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La guerra prossima ventura

di Carlo Bertani - 28/10/2008

 
"Ogni satira è cieca verso le forze che si liberano nello sfacelo."
Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Minima Moralia, (1951)

Ho appena terminato di leggere l’ultimo articolo di Giulietto Chiesa, “Fine corsa” – interessante, un’analisi spietata – e mi sto chiedendo se non ci sia ancora troppa pietas, troppo ottimismo. Se anche la ragione sia impotente nel volgere inquieto di un disastro.
Intendiamoci: gli argomenti esposti da Chiesa sono da meditare con attenzione; solo, mi chiedo, se avremo ancora il tempo per farlo.

Dalle parole di Chiesa emergono due fratture, evidenti: la prima, quella fra economia reale ed economia virtuale, monetaristica, borsistica…o come desideriamo chiamarla e la seconda, ovvero l’oramai completa incoerenza fra il percorso dell’uomo e quello della natura.
Quest’ultima divergenza è facilmente avvertibile: gli aspetti più evidenti li possiamo trovare nell’esasperazione disordinata e criminale del consumo di risorse. Dappertutto, dai metalli all’energia, dalle derrate alimentari al patrimonio vegetale e marittimo, stiamo schiantando le oramai smunte potenzialità naturali.

Sono anni che in tanti mettiamo in guardia contro questi rischi ma, si sa, il destino riservato alle Cassandre non è mai stato benigno, salvo ricordare – ancora una volta – che Cassandra aveva ragione.

Se approfondiamo un poco il problema, ossia se ne sondiamo gli aspetti metodologici, epistemologici – e finalmente osassimo pronunciare la parola “olistica”, rivolta ad una scienza che dovrebbe ammettere i suoi limiti e si guarda bene dal farlo – dovremmo accettare la nostra completa ignoranza nel non aver compreso la fondamentale essenzialità della natura, il suo volgere da miliardi di anni in complessi cicli, mentre la Storia umana si protende verso un cammino lineare. Qui, veramente, c’è da riflettere che siamo probabilmente già fottuti.
L’altra frattura – quel rimbalzare schizoide dei listini azionari, sembra d’essere sulle montagne russe – è forse meno importante, però entrerà in simbiosi con la grande bestemmia sopra citata, e ne vedremo presto i frutti avvelenati.

Da un lato l’ignoranza mai ammessa, la protervia di voler incedere, nunc et semper, su una via segnata da un destino amaro: come si può ragionevolmente credere che, senza concedere alla natura il tempo della rigenerazione – del completamento dei suoi cicli – si possa sopravvivere? Siamo, oramai, un indesiderato virus.
Dall’altra un truffaldino mestar nel torbido per truccare le carte: creare ricchezza fittizia e spacciarla per vera. Ho già affrontato l’argomento in un altro articolo, “Il crepuscolo degli Dei”, e sarebbe inutile ripetersi.
I due aspetti interdipendenti – il primo di largo respiro, il secondo solo miseria umana di menti offuscate – stanno per creare una miscela esplosiva, come lo stesso Chiesa sospetta.

Proprio oggi, Greenpeace pubblica il suo Energy Outlook e sostiene che nel 2015 le cose dovrebbero cambiare: le fonti rinnovabili inizierebbero a diventare “di peso” nel panorama planetario e ci consentirebbero di scapolare le secche della penuria energetica e del mutamento climatico.
Sagge parole, ma quel 2015 – se interpolato con il panorama economico – mi sembra terribilmente distante, come se ad un ebreo scacciato dall’Andalusia, per opera di Isabella, fossero andati a proporre, come speranza, l’indipendenza delle Fiandre.
Qui, microcosmo e macrocosmo s’intrecciano e, nell’immediato, è il microcosmo ad imporsi: inutile raccontarci frottole. Miserrimo minimo, la tentazione italiana di non ottemperare più agli accordi presi in sede europea sul clima, a causa della crisi economia. Della serie: ho il mal di testa, del cancro che mi sta corrodendo m’occuperò domani.
Questa, però, è e sarà la realtà, perché non si può lavorare per anni al solo scopo di creare ricchezza fittizia, e dunque cercare di salvare dal baratro la malata economia statunitense, per poi ritirarsi in buon ordine e dire “c’eravamo sbagliati, scusate”.
No, signori miei, Greenpeace non troverà tempo, noi non avremo tempo, nessuno avrà più tempo prima dell’eclissi.

