Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il libro della settimana: Jean Baudrillard, La società dei consumi

Il libro della settimana: Jean Baudrillard, La società dei consumi

di Carlo Gambescia - 22/10/2008

Il libro della settimana: Jean Baudrillard, La società dei consumi, il Mulino, Bologna 2008, pp. 241, euro 15.00 – www.mulino.it

Jean Baudrillard, pur essendo morto nel 2007 a quasi ottant’anni, è attualmente temutissimo dagli studenti di Scienza delle Comunicazioni. Giovani cresciuti a pane, ItaliaUno e Mtv, con le camerette zeppe di gadget audiovisivi, Pc portatili, poster e peluches. Fragili e cinici al tempo stesso, probabilmente viziati: post-moderni insomma.
Dimenticavamo. Per quale ragione gli studenti temono Baudrillard? Perché scrive difficile. E se i professori lo mettono in programma, la bocciatura è sicura…
Eppure anche i più asinelli dovrebbero essergli grati, perché Baudrillard aveva previsto la loro infanzia e adolescenza nel nuovo Paese dei Balocchi. Veicolato da mass media dal sorriso ancora più mellifluo di quello dell’ Omino di Burro, che traghettava i bambini “discoli” nella collodiana città dei giochi, dove le scuole restavano sempre chiuse… Ma che li trasformava, appunto, in asinelli.
E questo in un libro, che ancora oggi rimane l’opera più riuscita del sociologo francese: La società dei consumi, opportunamente ripubblicato dalla casa editrice il Mulino ( Bologna 2008, pp. 241, euro 15.00) e ben prefato da Roberta Sassatelli, studiosa di sociologia dei consumi. La quale, giustamente, ricorda che il testo uscì in Francia nel 1970, e sei anni dopo in Italia. Dove in quel periodo - ma questa è una nostra osservazione - alle armi della critica nei riguardi della società capitalistica, si era sostituita, purtroppo, la critica delle armi…
Ciò però non significa che Baudrillard debba essere considerato un cattivo maestro. Tutt’altro. Resta un intellettuale finissimo che aveva individuato la deriva consumistica e post-moderna della società capitalistica. Anticipando di sei anni, il bellissimo testo di Daniel Bell The Cultural Contradictions of Capitalism (1976). Il quale, da sociologo conservatore americano, sosteneva più o meno le stesse cose: il capitalismo consumista ha tradito la sua etica puritana, fondata sul risparmio e sui nobili ideali di vita, eccetera.
Con la differenza, che per Baudrillard, il capitalismo era da buttare, anzi si “sarebbe buttato da solo” a causa delle diseconomie, soprattutto sociologiche (povertà, anomia, eccetera) Ma ascoltiamolo: “Come la società del medioevo si reggeva in equilibrio su Dio e sul diavolo, così la nostra si regge sul consumo e sulla denuncia. Ancora attorno al diavolo potevano organizzarsi eresie e sette di magia di nera. La nostra magia è invece bianca: nessuna eresia è possibile nell’opulenza… Attenderemo [perciò] le irruzioni brutali e le disgregazioni improvvise che, in maniera tanto imprevedibile, ma certa, quanto il maggio del 1968, manderanno in frantumi questa messa bianca”. In realtà, poi, le “irruzioni brutali” si sono trasformate, per i sessantottini, in assunzioni prestigiose. Ma questa è un’altra storia…
Per contro, secondo Bell, si doveva recuperare il capitalismo nella sua versione classica. Semplificando: quella puritana; tutta casa e chiesa, In certo senso per dirla con Baudrillard, il capitalismo doveva riscoprire Dio… Ma in che modo? Puntando, scriveva Bell, sulla moralizzazione religiosa dei consumi, il senso del dovere, il risparmio, il ritrovato gusto di un lavoro onesto, la famiglia, eccetera. Concetti, rispettabilissimi, e tuttora difesi nell’ambito di certo conservatorismo protestante e anche cattolico.
Ma in realtà avevano torto tutti e due. Il capitalismo è tuttora vivo e vegeto, perché è riuscito, almeno finora, a conciliare alta produttività e alto consumo: Dio e diavolo, giocando proprio su quella cultura dell’immaginario consumistico, legata al principio del “lavora e divertiti”: dell’integrati e disintegrati al tempo stesso… ma “con juicio”. Ben teorizzata, da Baudrillard, che però - ecco la controindicazione - ha prodotto quei giovani di cui sopra: fragili e cinici al tempo stesso. In certa misura, come nei film gialli, anche in quello “capitalistico” il finale resta aperto… O almeno si spera.
