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Il prezzo della natura

di Marina Forti - 23/10/2008


 

Cos'ha da dire l'Unione mondiale per la conservazione della natura in merito alla crisi finanziaria che sta facendo tremare il mondo (e le economie reali)? Parecchio, come si legge nei resoconti del congresso tenuto giorni fa dalla stimata organizzazione ambientalista: perché la crisi può diventare l'occasione per un radicale ripensamento dell'intera economia mondiale: a cominciare dalla necessità di dare un valore (nel senso di mettere un prezzo) al patrimonio comune di risorse naturali, dalle barriere coralline alle foreste. E questo sarebbe il punto di partenza per un radicale ripensamento dell'economia.
«Gran parte dei nostri beni più preziosi non sono contabilizzati», ha dichiarato ad esempio Robert Costanza, professore di economia ecologica alla University of Vermont (così leggiamo nel resoconto pubblicato ieri dall'agenzia Reuters). Secondo lui la crisi finanziaria è davvero un'occasione per ripensare l'economia. Dare un valore è il primo punto: gli agricoltori sanno quanto vale la terra perché possono quantificare i raccolti che produce, spiega, ma gran parte del mondo naturale è considerato «gratis»: le aree umide che purificano l'acqua, gli oceani in cui si pesca, le foreste che assorbono anidride carbonica e proteggono i bacini acquiferi (e finiscono contabilizate solo se trasformate in bei tronchi tagliati per l'industria del legname). Diverse voci, al congresso della Iucn, hanno sostenuto che bisogna invece guardare agli ecosistemi - e alle risorse che forniscono - come un «capitale naturale», a cui assegnare un valore ben preciso: questo aiuterebbe a cambiare l'ordine delle priorità, proteggere la natura dalla pressione crescente degli insediamenti umani, lo sfruttamento, l'inquinamento e il clima. E' la eco-nomia: come far entrare il «capitale naturale», in cifre, nel conto economico - dichiamo nei conteggi del Prodotto interno lordo delle nazioni. «Il ventunesimo secolo sarà dominato dal concetto di capitale naturale, proprio come il 20esimo è stato dominato dal capitale finanziario», ha detto Achim Steiner, capo del Programma dell'Onu per l'ambiente (Unep), sottolineando che «siamo al punto in cui ognuno dei sistemi naturali che ci sostiene è minacciato». Si tratta di assegnare un valore a una cordigliera alpina, o a un arcipelago? Piuttosto, di dare un valore ai «servizi tratti dalla natura» (nature-based services), dice Costanza - che una decina di anni fa aveva avviato un dibattito internazionale sul tema elaborando una stima: i servizi tratti dalla natura ammontavano a 33 trilioni di dollari l'anno, circa il doppio del Pil mondiale del tempo.
nel dibattito che ne è seguito, molti economisti hanno considerato sovrastimata la cifra di 33 miliardi di miliardi di dollari l'anno. Altri hanno detto che non si può «monetizzare» il valore infinito della natura. Obiezioni numerose e anche sensate: resta però il suggerimento di ripensare i principi dell'economia, includere nei conti ciò che finora è rimasto fuori, presuntamente gratuito - o i danni inflitti all'ambiente e alla salute umana ad esempio dall'inquinamento, costi scaricati sulla comunità. «La crisi finanziaria è un altro chiodo nella bara» di un sistema che cerca la crescita economica mentre ignora il più generale benessere umano, concludeva Johan Rockstrom, direttore del Stockholm Environment Institute.