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L'attaccamento alla roba ucciderà la terra

di Marcello Cini - 22/10/2008

 


 

I primi colonizzatori - ci spiega Jared Diamond nel suo splendido libro Collasso - approdarono, un migliaio di anni fa, sull'Isola di Pasqua, un lembo di terra lontano migliaia di chilometri dalle altre terre emerse, denso di foreste, circondato da acque pescose, in grado di sostenere una popolazione crescente, che in effetti arrivò a contare, tre o quattrocento anni dopo, qualche decina di migliaia di persone. Si sviluppò così una società complessa che si dedicò a una competizione sfrenata fra i clan che la componevano sul piano della costruzione di simboli del potere terreno e religioso sempre più arditi e costosi in termini di risorse umane e naturali. La deforestazione si scatenò perciò a un ritmo crescente rendendo via via il clima più arido e il terreno più improduttivo. L'abbattimento degli alberi di alto fusto rese più difficile la costruzione di canoe robuste in grado di sfruttare le acque più distanti e pescose. La popolazione cominciò a diminuire, e il cibo a scarseggiare. Alla fine, si diffuse il cannibalismo, si dissolsero le relazioni sociali che regolavano la comunità e i simboli della vecchia religione caddero in rovina. 
De te fabula narratur , diceva non so più quale autore latino, ossia: Si sta parlando di te. Viene infatti spontaneo vedere in questa vicenda la premonizione di ciò che avverrà al nostro pianeta e alla sua popolazione se continua per qualche decina di anni a consumare e a distruggere le risorse, irremediabilmente limitate, del suo ecosistema. Con conseguenze del resto previste e quantificate nel noto rapporto redatto già qualche anno fa dal principale consulente economico di Tony Blair, Nicholas Stern, nel quale si calcola, conti alla mano, che, se si continua a non intraprendere alcuna azione significativa per ridurre l'emissione di CO2 nell'atmosfera, i danni del riscaldamento globale potranno arrivare nel giro di quindici, al massimo venti anni, a un tasso annuo tra il 5% e il 20% del PIL globale. Una cifra cioè molte volte superiore alla spesa, valutata attorno all'uno percento, necessaria per adottare misure preventive da iniziare subito. 
L'assunzione da parte della Commissione europea dell'obiettivo cosiddetto dei 20-20-20 per l'anno 2020 (che esprime le percentuali di riduzione della emissione di CO2 nell'atmosfera, di riduzione dei consumi energetici e di crescita nell'impiego di energie rinnovabili), proposto tre anni fa dal Cancelliere tedesco Angela Merkel, per contrastare il mutamento climatico rappresenta una svolta storica.
Per apprezzare appieno la radicalità di questa svolta va infatti sottolineato che oggi la stragrande maggioranza della comunità scientifica internazionale è concorde nell'accettare come dimostrata la tesi dell'IPCC (l'organismo delle Nazioni Unite per lo studio del cambiamento climatico) secondo la quale interventi concreti e massicci sono necessari per contrastare, subito, l'aumento della temperatura globale del pianeta e impedirne, o attenuarne, le conseguenze devastanti sul clima. 
Sono conclusioni che capovolgono definitivamente il giudizio espresso nel 1992 dai maggiori esponenti della scienza mondiale nel cosiddetto Appello di Heidelberg che bollava l'emergente cultura ecologica come "ideologia irrazionale che si oppone al progresso della scienza e nuoce allo sviluppo economico e sociale".
Possiamo dunque oggi dire "meglio tardi che mai", ma dobbiamo anche dire che meglio ancora sarebbe stato se la verità fosse stata riconosciuta prima. Dovrebbe dunque essere arrivato finalmente il momento di passare dalle parole ai fatti.
Ed ecco, a questo punto, che arriva il colpo di scena. Berlusconi parte lancia in resta contro l'Europa, accusando la Comunità di voler imporre costi insostenibili alla nostra economia per raggiungere obiettivi di dubbia efficacia. Il TG1 di lunedì sera apriva addirittura con il titolo Altolà dell'Italia all'Europa sul clima . Che dobbiamo dire? Se non fosse in gioco la vita quotidiana della maggioranza degli italiani per i prossimi decenni dovremmo trattarla come l'ennesima trovata pubblicitaria del Cavaliere. E' difficile aggiungere qualcosa ai commenti che in questi giorni sono apparsi numerosi sui giornali e in Tv. Ma visto che i media sono ormai in gran parte allineati con il pensiero (e il portafoglio) del nostro piccolo Putin, cercherò di contribuire a far sentire la flebile vocina della sinistra. 
