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Iraq, L’America sta fallendo nei suoi obiettivi riguardo al petrolio iracheno?

di Atul Aneja - 23/10/2008

La grandiosa iniziativa dei neocon americani per controllare il petrolio iracheno sta fronteggiando la sua crisi più seria.

 


Il 23 agosto, il ministro iracheno del Petrolio, Hussain al Shahristani, è volato fuori dall’Iraq diretto in Cina. Cinque giorni dopo, ha firmato un contratto da 3 miliardi di dollari con la compagnia statale China National Petroleum Corporation (CNPC). Il contratto ripristinava un precedente accordo, firmato nel 1997, per lo sfruttamento del giacimento di Ahdab, situato 160 kilometri a sud est di Baghdad.

Contrariamente alle previsioni del periodo successivo all'invasione, il primo contratto straniero per lo sfruttamento di un giacimento iracheno di petrolio non è andato a una delle major petrolifere occidentali. Nei fatti, l’accordo con una compagnia cinese ha mandato un segnale che gli iracheni potrebbero aver iniziato a resistere fortemente agli interessi petroliferi occidentali, mirando a un libero sfruttamento delle proprie gigantesche risorse energetiche. Tra poco sapremo se l’accordo con la Cina sarà un precedente che farà deragliare il progetto americano sul petrolio iracheno.

Il contratto con la Cina è scaturito da una forte politica nazionalista sul petrolio che il governo del Primo Ministro Nuri Al Maliki ha iniziato a perseguire recentemente. In una intervista della BBC, mandata in onda in giugno, il Dr. Shahristani - ex scienziato nucleare e ora figura chiave di questa politica – ha svelato i principi alla base del nuovo approccio iracheno. Ha sottolineato che in futuro la compagnia a gestione statale Iraq National Oil Company (INOC) vorrebbe guidare lo sviluppo delle risorse petrolifere irachene. Il petrolio iracheno rimarrebbe sotto la sovranità irachena, e i partecipanti stranieri non avrebbero alcun diritto di proprietà su di esso. Ha aggiunto che le compagnie straniere sarebbero autorizzate a cooperare con la INOC, e sarebbero pagate con una quota per i loro servizi. La presenza straniera sarebbe di natura tecnica, temporanea, e a termine con la scadenza dei contratti firmati.

Niente più PSA
 
Ragionando sulla politica energetica irachena, il Dr. Shahristani ha osservato: “Non sto dicendo che stiamo andando verso una completa nazionalizzazione della politica petrolifera irachena. Quello che sto dicendo è che l’ Iraq avrà il controllo sulla sua ricchezza nazionale. L’Iraq va verso la gestione della propria industria petrolifera, prioritariamente tramite la Iraq National Oil Company, e se avrà bisogno di aiuto da parte delle compagnie petrolifere internazionali, saranno invitate a venire e a cooperare con l’Iraq National Oil Company a condizioni e termini accettabili all’Iraq, e che generino i maggiori introiti per gli iracheni”. L’ Iraq non firmerebbe con le compagnie occidentali Production Sharing Agreements (PSA) - un concetto sviluppato negli anni '60 - che permetteva ai partecipanti stranieri di trarre profitti dalla vendita del petrolio nella cui estrazione erano stati coinvolti.

“La Costituzione afferma chiaramente che il petrolio e il gas sono proprietà del popolo iracheno. Nessuno può condividerne la proprietà con il popolo iracheno”, ha detto il Dr. Shahristani. Al posto dei PSA, l’Iraq concluderebbe i più favorevoli Contratti di servizio con i partner stranieri. “Nei contratti di servizio, non c’è la condivisione della produzione…A questo punto, lo sviluppo dei nostri principali giacimenti, che contengono oltre il 70% di tutte le riserve accertate verrà fatto dall’Iraq National Oil Company e da compagnie petrolifere internazionali che sono interessate a lavorare con essa. Devono accettare I termini che la INOC offrirà loro, il che significa un contratto di servizio”. I commenti del Dr. Shahristani arrivano in seguito a un aspro dibattito in Iraq su una controversa nuova legge sul petrolio che avrebbe spalancato le porte all'irruzione occidentale nel settore energetico iracheno.

In accordo con la posizione del Dr. Shahristani, gli iracheni hanno firmato un contratto di servizio con la cinese CNPC. Il contratto prevede una produzione di 25.000 barili di petrolio al giorno. Una gran parte di questo sarebbe usato per fare funzionare una centrale elettrica da 1.320 mega watt, e fornire così agli iracheni affamati di energia la tanto necessaria elettricità.

I cinesi si preparano a beneficiare da questo accordo, in quanto costruirebbero la centrale elettrica con un nuovo contratto che verrebbe firmato separatamente. Il portavoce del ministero iracheno del Petrolio, Asim Jihad, ha detto che i lavori del progetto potrebbero iniziare a breve. La compagnia cinese fornirebbe consulenti tecnici, operai specializzati, e l’attrezzatura per sfruttare il giacimento petrolifero per i prossimi 20 anni.
 
Secondo esempio
 
La firma dell’accordo con la Cina, di per sé, è un secondo esempio delle conseguenze di lungo periodo, di come gli iracheni abbiano adottato una linea che va contro gli interessi americani. Ai primi di luglio, hanno rifiutato un proposta di patto di sicurezza che avrebbe potuto permettere alle truppe americane di mantenere una presenza permanente in Iraq dopo il dicembre di quest’anno. Lo Status of Forces Agreement (SOFA) che era stato messo a punto dagli americani avrebbe portato a un patto con l'Iraq simile agli accordi raggiunti da Washington dopo la seconda guerra mondiale con il Giappone e la Corea. Tuttavia, alti funzionari iracheni hanno iniziato a insistere che gli americani avrebbero dovuto indicare chiaramente una data limite per il ritiro, nel caso in cui un accordo in materia di sicurezza avrebbe avuto successo. La posizione irachena ha avuto la benedizione del Grande Ayatollah Ali al Sistani, una figura venerata, che in Iraq ha un seguito di massa. Il suo avallo era in sé una indicazione che gli iracheni non erano in vena di ribaltare facilmente la loro posizione.