Va qui detto che le intuizioni di Baudrillard hanno sicuramente rappresentato per almeno due generazioni di sociologi un costante punto di riferimento: pioniere dell’antieconomicismo, acuto indagatore, come abbiamo visto della sociologia dei consumi, sottile interprete delle più complicate forme simboliche di rappresentazione sociale. E certe sue brillanti intuizioni oggi le ritroviamo nei libri di Caillé e Latouche.
Negli ultimi anni della sua vita, tuttavia, come capita talvolta anche ai grandi, il suo pensiero si era fatto meno creativo. Alle ottime sintesi degli anni Settanta-Ottanta del Novecento, seguivano interventi più saggistici, alcuni brucianti, si pensi a quello sull'America, altri meno originali, come gli scritti sull’immaginario postmoderno, e sui media in particolare. Il tutto esposto in uno stile di scrittura sempre più complicato se non oscuro, molto simile, per fare un esempio, a quello di Enrico Ghezzi, il critico cinematografico.
Ma c’è dell’altro. Non possiamo, infatti, non accennare anche ai limiti di Baudrillard. Certo, si parla di carenze attribuibili a un pensatore comunque importante.
In primis, il suo approccio, come dire, “macchinale” alla società: Baudrillard, come del resto si scopre leggendo La società dei consumi, non si è mai stancato di ripetere, da buon “post-strutturalista” ma in libertà vigilata, che la società in generale è una “macchina” che attraverso i suoi simboli, dipendenti da precisi rapporti di produzione, o comunque strutturali, fagocita gli uomini. Trasformandoli in automi che obbediscono a simulacri: a “rappresentazioni di rappresentazioni”...
Ora questo approccio, che può valere per lo studio della società contemporanea, non può sicuramente essere utilizzato per quello della società in generale. Che non è una macchina, ma frutto di un delicato equilibrio interattivo tra cultura (i“simulacri”…), istituzioni e uomini. La società non “produce” uomini: condiziona, ma non determina mai il comportamento umano, come mostra anche la storia.
Sotto questo profilo Baudrillard dice troppo, perché costruisce un modello generale di società post-moderna, e poco, perché questo modello generale di società non è astorico, ma particolare, dal momento che riflette solo certi caratteri, “post-moderni”, della società contemporanea e non della società in generale.
In parole povere: Baudrillard non distingue tra ciò che cambia e ciò che è immutabile in una società. Pareto e Sorokin che su questa distinzione hanno costruito la scienza della sociologia, se redivivi, lo criticherebbero senza pietà… Ma, tra i grandi sociologi viventi, sarebbe interessante sentire a riguardo il nostro Alberoni, da sempre dedito allo studio delle istituzioni (quel che non muta) e dei movimenti sociali (quel che porta al mutamento).
Si pensi, ad esempio, a al Baudrillard che nel maggio del 2005 a proposito dei no all’approvazione della costituzione europea, contrappose le élite nazionali, favorevoli, al popolo, invece istintivamente contrario (Il no alla costituzione europea è una risposta istintiva, una reazione di sfida al disprezzo del potere per la volontà dei cittadini ,in Libération, ripreso da “Internazionale” 27-5-2005 -www.astridonline.it/eu/Contributi/RassegnaS/internazionale_270505_Baudrillard.pdf - ).
Che cosa vogliamo dire? Che se la contrapposizione può ancora essere accettata, non può invece essere condivisa la spiegazione che ne dava Baudrillard: il no, a suo avviso, era frutto di un egoismo consumistico, alimentato simbolicamente dallo stesso sistema, e tuttavia tacitamente accettato, più o meno inconsapevolmente, da élite e popolo insieme.
Ora, non continuiamo a capire come Baudrillard potesse poi sostenere, contraddicendosi, che dal no si sarebbe sviluppata una opposizione diffusa al nuovo ordine mondiale basato su guerre e consumismo
Perché delle due l’una: se élite e popolo parlano lo stesso linguaggio dell’ egoismo, il “cambiamento” non era e non è possibile; se élite e popolo parlano linguaggi diversi (le élite quello dell’egoismo, il popolo quello dell’altruismo), allora il “cambiamento” era ed è possibile. Tuttavia, in questo secondo caso, Baudrillard doveva spiegare come una “macchina sociale” che “produce” inesorabilmente automi e simulacri (“rappresentazione di rappresentazioni”), potesse iniziare all’improvviso a “produrre”, uomini creativi e valori altruistici.
Si tratta di una spiegazione importante, cruciale, che non riguarda solo la teoria sociologica, ma per usare una parola grossa, il ruolo della libertà umana nella storia.
Certo, è il problema dei problemi. Ma al quale un pensatore della statura di Baudrillard si è sottratto. Purtroppo.