Partiamo dagli aspetti più sconcertanti per l'immagine del nostro paese. Già suona strano che il nostro governo abbia cercato l'appoggio di nove stati, Polonia in testa e Bulgaria in coda, che sono tutti ex satelliti o ex repubbliche della defunta Unione Sovietica. Che cosa abbiamo in comune con loro? In teoria quasi nulla. Per quanto riguarda l'economia, la nostra, per quanto in cattive condizioni, è pur sempre quella di un paese che è stato ai primi posti del G8. Collocarci noi stessi in compagnia dei paesi più disastrati dell'Unione non può certo giovare alla nostra immagine internazionale. E comunque, se è per questo, anche il farci rappresentare dalla Prestigiacomo per discutere con gli altri partner europei di cose serie come ambiente, clima ed economia non contribuisce certo a dare al nostro paese un tocco di attendibilità. Soprattutto se ci si presenta con i conti truccati. 
Ma anche gli argomenti di sostanza presentano aspetti insostenibili a lume di logica. Come si fa, senza cadere nel ridicolo, a rispondere al commissario all'ambiente Dimas - che si stupisce perché l'Italia, il paese del sole e del vento, si rifiuta di investire oggi nelle energie rinnovabili lasciando alla Spagna il ruolo di paese leader dell'eolico e alla Germania il primato nelle tecnologie del solare - che preferiamo cominciare a progettare oggi, perché sia pronta, se va bene, nel 2020, qualche centrale nucleare del vecchio tipo di quelle già in funzione ormai da venti o trenta anni negli altri paesi industriali dell'Occidente ?
E come si fa ad avere la faccia tosta di porre i bastoni fra le ruote - con la scusa che dobbiamo prima trovare i soldi per far comprare più automobili agli italiani - a un'Europa che una volta tanto si presenta unita attorno ai suoi paesi più forti, per indicare al resto del mondo la possibilità di una strada indirizzata a scongiurare i devastanti cambiamenti climatici che si profilano all'orizzonte?
Viene allora spontaneo chiedersi come si possano spiegare il cumulo di sciocchezze, l'ostentazione di ignoranza, la frivola superficialità che caratterizzano questa epica battaglia di Berlusconi contro l'Europa. Senza alcuna pretesa di fornire la risposta giusta mi sembra di poter individuare due diverse cause di questa vicenda. Da un lato l'incapacità del capitalismo italiano, fin dall'unità d'Italia, di costruire solide basi per lo sviluppo industriale ed economico del paese. Non è un caso che anche in questa vicenda gli industriali italiani non abbiano visto vent'anni fa nelle nascenti tecnologie delle fonti energetiche rinnovabili e dell'efficienza energetica le basi di uno sviluppo futuro, restando così ancorati a un modello produttivo fondato sulle tecnologie energivore, pesanti e inquinanti che risalgono addirittura alla fine dell'800 e alla prima metà del ‘900. Hanno perso il treno e preferiscono andare sul sicuro chiedendo allo Stato di pagare le grandi opere (centrali nucleari, ponte di Messina, termovalorizzatori) che possano assicurare profitti lauti e sicuri a spese di Pantalone. 
La seconda causa è lo scarsissimo senso civico, la mancanza di rispetto per i beni pubblici, l'attaccamento esclusivo alla propria roba e la conseguente sfiducia per la politica come gestione degli interessi della collettività che caratterizza la storia e la cultura diffusa degli italiani. Ne ha ricostruito le tracce secolari in uno studio memorabile - da Leon Battista Alberti e Niccolò Machiavelli fino ai proverbi popolari di tutta la penisola - l'antropologo culturale Carlo Tullio-Altan nel suo memorabile libro Ethnos e Civiltà . Non c'è dubbio allora che Silvio Berlusconi rappresenta una sintesi mirabile di questi difetti nazionali e costituisce una solida garanzia per tutti coloro che detestano l'idea di spendere soldi per un bene pubblico per eccellenza come l'ambiente. 
Non posso tuttavia non dirla tutta. Non è che lo schieramento di centrosinistra - a partire dalla sua ala comunista fino a quella centrista - sia stato molto più sensibile ai temi ambientali. Non credo che Prodi si sia molto documentato durante i suoi cinque anni di governo, sull'effetto serra. Nei trent'anni trascorsi dai primi allarmi lanciati dai movimenti nati in America per salvare la Terra, il movimento ecologista è stato visto dalla sinistra come una preoccupazione di intellettuali snob. Qualcuno ancora ironizzava recentemente sul Manifesto sui "crollisti" che sostengono l'idea "che il capitalismo, assai più gravemente che da un antagonismo di classe... sarebbe minato da un rapporto contradditorio addirittura con la «natura»: la sua propensione alla «crescita illimitata», infatti, prima o poi dovrebbe indurlo a sbattere il muso contro la finitezza del sistema Terra e delle sue risorse". 
Non è che ancora tra noi c'è chi tifa per Berlusconi contro l'Europa?