negli ultimi dieci anni, nei quali gli stipendi sono rimasti sostanzialmente piatti.

L'industria delle carte di credito in America è assai diversa da quella europea. Le carte sono essenzialmente di tre tipi: 1) carte di debito (tipo Bancomat) dove i soldi vengono ritirati immediatamente dal conto e la transazione avviene solo se c'è copertura; 2) carte di credito propriamente dette (in America di chiamano charge cards) che prevedono il pagamento a fine mese, sono soggette a massimale e costituiscono il modello più frequente in Europa; 3) carte revolving, che prevedono che a fine mese non si paga: è come l'accensione di una linea di credito presso la banca: viene fissato un tasso e poi col tempo si pagherà secondo un meccanismo di rateazione senza troppi limiti temporali.
Quest'ultimo è lo schema adottato in America dall'85% dei clienti. Ed è la trappola, l'ennesima dell'industria del debito a stelle e strisce.

Qualcuno ha cominciato a chiamarle revolver per la loro pericolosità. Lo scenario l'ha descritto efficacemente Robert Mannin, direttore del Center for Consumer Financial dell'università di Rochester, in due libri, Credit Card Nation e Living with Debt. Le banche non avevano nessun motivo per affinare gli strumenti di credit scoring, cioè di valutazione della solvibilità del cliente, avevano viceversa tutto l'interesse ad ampliare quanto più possibile questo metodo di finanziamento perché garantiva alti tassi (fino al 19%) e perché spesso il cliente aveva la risorsa del refinancing immobiliare per saldare i debiti.

Le carte "classiche", quelle prevalenti in Europa, a pagamento mensile e senza interessi, costano di più e sono snobbate dagli americani a favore delle carte revolving che generano una massa crescite di crediti: quest'ammontare è stato cartolarizzato in questi anni nel 70% dei casi. Ora tutto il meccanismo si è rotto e ha creato l'ennesima "bolla" di debiti/crediti in sospeso. In Europa per fortuna questo schema è quasi sconosciuto. Si segue parzialmente solo in Gran Bretagna, e in misura ancor minore in Turchia e Israele. Questo è il motivo per cui il business del denaro di plastica resta solido da questa parte dell'Atlantico. «Noi continuiamo a registrare tassi di sviluppo molto confortanti», conferma Gaetano Carboni, general manager dell'European Business Development di Mastercard dal suo ufficio di Bruxelles. «Le carte di credito e di debito sono sempre più utilizzate, e noi siamo sempre cresciuti negli ultimi anni a tassi ben superiori alle due cifre».

Tornando all'America, c'è ancora un altro aspetto, forse il più inquietante di tutti. Dai fondi pensione privati, i cosiddetti 401k, che qui com'è noto costituiscono la totalità dei retirement plan, è possibile prendere "in prestito" una certa somma, anche consistente, da usare per "ricaricare" la carta di credito. La promessa è di reintegrarla al più presto, se non altro per tornare a usufruire delle agevolazioni fiscali dei 401k. Inutile dire che sempre più di questi soldi non sono mai tornati nel fondo. Anche in Italia esiste l'anticipo della liquidazione, ma è espressamente destinato all'acquisto di casa, quindi bene o male ad un investimento reale. In America invece i soldi vengono dati per qualsiasi spesa. L'importante è avere una carta di credito.