In agosto, gli iracheni hanno iniziato a indicare che stavano puntando al 2011 come alla data limite per il ritiro americano. Entro il 2009, volevano i soldati americani fuori dalle città irachene. Ansioso di garantire che non ci fosse alcuna deviazione da una tabella di marcia inerente il ritiro americano, il Primo Ministro ha fato un rimpasto nel gruppo dei suoi negoziatori, e lo ha riempito di suoi fedelissimi. Il leale alleato di Maliki, Muwaffak al-Rubai'e, che è anche il Consigliere per la sicurezza nazionale, ha sostituito il ministro degli Esteri, Hoshyar Zebari, come capo del gruppo dei negoziatori.

A sostegno di queste mosse, il Presidente del Parlamento iracheno, Mahmud al Mashhadani, ha diffuso un comunicato in cui si sottolineava la necessità di una maggioranza dei due terzi in Parlamento, se un qualunque accordo raggiunto dal governo avesse dovuto materializzarsi.  L’influente imam della preghiera del venerdì a Najaf, Sayyid Sadruddin Ghapanchi, si è spinto ancora più avanti. In un articolo di commento scritto recentemente, ha preteso che la bozza del SOFA debba essere sottoposta a un referendum.

La crescente influenza dell’Iran sembra essere la ragione dell'atteggiamento di sfida del governo iracheno verso gli americani. Gli iraniani stanno puntando al ritiro delle forze americane dall’ Iraq e dall’ Afghanistan — gli Stati con esso confinanti a est e a ovest. Si erano allarmati quando i negoziati sul SOFA avevano cominciato a fare progressi, dopo alcuni seri tentativi da parte americana per cooptare dalla loro parte i principali leader sciiti.

Comunque, la bozza di SOFA consegnata dagli americani nel marzo del 2007 presentava a Tehran una opportunità d’oro per lavorare sugli iracheni e rafforzare i legami con essi. Il documento aveva allarmato gli iracheni, dato che non offriva a Baghdad nessuna esplicita garanzia di sicurezza.

Il governo Maliki lo ha considerato inaccettabile, dato che rendeva l’Iraq vulnerabile a un possibile attacco da parte dei suoi vicini sunniti, in particolare la Turchia, l'alleato NATO di Washington. La Turchia sta sostenendo i turcomanni — un gruppo etnico, concentrato nel nord Iraq, che ha condiviso un non facile rapporto con il governo di Baghdad dominato dagli sciiti. Gli iracheni, inoltre, hanno visto l’insistenza americana nel controllare lo spazio aereo iracheno come un affronto alla loro sovranità. Per di più, la clausola nella bozza secondo la quale il governo iracheno non avrebbe esercitato alcuna giurisdizione legale sul personale americano schierato nel Paese era totalmente inaccettabile. Queste disposizioni hanno fatto emergere profondi sentimenti nazionalisti negli ambienti politici e religiosi iracheni, e hanno indurito i sentimenti contro l’occupazione. 
 
Diplomazia iraniana
 
Con l’umore di Baghdad che stava cambiando rapidamente, la diplomazia iraniana è andata a tutta velocità. Gli sforzi di Tehran si sono dimostrati assai riusciti, poiché, da allora in avanti, gli iraniani e il governo Maliki hanno iniziato a lavorare a stretto contatto su tutte le questioni principali. Gli stretti legami dell’Iran con il partito di Maliki, al Da'wa, e il Consiglio Supremo islamico iracheno (SIIC) - le due organizzazioni che sono state parte di una rete transfrontaliera tra sciiti, hanno permesso all’Iran di consolidare velocemente la sua influenza all’interno dei circoli del potere iracheni. Gli iraniani, con l’aiuto del governo Maliki, hanno anche contribuito a evitare attacchi su larga scala che gli americani avevano programmato contro le forze dell'influente esponente religioso sciita Muqtada al Sadr. Come risultato, il trinceramento iraniano all’interno della leadership irachena era stato portato a termine attorno alla metà del 2008.

L'affermazione della sovranità irachena, il consolidamento dell’influenza iraniana, e la crescente marginalizzazione degli americani hanno implicazioni regionali e globali più vaste. Su scala regionale, gli americani e i loro partner, gli israeliani, finora stanno perdendo terreno rispetto agli alleati dell’Iran, la Siria e gli Hezbollah libanesi. Anche l’influenza iraniana su Gaza sta crescendo, a causa del sostegno di Tehran al palestinese Hamas, che è la forza dominante in quell’area. Tuttavia, queste zone non sono nella mappa energetica della regione, dato che non producono quantità di petrolio significative.

In netto contrasto, la possibile ritirata dell'America dall’Iraq ricco di petrolio potrebbe benissimo dimostrarsi di portata storica, così come potrebbe generare una forte contro-dinamica che potrebbe iniziare a sfidare la presa strategica di Washington sui vicini Paesi arabi del Golfo Persico ricco di petrolio.


(Traduzione di Kristin Anderson-Rosetti e Piergiorgio Rosetti per Osservatorio Iraq)

Articolo originale The Hindu