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Tra Thailandia e Cambogia spirano venti di guerra

di Manuel Zanarini - 23/10/2008

 

 

Mercoledì 15 Ottobre, alcuni scontri tra truppe Cambogiane e Thailandesi si sono registrati al confine tra i due Paesi, nella provincia di Si Sa Ket, nel Distretto di Kantharalak. Il risultato degli scontri a fuoco, avvenuti esattamente a Phu Ma Khua e a Pha Mor E Daeng, è di due militari cambogiani uccisi, mentre sette tailandesi e altri sette cambogiani sono rimasti feriti.
Le versioni sull’accaduto sono ovviamente contrastanti, ma pare che l’esercito cambogiano abbia aperto il fuoco sulle truppe thailandesi presenti al confine con la Cambogia per sminare le strade, dopo la fine della guerra civile cambogiana tra le varie fazioni di Khmer. A quel punto le due truppe si sarebbero scambiate lanci di missili e colpi di artiglieria per circa 10 minuti. La tensione era già alta in zona, basta pensare che il 3 Ottobre c’era già stato un piccolo conflitto a fuoco che aveva causato 4 feriti, 2 per entrambi gli schieramenti. A questo punto l’esercito Thailandese ha schierato diversi caccia vicino al confine con la Cambogia e ha predisposto un piano di evacuazione per i circa 1500 cittadini thailandesi che vivono oltre confine. Attualmente i governi dei due paesi hanno avviato trattative di pace, che però procedono abbastanza lentamente, soprattutto per la difficoltà nel riconoscere istituzioni internazionali imparziali in grado di fare da intermediari; infatti quella più adatta sarebbe la “Association of Southeast Asian Nations”, ma alla Thailandia è attualmente assegnato il ruolo di Presidenza.

Qual è il motivo del contendere? In realtà si tratta di un piccolo territorio conteso da tempo dalle due nazioni, ma sul quale sorge il tempio Phra Viharn (ปราสาท|ปราสาท เขา|เขา พระ|พระ วิหาร|วิหาร, in lingua Thai), che significa il Tempio Sacro, in thailandese. E’ uno dei templi più antichi dell’epoca Khmer, ed è da sempre al centro di discussioni territoriali tra i due paesi.
Infatti, nel 1904 il Siam (l’antico nome della Thailandia) e le autorità Francesi (che avevano colonizzato la Cambogia) giunsero ad un accordo per disegnare il confine tra i due paesi, in quella zona particolarmente impervia. Il criterio che venne concordato fu quello geografico: il confine sarebbe stato rappresentato dai monti Dângrêk, facendo quindi rientrare il tempio in territorio thailandese.
Successivamente, nel 1907, la Francia, in modo unilaterale, disegnò una mappa, secondo la quale il terreno su cui sorgeva il tempo rientrava nei confini della Cambogia, da lei occupata. Ma di fatto non reclamò mai l’autorità sul territorio, stabilmente occupato dall’esercito del Siam. Finita l’invasione imperialista francese, nel 1954, l’esercito Thai occupò anche il tempio, suscitando le proteste della neo-liberata Cambogia. Quest’ultima, nel 1959, vista l’incapacità militare di rientrarne in possesso, chiese l’intervento alla Corte Internazionale di Giustizia, affinché ne riconfermasse l’autorità. Per promuovere la causa venne assunto l’avvocato americano Dean Acheson, noto membro del Bilderberg Group. La Cambogia chiedeva che non si tenessero conto questioni come la tradizione, la discendenza dell’impero Khmer, o altre, fatto eccezione il fatto che la mappa tracciata unilateralmente dalla Francia, dovesse essere considerato come unico documento valido. Di contro, la Thailandia rispondeva che l’unica mappa da tenere in considerazione era quella disegnata di comune accordo con la Francia e che individuava come confini quelli geografici; inoltre, aggiungeva che non ne era mai stata rivendicata la “proprietà”, in quanto il proprio esercito ha sempre tenuto sotto controllo la zona.
 Il 15 luglio 1962 la corte decise, con verdetto di 9 a 3, che il tempio apparteneva alla Cambogia e, con un verdetto di 7 a 5, che la Thailandia avrebbe dovuto restituire tutte le sculture rimosse in passato; accogliendo le tesi di Acheson, e con lui del Bilderberg Group, che appoggiava la Cambogia, ricca di risorse minerarie non sfruttate.
Le reazioni non tardarono ad arrivare, con Bangkok che decise di boicottare le riunioni della South-East Asia Treaty Organization, in segno di protesta per l’ingerenza statunitense. Inoltre, in tutta la Thailandia si registrarono numerose manifestazioni di protesta popolare. Alla fine, comunque, Bangkok cedette, e nel 1963 la Cambogia riuscì a riappropriarsi del tempio. Il capo di stato cambogiano, il Principe Sihanouk, concesse particolari condizioni alla Thailandia, come il potersi tenere i cimeli prelevati in precedenza e i cittadini Thai che si recavano in visita al tempio non dovevano esibire il passaporto.
Nonostante apparentemente la questione fosse risolta, la situazione sul terreno era diversa. Tutto il territorio a nord del tempio restava, e lo è tuttora, sotto il controllo dell’esercito Thailandese; l’accesso al tempio dalla Cambogia è praticamente impossibile, tanto che i turisti entrano dal tempio solo dal territorio Tailandese; durante quasi tutta la guerra civile cambogiana, l’accesso al tempio era garantito dall’esercito di Bangkok, ecc. In sostanza, era una sorta di protettorato non riconosciuto della Thailandia in un territorio formalmente assegnato alla Cambogia.

