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Sudafrica, è guerra tra poveri. Nelle baraccopoli riesplodono le violenze intrarazziali

di Matteo Fagotto - 29/10/2008

Nelle baraccopoli riesplodono le violenze tra comunità. Cronaca del fallimento di un Paese
Duecento lettere. Duecento avvisi di morte recapitati ad altrettanti negozianti somali della provincia sudafricana di Western Cape. O chiudete i vostri negozi entro due settimane, o ne subirete le conseguenze. Ancora scioccata delle violenze xenofobe che lo scorso maggio uccisero almeno 65 immigrati, la comunità somala chiede aiuto alle autorità, che per il momento tacciono. Dall'altra parte della barricata, milioni di sudafricani indigenti, che non vogliono vedersi togliere il pane di bocca e sono disposti a uccidere pur di preservare le loro miserie dalla concorrenza degli stranieri. In mezzo, un Paese incapace di proteggere gli uni e di garantire un futuro decente agli altri. E' la storia di un fallimento chiamato Sudafrica.
Maggio 2008, una poliziotta allontana un bambino dalla zona degli scontriHa la voce rassegnata Mohammed Hirsi, il portavoce nazionale della comunità somala, mentre racconta a PeaceReporter l'aggressione subita lo scorso maggio. "Una folla inferocita è entrata nel mio negozio, distruggendo tutto da cima a fondo", ricorda. "Ho perso ogni cosa. Ho dovuto ripartire da zero. E ora la storia si ripete". Da anni vittima di violenze e rappresaglie che hanno provocato centinaia di morti, la comunità somala è tornata nel mirimo degli abitanti delle townships, le baraccopoli locali che circondano Città del Capo. Stanchi di subire la concorrenza dei somali, i negozianti di Khayelitsha hanno deciso di cacciarli, con le buone o con le cattive. Negli ultimi mesi, almeno sei somali sono stati uccisi mentre erano al lavoro. Dai loro negozi, però, non è stato rubato nulla. Un messaggio fin troppo chiaro. "Ma inquadrare queste tensioni come attacchi di xenofobia non coglie quello che è il problema principale: la competizione per un numero limitato di risorse, in un ambiente povero come quello delle townships, spiega a PeaceReporter Abdul Fattaag Carr, rappresentante del Muslim Judicial Council, un'associazione religiosa che fornisce assistenza agli stranieri vittime di violenze.
Tra tutte le comunità del Sudafrica, quella somala vanta il triste primato delle maggiori violenze subite. Giunti negli anni '90 a causa della guerra civile in patria, i somali sono stati tra i primi a stanziarsi in un Paese ancora povero e alle prese con gli strascichi dell'apartheid. Finiti nelle township assieme alle classi meno abbienti, col tempo i somali hanno creato una rete economica florida, che si appoggia sui forti legami all'interno della comunità. Ma cosa succede quando a pagarne le conseguenze sono i più poveri tra i poveri? "Mi piange il cuore a vedere gente che non ha i soldi per comprare un pezzo di pane o mandare i propri figli a scuola", spiega a PeaceReporter Mandisi Njoli, segretario della Camera di Commercio federale di Khayelitsha. "Nelle township non ci sono regole, la concorrenza è selvaggia. Gli stranieri vengono qui e aprono le attività, senza documenti e senza un accordo con le comunità locali. Tutti i negozi sono gestiti da loro, mentre la gente del posto muore di fame".
Immigrati raccolgono quel che resta della loro casa distruttaSolo nella provincia di Western Cape, le violenze di maggio hanno fatto 20.000 sfollati. Di questi, ancora 1.400 vivono nei campi allestiti dal governo, che ha metà settembre ha chiuso la maggior parte delle strutture di accoglienza. Gli immigrati che non sono scappati dal Paese hanno dovuto far ritorno alle proprie case, o a quello che ne rimane. Molti senza più un lavoro o una prospettiva economica, alla mercé di una popolazione che li vede come nemici. Se da maggio i morti sono drasticamente diminuiti, è solo perché il problema è stato nascosto sotto il tappeto, ma le ceneri covano ancora.
"Se il governo avesse fatto qualcosa prima, le violenze di maggio si sarebbero potute evitare", continua Njoli. La sua frase è una sinistra minaccia per il futuro. Impegnate nel raccogliere i cocci delle lotte fratricide all'interno dell'African National Congress, le autorità non paiono intenzionate a risolvere il problema. Confinata nelle township, la lotta tra somali e sudafricani rimarrà un conflitto tra poveri, lontano dalle telecamere e dai quartieri per ricchi di Città del Capo. Divisi da un destino che li vede impegnati in una lotta per la sopravvivenza, Hirsi e Njoli sono d'accordo solo su una cosa: il fallimento di un Paese che, 14 anni fa, era considerato il faro della democrazia africana. "Mio padre era un militante dell'Anc. Ha dato la sua vita per questo Paese, e cosa abbiamo ottenuto?", conclude il commerciante di Khayelitsha. "Abbiamo solo sostituito l'apartheid tra bianchi e neri con quello tra ricchi e poveri".