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Le dimensioni (del pensiero) contano

di Simone Belfiori - 27/10/2008

 
  
 

Devo avere il pensiero troppo grande, o gli altri ce l’hanno troppo piccolo. Si, forse più la seconda. Chiedo ai più accorti di tentare di recuperarmi, perché la mia deriva reazionaria – con tanto di stereotipato astio per la massa, alla Gustave Le Bon per intenderci – sta assumendo proporzioni preoccupanti. Son quelli come me che hanno portato al “nazifascismo”, che poi non è mai esistito ma i più lo credono e sono abbastanza stanco dalla mia giornata di lavoro per convincerli del contrario. Però accadono un sacco di cose buffe. Ci sono persone che si ritengono differenti, dagli altri e tra esse, che si osteggiano e si denigrano. Che criticano idee, concetti, o che al contrario promuovono visioni (visioni?) e affermazioni con fare messianico, convinti di detenere la verità. Saranno quelli che Nietzsche chiamava i filosofi? Eppure a ben vedere son tutti accomunati da una grande variabile: hanno il pensiero piccolo. E benché si senta spesso il contrario, le dimensioni contano eccome. Non importa che tu ce l’abbia gigante, che rischia di non servirti a niente e puoi addirittura arrecare danno. Ma se ce l’hai microscopico allora sono guai. Voglio essere fecondo quest’oggi, e mi sento di dare un consiglio per riconoscere quelli dal pensiero piccolo. I “riduzionisti”, li chiama sempre il caro Alain de Benoist. E' semplice: hanno paura di qualcosa, tentano di squalificare un concetto o più in generale leggono il mondo secondo un solo parametro. Semplificano, riducono, banalizzano: escludono. Tendono a non vedere le cose nella loro complessità, nella loro interezza. Ci sono ad esempio governi che fanno degli spots di pubblicità “progresso” (parola tipica del vocabolario cerebro-lillupuziano) in cui si parla di integrazione, e il mussulmano fa la pizza cantando “O Sole Mio”, un algerino prende il treno fischiettando “Funiculì Funiculà” e magari un arabo balla la quadriglia napoletana alla festa del paese. Ci sono governi invece che promuovono altri personaggi che sono rumeni ma apprezzano molto Antonello Venditti (che in me causa razzismo persino verso i miei connazionali). Forse questi governi hanno paura che qualcuno mantenga la sua vera identità? Vogliono proprio che si arrivi a svendere se stessi al prezzo di un’integrazione che gioverà solo al mercato, malaticcio pure lui? Io che ho il pensiero più grande, e non temo l’identità di nessuno, voglio che qualcun altro mi dica chi è lui e che mi insegni qualcosa, senza che mi faccia la mia buffa imitazione. Ci sono poi un sacco di personaggi che affermano che l’identità in se non esiste, che bisogna temerla e rifuggirne il concetto. Che dato che il mondo è un eterno divenire, e che siamo tutti figli di scambi, rivoluzioni e controrivoluzioni, il tentativo di codificare essenze sia errato nonché pericoloso, foriero di totalitarismo in ogni frangente. Discorso parzialmente comprensibile, se non fosse che il pensiero piccolo ancora una volta in azione riduca l’identità ad un oggetto fisso, immutabile e perenne. Mentre essa cambia. E’la mia risposta al mondo, è il mio parlare e non essere parlato da altri. E’l’unica cosa che mi potrà salvare dallo sparire, dall’affogare in mezzo al nulla ed anzi dal poter apprendere dagli altri. Se non c’è identità, non c’è dialogo alcuno. Due cose diverse possono parlare tra loro, confrontarsi, apprendere. E mutare a loro volta. E’un discorso estremamente logico. Ma qualche pensiero piccolo, che ha paura di qualcosa e legge tutto secondo la sua paura, non vuole capirlo. Dell’identità hanno paura i post-comunisti, i sinistri radicali, i progressisti di ogni genere e grado, i professori post-sessantottini, alcuni illustri scrittori (che a questo punto scriveranno per mano di altri, anzi l’opera si scrive da sola) ecc ecc. Siamo strumenti dunque. All’opposto, molti “dall’altra parte” codificano le appartenenze: siamo tutti occidentali, americani, europei, italiani e via discorrendo. E vai elencando ed escludendo. Ci sono quelli integri, tutti d’un pezzo, non tantissimi per fortuna, che sono soliti affermare che abbiamo radici cristiane. Quelli che siamo celti,padani,longobardi. O quelli che siamo in fondo tutti pagani, anzi, Arii e indoeuropei. Marcia indietro dunque, scavate sotto casa, andate a cercare cosa siete, cosa vi compone. Cari Sardi, siete punici, cartaginesi, ma no che dico, nuragici! Via, riprendete scudo e lancia. Che aspettate? Recuperate vestiti, usi, costumi, cibi per il puro gusto di farlo. L’importante è essere agiti dalla propria storia, dalla propria filologia. Codificare l’identità in una serie di norme fisse, di comportamenti da rispettare, di atteggiamenti da adottare. L’identità di quelli dal pensiero piccolo.
Cosa penso io di tutto ciò? Mi sovviene un piccolo-pensiero. Che non solo – come sostengo – destra e sinistra siano relegate al passato, ma che la nuova frontiera sarà tra coloro che sono ancora qualcuno, che avranno qualcosa da dire, che sono disposti ad un dialogo ed hanno la mente aperta, un grande pensiero, e che un giorno porteranno finalmente a nuove sintesi, e coloro che come ladretti di galline si occupano di piccole cose, spacciando alle masse catodiche e non le loro micro-verità, che – dannazione! – sono così tanto efficaci. Sarà perché anche se il pensiero è piccolo, le dimensioni non sono importanti ma ciò che conta è come lo si usa. In questo noi cervelloni dobbiamo ancora migliorare.