La questione era rimasta stabile fino a qualche anno fa, quando la Cambogia decise di chiedere all’UNESCO, di inserire il Khao (tempio in lingua Thai) Phra Viharn tra i “Patrimoni dell’Umanità”. Bangkok protestò che così facendo, la Cambogia accampava pretese su un territorio non suo. La proposta fu ritirata e ripresentata quest’anno, dopo un accordo con la Thailandia.
Ma la situazione è tornata tesa a causa della situazione di crisi politica interna alla Thailandia. Infatti, come abbiamo già scritto, le proteste dell’opposizione interna, sono sostenute dall’esercito, il quale ha ovviamente interesse a non cedere di fronte alla Cambogia. Il nuovo governo di Bangkok, guidato dal Primo Ministro Somchai Wongsawat, parente di Thaksin Shinawat, ha probabilmente tutto l’interesse a mostrarsi propenso alle richieste degli ambienti militari, per isolare i partiti dell’opposizione.
La situazione è tornata tesa dopo che la Cambogia chiuse le frontiere, il 22 Giugno scorso, in risposta alle manifestazioni tenutesi a Bangkok, e sostenute dal magnate Sonthi Limthongkul, leader anti-Thaksin, che accusava il primo ministro Samak Sudaravej di aver ottenuto concessioni d'affari in Cambogia dopo averle ceduto i territori contesi. A seguito di tale tensioni, e del primo piccolo scontro di frontiera, Lunedì 15 Ottobre, si è tenuta una riunione a Phnom Penh, la capitale cambogiana, tra il Primo Ministro locale, Hun Sen, ed il Ministro degli Esteri Tailandese, Sompong Amornvivat, in cui il primo dava un ultimatum all’esercito tailandese affinché abbandonasse l’aera contesa nel giro di 24 ore. Come risposta ottenne una frase sibillina: “Non pensi di farci paura, è come se ci chiedesse di andarcene da casa nostra”. Due giorni dopo, sono avvenuti gli scontripiù gravi!

Sul fatto che il tempio appartenga o meno alla Thailandia ognuno è libero di farsi un’idea; anche se personalmente ritengo che le volontà di una forza imperialista come la Francia, e ancor meno di gruppi di pressione mondialisti come il Bilderberg Group, non debbano essere presi in nessuna considerazione. Inoltre, vorrei evidenziare che anche uno studio pubblicato dall’agenzia di stampa tedesca Deutsche Presse-Agentur , pubblicato dal “Bangkok Post” il 2 Luglio scorso, evidenziava come effettivamente il tempio rientrasse nel territorio thailandese.
Infine, penso che l’epilogo della vicenda dipenderà molto dalla crisi politica interna a Bangkok; infatti, l’esercito svolge un ruolo fondamentale nel supporto alle proteste anti-governative, ne sia prova che il presidio più duraturo dell’opposizione, al Makkhawan Rangsan Bridge è stato sciolto dai manifestanti proprio poco dopo gli scontri alla frontiera.
 Quindi, il governo potrebbe decidere di giocare la carte dello scontro con la Cambogia, di facile vincita, per attirare l’esercito dalla sua parte ed isolare e quindi porre tramine, al limite con la forza, alla protesta delle opposizioni.