Questa fantomatica ricchezza creata dal nulla, chiederà pegno e già l’ha ottenuto: servizievoli, le oligarchie mondiali hanno chinato il capo ed hanno sottoscritto demoniaci patti per sostenere le volontà dei tanti Faustus, di coloro che hanno scambiato l’anima di Gaia per ottenere infinite e labili cornucopie.
Così, oggi già sappiamo che l’unica via che ci sarà concessa sarà quella dell’acquiescenza ai paradigmi dell’economico, del tecnicismo economico, e non ci sarà simposio né dialettica.
La via indicata è segnata ad ogni passo da una diversa pietra miliare: oggi ci proteggeranno i future, domani si disserterà sugli spread, dopodomani ci salveranno i tassi. All’ultima scena, però, saranno i lupi a dire la loro.
I lupi sono animali discreti e terribili, soprattutto quando s’uniscono in branchi.
Oggi, ancora vagano, annusando l’aria che odora d’Inverno per capire quando giungerà l’ora d’addolcirla col sangue: no, nessuno ne avrà sentore. Tutto, sarà addolcito da una “pace terrificante”, come il poeta/profeta De André annunciò: il Quarto Reich non farà sconti.

Ci potremo divertire con le previsioni, questo ci sarà concesso, ma nessuno riuscirà a predire quando il branco scenderà dalla collina: ci siamo svegliati dall’inganno di Piazza Fontana un anno dopo, da quello dell’11 Settembre anni dopo. Non avremo il tempo, non ci lasceranno il tempo per capire: potremo, al massimo, elucubrare.
Già qualcuno azzarda previsioni sui futuri blocchi: USA – Cina – Giappone, saldate dall’abisso del debito, contro il resto del Mondo? Russia ed Europa avvinghiate per la simbiosi energetica? Può essere, ma mancano altri attori: l’India rimarrà a guardare? E l’America Latina? L’inganno mondiale esigerà una catarsi planetaria.

Le armi atomiche ci salveranno! Nessuno oserà premere il bottone!
Non ci sarà bisogno d’armi atomiche, batteriologiche e chimiche perché l’obiettivo è altra cosa: è validare, con la grande distruzione bellica, le false cornucopie spacciate dai banchieri. La sola rigenerazione possibile per far ripartire la “locomotiva” economica, questa bestia immonda che si nutre di sangue per generare capitali.

Una distruzione di breve termine – come quella conseguente alla guerra nucleare/chimica/batteriologica – non darebbe il tempo, il “fiato”, per far ripartire le presse dei cannoni. Nell’economia globalizzata, inoltre, poco senso avrebbe la conquista territoriale: l’Iraq insegna.
D’altro canto, l’arma assoluta fu creata già durante la Prima Guerra Mondiale, ma nessuno osò un bombardamento a gas su Londra o su Berlino. Provarono lo Sturmfeuer su una Dresda già piagata, e le atomiche sul Giappone sconfitto, non prima.
Prima, tutta la ricchezza artificialmente generata dai prestigiatori di Wall Street dovrà sostanziarsi, perché non accetteranno che i listini azionari “veleggino” sui valori di dieci anni fa. Abbiamo lavorato per niente?

Perciò, mi piacerebbe sognare riedizioni keynesiane – ma, l’indebitamento, era di questa grandezza? Cosa rimane di Keynes senza il deficit spending? – mentre, la gelida realtà che una guerra sia il mezzo più semplice per risolvere il problema, m’appare come la tragica sequenzialità degli eventi.
Gli USA si salveranno? Neanche per idea. Il capitalismo globalizzato sì, passerà di mano come avvenne dopo la Seconda Guerra Mondiale – da Londra a Washington – ed ora, dal “Nuovo Mediterraneo”, l’Oceano Pacifico, trasmigrerà a Pechino. L’importante è salvare la borsa, non la vita.
Spero, ardentemente, che qualcuno trovi argomenti così pregnanti da farmi cambiare idea. Non è una domanda retorica: lo spero per davvero.